Emile Zola: tra pittura e letteratura

di Gilda Diotallevi

Un nuovo secolo

Esiste un rapporto particolare tra letteratura e pittura che il periodo dell’Ottocento francese ha saputo cristallizzare. La relazione tra queste due forme d’arte è stata così intensa da risultare complesso decidere se sia stata la pittura a dar vita al movimento del naturalismo in letteratura o se al contrario il nuovo umanesimo scientifico abbia influenzato i colori e le tele dei futuri impressionisti.

Stiamo parlando di un periodo particolare per l’arte europea; il secolo delle grandi rivoluzioni civili è terminato e una rinnovata fiducia per il progresso segna l’inizio del secolo nuovo. La Francia, ma Parigi in particolare, contribuisce a creare la nuova sensibilità moderna, un’estetica diversa, al crocevia tra l’ondata naturalistica dell’Ottocento e il perduto romanticismo, tra il passato e il secolo di scienza che si sta aprendo. Di fronte al bagliore di questa luce, scriverà Emile Zola, gli artisti barcollano ebbri. «Ora il momento della demolizione, quando un gran polverone riempie l’aria e le macerie crollano con fracasso. Domani l’edificio sarà ricostruito».

Si avverte chiaramente la necessità del rinnovamento, il desiderio di parlare alle nuove generazioni, la volontà di servirsi di nuova linfa creativa.  

Il teatro, la letteratura, la pittura risentono tutti della necessità di questo nuovo impulso. «L’opera si rivela essa stessa capace di un mondo, solo nella misura in cui può rifigurare questo mondo» (Ricoeur). Stanchi dell’alea del romanticismo, si avverte un bisogno diverso, di verità,  che trascenda le consuete categorie del bello, reagendo così all’istituzionalizzazione dell’arte attraverso una sorta di umanesimo scientifico. «Io dipingo la realtà così com’è, né bella, né brutta» (Courbert).

Tra pittura e letteratura

Protagonisti assoluti di questo momento sono la pittura e la letteratura, o meglio gli artisti che le vivificano e tra cui si innestano storie di vite, di amicizie e di amori. Le loro opere ne sono testimonianza, a volte indirettamente, frutto di un’idea comune, altre chiaramente, come nel caso di Zola e delle sue appassionate difese nei confronti di Manet e Cezanne.

Era stato Charles Baudelaire per primo a scrivere nei suoi straordinari Salons (1859) dell’esistenza di una particolare relazione tra pittura e poesia, sostenendo che «il vero artista, il vero poeta non deve dipingere che quello che vede e quello che sente». E ciò che essi vivono li accomuna, alimenta la loro arte ma, ancor prima, la loro idea di estetica.

Si discute di arte il giovedì a casa di Manet, negli atelier degli artisti così come nei caffè. Come non ricordare il famoso caffè Guerbois citato ne L’opera di Zola e il cui proprietario diventerà il soggetto per il quadro di Manet Le bon bock. Ci si incontra, ci si diverte e si lavora anche nella casa di Zola a Medan che, più avanti, diventerà il centro nevralgico della costituzione di un movimento letterario-artistico che è appunto quello del Naturalismo. Le frequentazioni abituali così come gli incontri casuali fanno nascere amicizie, ma soprattutto particolari incroci tra giudizi, influenze e difese.

Zola e Cezanne

Zola e Cezanne vivono entrambi a Aix-en-Provence e si incontrano poco più che adolescenti, diversi in molti aspetti eppure entrambi ossessionati «dal vago tormento di una comune ambizione», come dirà Zola, sospinti alla ricerca continua di uno stimolo per le loro menti, difficilmente appagabili dalla semplice vita di provincia. Non che non apprezzino le nuotate nei fiumi, la pesca e le folli corse in campagna, ma la loro sete di poesia e successo li unisce in un sogno comune. «Ho fatto un sogno –confessa a sua volta Zola – avevo scritto un bel libro, un libro sublime che tu avevi illustrato con splendide illustrazioni. I nostri due nomi brillavano a lettere d’oro, uniti sul frontespizio, e nella fraternità del genio passavano inseparabili alla posterità».

Leggono in continuazione, scrivono, inventano e traducono componimenti poetici, fanno esperimenti chimici e parlano di colori e arte. Questi momenti saranno ricordati più avanti da Zola quando in una lettera aperta al suo amico Paul Cezanne scriverà «Sono dieci anni che io e te discutiamo di arte e di letteratura. Abbiamo spesso abitato insieme, ti ricordi? E più di una volta il giorno ci ha sorpreso mentre ancora discutevamo, scavando nel passato, interrogando il presente, cercando la verità».

Cezanne è più grande, più ricco, più bello e possiede, secondo Zola, un talento vigoroso e originale capace di  ispirarsi alla natura così com’è. Eppure Zola ha una tenacia diversa, è «erotico, bacchico, fantastico, antico» e la sua capacità di influenzare l’animo inquieto e soggetto a continue depressioni di Cezanne lo porterà a incoraggiarlo nel lavoro ma sarà al tempo stesso causa della dolorosa fine del loro legame.

«Tra di noi non c’è mai stata una vera lite, – sosterrà Cezanne – non mi sentivo più a mio agio in una casa piena di tappeti, di domestici e l’altro che lavorava a una scrivania di legno scolpito» (Discorso al mercante Ambroise). Eppure la vera ragione della rottura è da rintracciare nella pubblicazione, da parte di Zola, del romanzo L’oeuvre, in cui è narrata la storia di un pittore incapace di portare a compimento il proprio lavoro e, sconfitto, morto suicida. Cezanne è convinto che il protagonista del romanzo sia lui e l’ancestrale necessità di essere approvato, soprattutto dal suo amico di sempre, si esaspera, fino a sentirsi tradito proprio da colui che avrebbe dovuto difenderlo. Sente di averlo deluso, supportato dal fatto di non ricevere più critiche positive da parte di Zola. Così gli scrive una lettera in cui, tra le righe, pare mettere un punto alla bellezza del loro passato. Zola rispetterà la sua voglia di separazione e non si vedranno più. Eppure nel momento in cui Cezanne viene a sapere della morte dell’amico si chiuderà in casa e piangerà a lungo.

Al di là di tutto rimane impressa nelle pagine del Salon (1859) di Zola l’epigrafe di una storia tra artisti. «Tu sei tutta la mia giovinezza, ti trovo unito a tutte le mie gioie, a tutte le mie sofferenze. I nostri spiriti, in fraternità, si sono sviluppati fianco a fianco. Oggi abbiamo fede in noi perché abbiamo penetrato i nostri cuori e la nostra carne». 

Ma è in un passo successivo che si fa chiara la reale influenza artistica tra i due, quando si legge «[…]in ogni cosa noi cercavamo la presenza dell’uomo, in ogni opera, dipinto, poesia, volevamo trovare un accento personale. Lo sai che eravamo dei rivoluzionari senza saperlo?».

Una nuova concezione artistica

E rivoluzionario Zola lo era davvero, sovversivo nei confronti dei canonici estetici preesistenti così come verso la massima autorità accademica. I Salon rappresentavano l’istituzionalizzazione dell’arte, il potere ufficiale capace di distruggere o consacrare una carriera, mentre Zola sognava uno spazio diverso, una sala in cui «[…]le tele di tutti i pittori del mondo fossero riunite[…]dove poter leggere, pagina per pagina l’epopea della creazione umana».

Non è un caso che il luogo predestinato al cambiamento Zola lo individui nella pittura, lì dove i canoni stilistici vengono meno e al loro posto subentra la vita umana. La bellezza ideale diviene impossibile da ottenere perché non esiste un metro di giudizio assoluto e la visione catturata dal singolo uomo, unita al dato immutabile della realtà, diviene creazione». Esiste la natura così com’è, indagabile e osservabile in modo analitico, ma ciò che forma l’arte è quella «[…]libertà di espressione di un cuore e di una intelligenza che tanto è più grande, quanto più è personale». L’arte tutta quindi corrisponde per Zola a «[…]un momento della creazione visto attraverso un temperamento», sfuggendo a quella funzione che Proudhon individuava nel miglioramento fisico e morale della specie. Scriverà «[…]la mia concezione dell’arte è negazione della società, affermazione dell’individuo al di fuori di tutte le regole e di tutte le necessità sociali» (Proudhon, Du principe de l’art et de sa destination sociale, p. 43).

La sua concezione si distanzia da Kant, da Hegel ma non elimina del tutto le sfumature romantiche che permangono a dispetto della sua fede positivista e influenzeranno l’intero movimento naturalista che si imporrà sia in pittura che in letteratura. La natura perciò, osservabile nella sua percezione scientifica, mantiene una dolcezza e una forza che la personalità dell’artista sono in grado di filtrare in un modo sempre diverso, sempre personalissimo. Un’opera racconta sempre qualcosa, trovi essa la forma della scrittura o quella della pittura, «[…]è come se leggessi la stessa poesia in mille lingue diverse e non mi stanco di rileggerla in ogni dipinto, affascinato[…]dalla forza di ogni dialetto». (Zola, 1897).

Sarà forse per questa sua consapevolezza del mondo nuovo, per il fatto di aver sentito sulla sua pelle una certa tensione al cambiamento, o per il suo giudizio scevro da sovrastrutture che da subito comprende la grandezza di un giovane pittore: Manet.

Zola e Manet

Quando il giovane Manet prova a esporre la sua opera l’Olympia, l’accoglienza da parte degli accademici è pessima. Stupisce il fatto che a difenderlo non furono gli altri pittori o i critici d’arte quanto al contrario Zola. Lo scrittore infiammò la scena del momento scrivendo un vero e proprio manifesto in soccorso a Manet, così come aveva fatto per il suo amico di sempre Cezanne. A rimanerne impressionato fu lo stesso Manet che in una lettera del 7 maggio 1866 scriverà che vorrebbe incontrare Zola per ringraziarlo di persona, ma che non sa come raggiungerlo. Così gli specifica che lui tutti i giorni dalle 5.30 alle 7 è presente al caffè de Bade del boulevard des italiens.

Dopo il lavoro nei rispettivi studi infatti, la vita degli artisti si trasferiva nei caffè, luoghi di svago ma soprattutto di incontro e di discussione. In un certo senso si potrebbe affermare che i caffè, nella Parigi di quegli anni, diventino la sede alternativa alle accademie, fucine di idee e di reciproche influenze tra pittori, critici, giornalisti e scrittori. «Il caffè forniva inchiostro, penna e fogli per scrivere, tutti i quotidiani (alcuni ne avevano più di cinquanta) e una grande quantità di bevande, dal caffè alla limonata, fino agli aperitivi alla moda. (Maria Teresa Benedetti, Impressionismo. Le origini).

Proprio in uno di questi luoghi inizia l’amicizia tra Zola e Manet, testimoniata da una lunga e fitta corrispondenza che andrà avanti fino alla morte di quest’ultimo nel 1883. Tra loro non ci saranno solo lettere, ma inviti a cena, fine settimana trascorsi nella casa di Zola a Medan e in barca, così come uno scambio continuo di libri che proverà come anche Manet fosse affascinato dalla letteratura. In altre parole l’arte dell’uno influirà su quella dell’alto.

Per Zola infatti interrogarsi sulla pittura è il modo migliore per creare, anche inconsapevolmente, l’ordito del proprio manifesto «Il mio studio su Èdouart Manet non è che un’applicazione del mio pensiero in campo artistico» (Zola, 1867).

Per Manet la letteratura fornirà il concreto spunto per più soggetti dei suoi quadri. In particolare vale la pena ricordare proprio Il ritratto di Emile Zola, in cui lo scrittore è ritratto nell’atelier dell’artista con in mano un libro d’arte e in cui, in un gioco di continui rimandi, su un tavolo del medesimo quadro viene raffigurato il saggio che Zola aveva dedicato all’artista.

Credo che Ricoeur abbia centrato perfettamente il senso del rapporto tra vita e arte, sostenendo che «Se, infatti, si riduce l’opera d’arte – che sia letteraria, plastica o musicale – soltanto a una fonte costitutiva di un ordine irreale, le si nega il suo mordente, la sua potenza di presa sul reale. Non dimentichiamo la duplice natura del segno: ritrarsi dal e ricadere sul mondo. Se l’arte non avesse, ad onta del suo ritrarsi, la capacità di fare irruzione in mezzo a noi, all’interno del nostro mondo, essa sarebbe totalmente innocente; sarebbe tacciata di insignificanza e ridotta a un puro divertissement». (Ricoeur, La critica e la convinzione, p. 244).

Bibliografia di riferimento

M.T. BENEDETTI, Impressionismo. Le origini, Giunti, Firenze 2002.P-J.
PROUDHON, Du principe de l’art et de sa destination sociale, Garnier fréres, Paris1865.
P. RICOEUR, La critique et la conviction, Calmann-Lévy, 1995 (tr. it.) La critica e la convinzione. Intervista con François Azouvi e Marc de Launay, Jaca Book, 1997.
E. ZOLA, Scritti d’arte, Angelo Signorelli, Roma 1993.

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