Brevi riflessioni sull’indeterminatezza dei diritti sociali

di Michele Zezza

In contrasto con alcune ricostruzioni dei diritti imperniate sull’idea di un “nucleo di certezza” integralmente sottratto alla disponibilità dell’intervento parlamentare e alla comparazione con altre esigenze sociali, i diritti del costituzionalismo contemporaneo si rivelano sempre più fragili e limitabili nel loro funzionamento. In questo senso, non dovrebbe sorprendere che, all’interno di vari settori del dibattito filosofico-giuridico e filosofico-politico contemporaneo, si sia progressivamente diffusa la tendenza a denunciare il carattere illusorio della protezione offerta dalle disposizioni normative che riconoscono diritti fondamentali.

In questo contesto, com’è noto, una categoria particolarmente problematica è costituita dai diritti sociali, concepiti in varie occasioni come norme programmatiche dotate di uno statuto giuridico indefinito, mere raccomandazioni rivolte a un legislatore ordinario il quale, d’altra parte, sembra autorizzato ad astenersi di intervenire al riguardo. A causa della necessaria limitazione delle risorse, i diritti sociali, così come i diritti positivi in generale (diritti o pretese a un intervento attivo degli altri soggetti), si configurano come interessi che pongono i suoi titolari in una condizione di competitività per l’accesso ai beni della collettività. L’attitudine a riformulare qualsiasi pretesa in termini di diritti appare inversamente proporzionale alla forza di cui dispongono in quanto esigenze morali.

Osserva Riccardo Guastini (1996: 154) che nella maggior parte dei casi, i diritti sociali – al pari dei diritti morali – sono diritti “di carta”, non giustiziabili […]. [L]e disposizioni che conferiscono diritti sociali – scrive – sono comunemente interpretate come norme programmatiche o teleologiche rivolte al legislatore: norme, cioè, che comandano – o piuttosto “raccomandano” – al legislatore di realizzare un certo programma di riforma economico-sociale o di perseguire un determinato fine.

Dal punto di vista dell’autore, devono considerarsi “di carta” tutti quei diritti che risultano privi di almeno una delle seguenti caratteristiche: a) avere un contenuto determinato; b) poter essere esercitati o rivendicati di fronte a un soggetto specifico; c) essere suscettibili di tutela. Diritti di carta per eccellenza, secondo Guastini, sono i diritti sociali (in particolare il diritto al lavoro) così come appaiono formulati nei testi costituzionali poiché, in assenza di un’opera di concretizzazione del loro contenuto, risultano sempre carenti rispetto ai tre profili indicati. Ci troviamo infatti di fronte a diritti “fittizi”, attribuiti da norme programmatiche o teleologiche (cfr. Guastini 1996: 152, 154) che non impongono alcun obbligo concreto al legislatore.

Un caso paradigmatico è rappresentato dal diritto al lavoro così come appare formulato nell’art. 4° della Costituzione italiana, nella cui formulazione appaiono completamente indeterminati i soggetti obbligati e i comportamenti necessari per la soddisfazione del diritto in questione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Tale articolo invita il legislatore a predisporre le condizioni normative e fattuali necessarie al fine di consentire a tutti i cittadini in età lavorativa di trovare un impiego. Un obbligo estremamente generico, pertanto, i cui criteri di attuazione e violazione risultano effettivamente evanescenti.

Occorre tuttavia notare che in caso di inazione legislativa e/o giurisdizionale, le tre caratteristiche sopra menzionate possono (e di solito tendono a) mancare in qualsiasi tipo di diritto fondamentale, ossia non soltanto nel caso dei diritti sociali. L’assenza dei meccanismi di protezione a livello della legislazione infraconstituzionale, e più precisamente per quanto attiene al piano delle garanzie giurisdizionali (“secondarie”, nella terminologia di Ferrajoli), non annulla l’esistenza del diritto in questione, ma configura piuttosto una lacuna all’interno del sistema. Inferire l’inesistenza di un diritto a partire dalla constatazione dalla sua inefficacia equivarrebbe ad incorrere in una “fallacia realistica” (Ferrajoli, 2016, p. 57), ossia nella confusione concettuale tra i piani della validità e dell’efficacia delle norme attributive di diritti fondamentali. Per evitare di disconoscere la giuridicità delle fonti normative attributive di diritti fondamentali risulta più opportuno concepirne le procedure e garanzie istituzionali come parte integrante del “perimetro protettivo” dei diritti, ossia di quell’insieme di posizioni soggettive finalizzate a proteggere l’esercizio dell’interesse sottostante. Senza dimenticare, infine, che anche un diritto disarmato può sempre rappresentare il punto di partenza di una rivendicazione volta ad ottenere le necessarie garanzie istituzionali a livello legislativo e giudiziario.

Alla luce di queste considerazioni, è opportuno rilevare che se davvero l’indeterminatezza della formulazione linguistica potesse giustificare l’esclusione dei diritti sociali dal catalogo dei diritti costituzionali, allora il medesimo ragionamento potrebbe essere applicato a tutti i tipi di diritti. È pertanto opportuno stabilire una netta distinzione tra la dimensione semantica delle disposizioni costituzionali che riconoscono i diritti fondamentali (che denotano alcuni elementi comuni per quanto riguarda la maniera intenzionalmente ampia di formularli) e la pratica abituale della loro amministrazione (che denota una tendenza generale ad attribuire loro lo status di norme programmatiche o teleologiche) all’interno delle culture giuridiche degli odierni Stati costituzionali. In questo senso, può rivelarsi ancora utile una ricerca sui fondamenti teorici dei diritti sociali che ne evidenzi gli elementi distintivi rispetto ai diritti di prima generazione, dal momento che ancora non sembra esserci stato uno sviluppo dottrinale sufficiente per abbandonare definitivamente fine la “concezione canonica” dei diritti (Rabossi 1993) incentrata sulla difesa della superiorità assiologica dei diritti della tradizione liberale.

Bibliografia di riferimento

L. FERRAJOLI, La logica del diritto. Dieci aporie nell’opera di Hans Kelsen, Laterza, Roma-Bari 2016.
R. GUASTINI, Distinguendo: studi di teoria e metateoria del diritto, Giappichelli, Torino 1996.
E. RABOSSI, Los derechos humanos básicos y los errores de la concepción canónica, «Revista del Instituto Interamericano de Derechos Humanos», 18, 1, 1993, p. 45-73.

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