Vladimir Majakovskij. Rivoluzione e pathos

di Gilda Diotallevi

Amore e politica

Nel 1929 Aleksandr Rodchenko immortala in uno scatto Vladimir Majakovskij, il grande poeta russo, e i coniugi Osip e Liljia Brik. Sono tutti seduti a tavola, nella loro casa di vicolo Gendrikov, tra tazzine, fogli scritti e bottiglie. Si riesce quasi a percepire il fumo di tabacco che ha roso l’aria, o a immaginare il colore della confettura con cui i russi amano prendono il thè.

Della foto colpisce la scena di semplice quotidianità, l’immagine privata di un uomo, Majakovskij, che il Regime intendeva invece mostrare esclusivamente come emblema della propaganda russa. Tale distonia tra dimensione politica pubblica e versione intima ed esistenziale in realtà costituirà la base stilistica della sua poetica d’avanguardia, in cui la repulsione per ciò che è ordinario e sistematicamente ripetibile, il rifiuto del conformismo e l’attacco alla cultura borghese si intrecceranno con ragioni del tutto personali.

La produzione di Majakovskij si nutre infatti in egual misura di lotte rivoluzionarie alla conquista della giustizia sociale come di tensioni erotiche e mentre le sue parole inneggiano alla provocazione, incendiando il popolo alle cause del partito, una più intima emotività ne ridefinisce i contorni. 

Sensibilità e violenza, ardimento e fragilità segnano la sua vita e si nascondono oltre la teatralità dei versi declamati. Non meraviglia perciò che sia lo stesso uomo a scrivere: «Trombare è necessario come ai cinesi il riso»…«Che il mio pene come un pilone si innalzi! Per me fa lo stesso chi mi sta sotto- la moglie di un ministro o un inserviente» (Majakovskij, Inno agli onanisti). Come pure «L’amore è la vita, è la cosa principale. Dall’amore si dispiegano i versi, e le azioni, e tutto il resto. L’amore è il cuore di tutte le cose. Se il cuore interrompe il suo lavoro, anche tutto il resto si atrofizza, diventa superfluo, inutile. Ma se funziona, non può non manifestarsi in ogni cosa» (Lettera Febbraio 1923, Mosca). Parole, quest’ultime, dedicate a Lilija Brik, a un amore che lo costrinse a continui cambiamenti, a spostamenti e tradimenti in grado di influenzare, in maniera più o meno visibile, tutta la sua arte. 

Lilija.

Esistesempre una dimensione ‘altra’ che si appropria di una parte di noi, una malattia d’amore che infetta o risana le espressioni artistiche, anche se non sempre se ne possiede una testimonianza tangibile, come invece accadde nella lunga relazione epistolare che il nostro terrà con Lilija Brik. Non si tratta di alta letteratura, di versi artefatti e costruiti ma di scambi intrisi di quotidianità, di conti da pagare, di acquisti, di difficoltà economiche e, ancor più, di amore.

Lilija e Majakovskij si incontrano nel 1925 e da subito si instaura tra loro un rapporto passionale, non sempre pienamente corrisposto da parte della donna che, per oltre quindici anni, vive intensamente la violenta attitudine all’amore totalizzante del poeta. 

Lui è magnetico, eccesivo, possiede sicurezza nello sguardo e un tipo di pensiero che non tollera compromessi. Rende Lilija l’oggetto di una attenzione morbosa che nel tempo scoprirà un lato di inaspettata fragilità del poeta. «Non smettere di amarmi del tutto, ti prego: ne ho molto bisogno! » (Lettera 6 dicembre 1924, Parigi-Mosca). Majakovskij necessita di una costante approvazione che ricerca, in misura indifferente, nel fronte russo, nel futurismo socialista, nelle amicizie, come quella con il marito di lei, ma soprattutto nella passione che nutre per la sua musa. Si legherà infatti ad altre donne ma le desidererà tutte attraverso un sentimento incapace di allontanare quella dipendenza emotiva, quell’attaccamento alla sua Lilija. Sarà quest’ultima a rivelare, nella sua biografia, che Vladimir possedeva, come un ladro nella sua anima, una forza insaziabile capace di incenerire se stesso e gli oggetti del suo desiderio. Perché Majakovskij non si limitava a innamorarsi, lui era «un’autentica aggressione».

La sua poesia, capace di influenzare i movimenti artistici russi d’avanguardia, scaturisce da una passione non sopita, che mette al lavoro del cuore il Motore raffreddato. L’innamoramento è legato all’azione, a una qualche forma di movimento e di attività senza la quale sarebbe impossibile tornare a scrivere. La sua produzione lirica appartiene a uno stato emotivo spinto dall’eccitamento erotico-sentimentale, «Amare – è dai lenzuoli lacerati dall’insonnia strapparsi[…]», senza il quale sarebbe impossibile trovare ispirazione, anche per la produzione più politica legata al realismo socialista. Tutto è testimoniato da alcune semplici lettere, piccole confidenze quotidiane tra lui e Lilija, che come singoli tasselli ricostruiscono una immagine che supera e si sovrappone a quella strettamente politica dell’autore. Per amore, o dipendenza emotiva che fosse, lui è pronto a modificare la sua vita, le sue abitudini. Così accade che lei lo esorti a scrivere, gli organizzi la vita pratica e gli ricerchi editori e investitori, mentre lui le dedichi la sua opera, le sue parole e componga per lei le didascalie ai suoi film, come ne Gli ebrei sulla terra.

Majakovskij odiava le convenzioni di ogni sorta, la staticità delle imposizione politiche come la natura borgese di un amore tradizionale. Decise così di uscire dalle linee stilistiche approvate (V. Majakovskij, Come far versi, 1926), dalle formule poetiche del passato (Il voler «[…]minare il vecchiume, per andare alla conquista della nuova cultura» è uno dei punti fermi del LEF, Levyi Front Iskusstva, ovvero del Fronte di Sinistra delle Arti fondate nel 1922), con la stessa naturalezza con cui visse il suo rapporto a tre. Lui, Lilija e Osip, indipendentemente da altre storie e avventure, tornavano a casa tutte le notti. Divisero soldi, appartamenti, cibo e passioni politiche. Riscaldavano una sola stanza per risparmiare e parlavano del fronte russo con uguale fuoco con cui si dedicavano all’arte. Vissero tra loro una morbosa e forte relazione, che oggi definiremmo progressista, composta d’amore ma anche di depressioni e fughe. Nelle lettere si parla di umori schifosi, di lontananze non volute e di distacchi necessari per arginare il tarlo della deludente quotidianità. «[…]come ho potuto, come ho osato farmi rodere da un tarlo d’appartamento.[…]un indizio del mio essere caduto in basso. Non esisterà mai più nessuna forma di quotidiano, in nulla! Nulla del vecchio quotidiano si insinuerà tra noi» (Lettera 1-27 febbraio 1923, Mosca).

Rivoluzione e pathos

La capacità di scrivere era, secondo lo stesso Majakovskij, influenzata dall’ostinazione e dalla passione, sentimenti, entrambi, che nutriva per la rivoluzione così come per le donne. Attraverso l’arte filtrò il suo pathos e lo mise al servizio della rivoluzione bolscevica, facendo della poesia, di quella lirica che l’amore ispirava, un’arma in grado di sovvertire i valori del passato e le ideologie troppo lontane dai bisogni del popolo.

Prenderà in tal modo forma uno strano intreccio tra vita e arte e la sua insopprimibile esigenza di sovvertire il conformismo passerà attraverso la letteratura, la poesia, la politica anche se in fondo sarà l’irrazionalità dell’Amore, forse, a spingerlo oltre quei limiti imposti, oltre quella linea che da sempre e per sempre cercherà di superare. 

La copresenza di dimensioni pubbliche e private permarrà fino alla fine, fino all’ultima lettera d’addio, sempre che sia stata realmente scritta da lui, in cui egli attribuisce la responsabilità del gesto all’amore non corrisposto della sua ultima musa e alla delusione del partito. E forse proprio per tale ragione sarà impossibile riuscire a sciogliere i nodi intrecciati tra colpe e cause, tra motivi e influssi che vivevano nell’animo dell’artista e lo indussero al tragico gesto.

Non è possibile infatti relegare la storia di Majakovskij a mito della Russia staliniana, così come ricercare nel suo distacco dalla propaganda l’unico motivo della sua morte. Esistono ragioni non visibili, insondabili moti dello spirito che assumono una valenza a noi sconosciuta nella contingenza dell’esistenza. L’ambiente storico, il periodo particolare vissuto dalla Russia e la necessità di ribellarsi a una tradizione obsoleta e non rispettosa della libertà degli individui fanno da sfondo ad una poesia incarnata, a un uomo la cui luce risplende ancora tra i versi e le parole, parole d’amore che «non sono vane» (V. Majakovskij, Il flauto di vertebre, 1915).

Bene!

1.
Il tempo è qualcosa d’insolitamente lungo./Ci furono tempi di leggenda/ma sono passati. Oggi/non leggende, non epos/né epopee:/come telegramma vola,/verso!

Con labbro ardente/chinati a bere nel fiume/che ha nome: «Fatto».

Il nostro tempo vibra/come un cavo telegrafico/ed io sono stretto/alla verità.

Questo accadeva alla patria,/ai combattenti,/oppure nel mio cuore.

Io voglio/che dal piccolo mondo della tua stanza,/leggendo questo libro,/come baionetta che il verso/ha reso abbagliante,/voglio che ancora tu muova/sulle spalle di fuoco/delle mitragliatrici/e che attraverso la gioia degli occhi/del testimone fortunato/scorra nei tuoi muscoli stanchi/una ribelle/e costruttiva forza.

A celebrare questo giorno/non assolderemo nessuno./Noi/inchioderemo la matita sui fogli/perché il fruscìo delle pagine/sia come il fruscìo delle bandiere/sulla fronte degli anni.

Il tempo è qualcosa d’insolitamente lungo./Ci furono tempi di leggenda/ma sono passati. Oggi/non leggende, non epos/né epopee:/come telegramma vola,/verso!

Con labbro ardente/chinati a bere nel fiume/che ha nome: «Fatto».

Il nostro tempo vibra/come un cavo telegrafico/ed io sono stretto/alla verità.

Questo accadeva alla patria,/ai combattenti,/oppure nel mio cuore.

Io voglio/che dal piccolo mondo della tua stanza,/leggendo questo libro,/come baionetta che il verso/ha reso abbagliante,/voglio che ancora tu muova/sulle spalle di fuoco/delle mitragliatrici/e che attraverso la gioia degli occhi/del testimone fortunato/scorra nei tuoi muscoli stanchi/una ribelle/e costruttiva forza.

A celebrare questo giorno/non assolderemo nessuno./Noi/inchioderemo la matita sui fogli/perché il fruscìo delle pagine/sia come il fruscìo delle bandiere/sulla fronte degli anni.

Bibliografia di riferimento 

V. MAJAKOVSKIJ, L’amore è il cuore di tutte le cose (Lettere 1915-1930), BEAT 2016.
V. MAJAKOVSKIJ, Come far versi, (1926), Editori Riuniti, Roma 1961.
R. JAKOBSON, Una generazione che ha dissipato i suoi poeti, Einaudi, Torino 1975.
V. MAJAKOVSKIJ, Opere, Editori Riuniti, Roma 1972.