Vincent Van Gogh e Paul Gauguin: La casa gialla

di Gilda Diotallevi

Incipit

Esiste una forte connessione tra scrittura, pittura e vita in Van Gogh. «[…]ogni pennellata aveva, dentro di sé, il sostegno di un linguaggio» (J. van Gogh-Borger, La vedova Van Gogh, p.164). Egli infatti «scrive come dipinge[…]crea, quasi senza rendersene conto, testi di immenso valore poetico (Ivi, p.112). In particolare padroneggia l’arte di scrivere lettere, a cui affida il segreto della sua ricerca artistica e

le confessioni di un uomo alle prese con il suo cammino interiore, diviso tra le difficoltà del quotidiano e le più alte aspirazioni spirituali.

Vincent Van Gogh è la sua scissione, il desiderio di condivisione e di luce da un lato, la solitudine e la delusione di una realtà a cui non riesce ad adattarsi dall’altro. Respinto e incompreso, viene profondamente segnato dai suoi diversi incontri di vita, verso cui si getta donando tutto se stesso, perché per lui da sempre, ogni attività era un problema intimo e vitale (K. Jasper, p. 8). Eppure continua a sognare, a parlare di arte e progetti, a credere negli altri fino all’ultimo, fino al suo epilogo. È su questa base che andrebbe letta la storia della casa gialla, uno dei luoghi più famosi della narrazione artistica, in cui le personalità di due giganti dell’arte, Vincent Van Gogh e Paul Gauguin, convissero per un breve periodo, ispirandosi e condizionandosi a vicenda.

Il primo incontro

Il primo incontro tra Vincent Van Gogh e Paul Gauguin risale all’inverno del 1886. Paul è appena arrivato a Parigi a seguito della sua esperienza nella città bretone di Pont-Avene, Vincent è impegnato con il fratello Theodorus e il lavoro di quest’ultimo come gallerista e mercante d’arte. Si narra che i due fecero conoscenza proprio in una piccola esposizione organizzata da Theo per un gruppo di amici, i pittori del petit Boulevard (di cui facevano parte Anquetin, Bernard, Koning, Toulouse- Lutrec, in contrasto con quelli del grand Boulevard: Degas, Monet, Renoir, Sisley, Pissaro). Dal primo istante si stabilì uno strano equilibrio tra le loro personalità che, come una profezia, segnerà la storia successiva. Diversi artisticamente, ma soprattutto caratterialmente, Gauguin è un uomo sicuro di sé e di ciò che vuole ottenere nella vita. È già conosciuto, apprezzato e non fatica a guadagnare dai suoi quadri al contrario di Van Gogh che, anche quando nel 1887 riesce a venderne uno, regala l’esiguo compenso ottenuto a una donna appena uscita dal carcere femminile di Saint-Lazarin. Ancora incompreso come pittore, i quadri Vincent preferisce comprarli, o meglio farli acquistare al fratello per una loro collezione privata. I suoi invece è solito scambiarli e si comporta così anche con Gauguin che decide di prendere due versioni dei girasoli (lettera 576 n. 2), quelli con fondo blu e quelli con le spighe, per poi consegnarne in cambio a Vincent uno solo e senza permettere che questi possa sceglierlo. È con sufficienza che Paul si approccia a Vincent che, al contrario, sente da subito vicino quel modo di dipingere ricercando la trascendenza.

Ma la vera scintilla tra questi due grandi artisti avverrà nel periodo in cui dipinsero uno accanto all’altro, producendo capolavori in un clima tutt’altro che sereno.

La casa Gialla

La ricostruzione di questa storia di incontro-scontro tra Van Gogh e Gauguin è affidata alla scrittura, ovvero alla missive che nel tempo, come un segno del destino, cominciarono a scrivere e scambiarsi e a quelle che, di volta in volta, entrambi inviarono ai rispettivi confidenti.

Siamo nella primavera del 1888, Vincent è ad Arles per dedicarsi completamente alla pittura, mentre Paul il 22 marzo dalla Bretagna si vede costretto a scrivere a Theo, in quel periodo suo mercante, per via dei troppi debiti contratti. I soldi che aveva ricevuto per la vendita di suoi tre quadri erano terminati e da due mesi viveva a credito in una locanda di Pont-Aven. Alla ricerca di una soluzione scrive anche a Vincent, nella speranza che interceda con Theo. Il desiderio di Gauguin è quello di poter tornare in Martinica alla ricerca della spiritualità primitiva e della vita del “buon selvaggio” alla Rousseau, ma la sua posizione economica rende tutto irrealizzabile. Nel frattempo Vincent il primo maggio dello stesso anno, con l’aiuto del fratello, affitta l’ala destra di una casa di Place Lamartine 2, che nel tempo sarà conosciuta solo come la Casa Gialla.

Nella prima lettera che Vincent invierà al fratello per parlare di Paul e del modo di aiutarsi a vicenda si delinea il suo sogno, inseguito da tempo ma che non aveva mai assunto una forma concreta, quello di voler formare una scuola di pittori, una comunità di artisti in grado di autosostentarsi e di combattere le regole e i diktat delle accademie.

Mio caro Theo,

 ho pensato a Gauguin[…]se vuol venire qui[…]con lo stesso denaro che spendo per me solo, vivremo in due. Sai che mi è sempre sembrato idiota che i pittori vivano soli, ecc. Si perde sempre quando si sta isolati.

E poi è una soluzione al tuo desiderio di tirarlo via di lì. Non puoi mandare di che vivere a lui in Bretagna e a me in Provenza. Ma puoi trovare conveniente che si divida fra di noi, e fissare una somma diciamo di 250 franchi al mese, e inoltre e al di fuori del mio lavoro avere un quadro di Gauguin.[…]È d’altronde  mia  intenzione  mettermi  insieme  con altri.[…]e che Gauguin diventi socio con me.

Ecco come sarebbe l’inizio della società. Bernard, che pure va nel sud, ci raggiungerà e, sappilo bene, io ti vedo sempre e solo in Francia a capo di una associazione di impressionisti. (Arles, primi di giugno 1888)

Vincent infatti sa bene che «la maggior parte delle persone abbastanza intelligenti per amare e capire i quadri impressionisti sono e restano troppo povere per comprarli», che per procedere e dare nuova linfa all’arte non basta la buona volontà di un solo pittore, ma sarebbe necessario creare un vero e proprio movimento. Per questo sogna di fondare l’Atelier du Midi, una comunità solidale di artisti che, come lui, condividono l’insofferenza per l’accademia e gli schemi pittorici ormai superati, che possano, col sostegno reciproco, divincolarsi dai problemi economici e puntare alla realizzazione di una pittura e di un mondo diverso e migliore. «[…]bisogna mettersi insieme, come facevano gli antichi monaci, fratelli della vita in comune nelle nostre brughiere olandesi. […]ma poiché si tratta della vita in comune di diversi pittori, io dichiaro che anzitutto ci vorrebbe un abate per mantenere l’ordine e che naturalmente questi dovrebbe essere Gauguin».

A fronte dei sogni romantici di Vincent, Paul è molto più prosaico, non è attratto dalla visione di Vincent quanto invece dalla proposta economica di Theo. 250 franchi al mese da dividere, in cambio di un quadro ogni 30 giorni. Così quando gli arrivano i «4 fogli, con quella calligrafia ordinata, un po’ ondeggiante e solo qualche rarissima cancellatura» (M. Goldin, I colori delle stelle, p.54) con cui Vincent lo invita a raggiungerlo ad Arles non sa che decisione prendere. Vincent dal canto suo è già proiettato in avanti, in una dimensione di logorante attesa dell’amico che durerà ancora qualche mese e che lo renderà inquieto.

[…]La natura, il bel tempo di qui, ecco il vantaggio del sud. Ma credo che Gauguin non rinuncerà mai alla sua battaglia parigina, ci tiene troppo, e crede più di me nel successo duraturo. Non mi dispiace, al contrario; forse sono io che mi dispero troppo[…]. Mi accorgo già che Gauguin spera nel successo, che non potrebbe fare a meno di Parigi, non prevede che i fastidi possono durare sempre. (Agosto 1888)

Solo credo che non bisogna dire niente di spiacevole a Gauguin se cambiasse parere e prendere la cosa dal lato migliore. Se si mette insieme a Laval, è più che giusto, perché Laval è suo allievo e hanno già fatto vita in comune. A rigor di logica potrebbero venire qui tutte e due, si troverebbe il modo di sistemarli. Per il mobilio, se avessi saputo prima che Gauguin non veniva, avrei voluto avere lo stesso due letti, prevedendo il caso di dover ospitare qualcuno. (Arles, 22 settembre 1888)

Sono fin dall’inizio su due binari diversi.

Vincent è già proiettato in avanti, Penso molto a Gauguin, e avrei molte idee per i quadri e per il lavoro in generale, (Arles, seconda metà di luglio 1888). Comincia a dipingere qualcosa che sa potrebbe piacere a Paul e si impegna nell’arredare la Casa Gialla. Ne voglio veramente fare una casa di artista, […]niente di prezioso, ma che tutto, dalla sedia al quadro, abbia un carattere. (10 settembre 1888) Compra i letti, appende i quadri e pulisce casa. Vuole che Paul abbia la stanza più bella, quella con la vista migliore. In fondo Vincent era fatto così, si gettava a capofitto sulle cose e tutto per lui era questione personale, tutto aveva un valore sentimentale. Comincia a sperare che il suo sogno si possa realizzare, che quella casa, oggi non più esistente, si possa animare, lasciandocene una preziosa descrizione proprio nelle sue missive.

I muri sono lilla pallido. Il pavimento è a mattoni quadrati rossi. Il legno del letto e le sedie sono giallo burro chiaro, il lenzuolo e i cuscini verde limone molto chiaro. La coperta rosso scarlatta. La finestra verde. La tavola di toilette arancione, il bacile blu. Le porte sono lilla. E non c’è altro – nient’altro in questa stanza con le persiane chiuse. La quadratura dei mobili deve rafforzare l’idea di un riposo inalterabile. Sul muro di entrata, uno specchio, un asciugamano e alcuni vestiti. La cornice – dato che non c’è niente di bianco nel quadro – sarà bianca. (metà ottobre 1888)

Paul, al contrario, sa di dover porre se stesso e i suoi progetti al primo posto. Si conosce bene e temendo che la vita con Van Gogh sia troppo limitante, continua a indugiare.

La vita con-divisa

Dopo 10 lunghi mesi di lettere e trattative, sarà solo il 21 ottobre che Paul, ricevuti 330 franchi da Theo per la vendita di alcune ceramiche, prenderà il treno in direzione sud, animato più che altro dalla necessità di sopravvivere e procurarsi soldi per poi ripartire. Ma se Paul vede tutto come un passaggio forzato, come una soluzione temporanea, per Vincent invece in gioco c’è molto di più. Riponeva nella sua idea di un atelier di pittori la speranza di un riconoscimento artistico, il sogno di discutere e condividere fraternamente una spazio e, non ultimo, la possibilità di rendersi economicamente autosufficiente. Aspirazioni diverse e volontà taciute fanno così da sfondo al loro incontro ad Arles, di cui troviamo testimonianza nelle lettere che, entrambi, indirizzeranno a Theo.

V: Paul è in condizione di salute migliore di quanto lo sia io.[…]Come uomo è molto interessante, e ho la massima fiducia che insieme faremo molte cose. È provabile che qui produca molto, e spero di farlo anch’io. […]Per un momento ho avuto la sensazione che mi sarei ammalato, ma la venuta di Gauguin mi ha talmente distratto che sono sicuro mi passerà (24 Ottobre).

P: Vincent appare agitato, insicuro, teso.

Vincent nutre da subito una grande ammirazione verso Paul, «un essere puro, dagli istinti selvaggi», che lo affascina con i suoi racconti di vita e di mare. Sente che proprio Gauguin, figura romantica di un artista maledetto e vagabondo, potrebbe essere la persona giusta, il catalizzatore di quella nuova scuola. Il suo ancestrale bisogno di accettazione, sempre frustrato dagli accadimenti della vita, quel bisogno di riconoscimento artistico che da tempo inseguiva sembrano essere lì ad un passo. Ma Paul non è affatto convinto, non lo è fin dall’inizio. Teme che quello spazio sia troppo stretto per contenere entrambi, poco utile alla sua maturazione artistica.

Anche caratterialmente non potrebbero essere più diversi.

Vincent, definito da Paul «un cuore buono, ma malato», era sempre proiettato nel suo passato, lì dove poteva sentirsi al riparo dai quei mali e da quelle delusioni che ormai ne avevano forgiato il carattere. Era schivo, con un animo sensibile e buono ma profondamente ferito dalla vita. Ha un carattere generoso ma imprevedibile, a tratti collerico, che gli rende difficile instaurare rapporti d’amicizia. Non riesco a starmene tranquillo, le mie idee fanno talmente parte di me stesso che, talora, mi sembra che mi prendano alla gola.

Paul invece si autodefiniva aperto al vento e alle tempeste, pronto a navigare in direzione del futuro. Aveva un carattere forte, fiero e sicuro di sé. Disincantato dalla vita, brama a tal punto l’indipendenza e la fama di artista da essere pronto a sacrificare ogni cosa, anche la sua famiglia, anche lasciare la sua figlia più grande verso cui provava un affetto profondo e sincero.

I primi giorni di convivenza passano sereni. In una lettera a Bernard, Paul si vantò di aver riportato l’ordine in casa, di essere lui a cucinare e a farlo molto meglio di Vincent che invece nella vita domestica era un vero disastro. Pur nella differenza dei due temperamenti, sono entrambi presi dalla loro arte, dalla scoperta del colore e delle possibilità che la luce di Arles offre. Vincent porta Paul all’esterno,  gli mostra il proprio modo di lavorare in mezzo alla natura, mentre Paul cerca di educarlo alla riflessione, all’osservazione meditativa del proprio soggetto e alla realizzazione in studio.

Ma i germi della scottante delusione di Vincent ci sono già tutti. Quest’ultimo è entusiasta, sempre più coinvolto dal sogno di quella scuola del sud che avrebbe dato una nuova scossa all’arte. Paul invece non è del tutto sincero e, animato dal proprio senso di libertà e di ricerca, nasconde la sua vera intenzione. Non comunica a Vincent che si sarebbe trattenuto giusto il tempo di guadagnare il sufficiente per andarsene e, anzi, in qualche modo comincia a illuderlo, facendolo di nuovo sperare in un futuro fatto di amicizia e pittura.

Dopo la prima metà di novembre, nonostante le buone intenzioni, tra i due si crea un’atmosfera tesa, corredata da attriti e reciproci disagi. La distanza nel concepire l’arte rende ancora più difficile un rapporto già messo in crisi da personalità tanto complesse. Paul non sopportava la visione salvifica che Vincent attribuiva all’arte, «[…]consolazione, quello doveva essere il suo fine[…]il pittore essere un missionario, la sua parola il colore». Per Gauguin invece «la pittura era stile, costruzione della forma associata al colore, non poteva essere pagina di diario, consumarsi dell’anima, disperazione raccontata nei quadri». (I colori delle stelle, p.148-149). Ma anche l’approccio pratico al lavoro era differente.

L’arte di Vincent, quella in grado di guarirlo dal dolore, dagli stati di prostrazione e alcolismo, doveva realizzarsi all’aperto, sotto il sole, in mezzo a mosche e zanzare. La necessità di un tale contatto con la natura lo faceva trovare spesso travolto dal vento, tanto da essere costretto a legare dei pesi al cavalletto per evitare che volasse via. Partiva la mattina presto portandosi dietro le tele, la cassetta dei colori e una piccola sacca con pane e latte, suo unico alimento quotidiano. Una volta poi che apriva i suoi occhi sulla tela vuota, ci si gettava sopra, per «avvolgerla come fa l’edera, respirarci insieme, scuoterla, farne vela per il vento che spinge» (I colori delle stelle, p. 87). Aveva un «[…]modo quasi aggressivo di dipingere, da togliere il respiro e il cuore» (Ivi, p. 86).

Quando uscivano a dipingere insieme, spesso Paul si allontanava in solitudine. «Sapeva bene di essere diverso e così come era stato finora nella sua vita, aveva bisogno di immergersi a lungo nei luoghi che non conosceva. Entrandoci prima attraverso il disegno, così da coglierne lo spirito, lentamente, l’essenza più profonda, la verità» (Ivi, p.82). La pittura vera e propria era una fase successiva, prima «venivano giornate così, di nessuna pittura e invece di contemplazione». Era sua abitudine infatti concludere i suoi dipinti al chiuso ma, nonostante Vincent volesse venirgli incontro sistemandosi in cucina e lasciandogli lo studio, per Paul era impossibile lavorare nel disordine. La casa era troppo piccola e la sua volontà di mettere il quadro in tranquillità diveniva impossibile con la presenza continua di Vincent. Tutto ciò non faceva che creare ulteriori nervosismi.

Paul inoltre criticava spesso il lavoro di Vincent che ne rimaneva ferito perché, ancora una volta, ad essere messa in dubbio era la sua verità. «Sentiva che quando criticavano i suoi quadri, e anche Gauguin talvolta lo faceva, stavano mettendo in dubbio che avesse un corpo, e un’anima, e che si fosse dato completamente nell’atto del dipingere» (Ivi, p.111). Il senso di questa sua suscettibilità è rintracciabile anche in un’altra lettera che scrisse in riposta alle critiche del suo amico van Rappard

Anche se seguito a produrre opere nelle quali si potranno ritrovare difetti, volendole considerare con occhio critico, esse avranno una vita propria e una ragione d’essere che supereranno i loro difetti, soprattutto per coloro che sapranno apprezzarne il carattere e lo spirito. Non mi lascerò incantare facilmente, come si crede, nonostante tutti i miei errori. So perfettamente quale scopo perseguo; e sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me.  Tuttavia, a volte questo mi avvelena la vita, e credo che molto probabilmente più d’uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e di indifferenza. Io paro i colpi isolandomi, al punto che non vedo letteralmente più nessuno.

Vincent dimostrava ammirazione verso il suo amico e sentiva sempre più forte il desiderio di coinvolgerlo nel suo sogno. Ma Paul non se ne curava, per lui l’esperienza della casa gialla era solo una parentesi, doveva resistere il minimo indispensabile per poter mettere da parte quanto necessario per andar via. Non meraviglia quindi che in una lettera di quel periodo, spedita a Bernard, palesi la propria disaffezione per Arles e per Van Gogh in particolare. Scrive poi anche una lettera a Schuffenecker in cui ribadisce la paura che la propria maturazione pittorica possa subire un arresto in quella situazione mortificante, accanto a uno strano personaggio come Vincent Ad Arles mi sento un estraneo, trovo tutto piccolo e povero, il posto e le persone. Vincent e io andiamo in genere poco d’accordo, soprattutto quando si tratta di pittura. […]io gli rispondo sissignore, avete ragione, per avere pace. Quest’ultimo lo percepiva e la freddezza dimostrata dall’amico lo rendeva scontroso, taciturno. Si confida a tal riguardo con il fratello scrivendogli,

Mio caro Theo, […]Credo che Gauguin si sia un po’ scoraggiato della piccola città di Arles, della piccola casa gialla nella quale lavoriamo, e soprattutto di me. Infatti ci sono per lui, come per me, molte difficoltà gravi da vincere. Ma queste difficoltà sono soprattutto in noi. Insomma credo che partirà decisamente oppure resterà definitivamente. Prima di agire gli ho detto di riflettere e di rifare i suoi calcoli. Gauguin è molto forte, è un grande creatore, ma proprio per questo gli occorre la pace. La troverà altrove se non la trova qui? Aspetto che prenda la sua decisione in assoluta serenità. (Arles, 23 dicembre 1888)

Ma da quanto invece evincerà dalla corrispondenza di Paul con Schuff e poi con lo stesso Theo, la decisione di abbandonare quel luogo era già chiara in lui.

Devo molto a Theo e Vincent e nonostante qualche disaccordo non posso nutrire rancore verso una persona di buon cuore, che è malata, che soffre e che mi cerca perché vuole stare con me. Rimango qui, in questa casa che a volte mi sembra una prigione, ma pronto ad andarmene in qualunque momento. (Lettera a Schuff 22 dic. in I colori delle stelle, p.150)

Si riconciliavano ma, non appena la vita di tutti i giorni riprendeva il suo corso, nuovi scontri e litigi si riaccendevano. «La discussione diventa di un’estrema elettricità e ne usciamo spesso con la testa stanca, come una batteria elettrica scarica» (K. Jasper, p. 8).

Van Gogh fin dall’inizio di questo sodalizio aveva manifestato una certa agitazione, ma ora questa era di una natura diversa. Aveva intuito che quel desiderio di rivalsa verso i suoi numerosi fallimenti artistici stava per infrangersi. Un misto di malinconia e sconfitta lo rendeva inquieto, irritato. Racconterà Gauguin più tardi: «Negli ultimi tempi del mio soggiorno, Vincent fu dapprima rumoroso, intrattabile, poi improvvisamente silenzioso. Lo sorpresi, alcune sere, in piedi vicino al mio letto. […]Comunque, bastava dirgli: ‘Cosa c’è Vincent?’ perché se ne tornasse a letto in silenzio e si addormentasse profondamente. […] Quella sera andammo al caffè. Ordinò un assenzio molto leggero. Improvvisamente mi rovesciò in faccia il bicchiere e il suo contenuto». (P. Gauguin, Scritti di un selvaggio, pp. 108-109). Secondo la ricostruzione di Paul, da molti non considerata veritiera, poco prima di Natale Vincent, nel caffè di Madame Ginoux (che divenne il soggetto del quadro l’Arlesiana), ubriaco, lanciò all’amico un bicchiere pieno di assenzio. Il mattino seguente poi, sentendosi tremendamente in colpa gli chiese scusa e Paul, pur perdonandolo, lo avvertì che se si fosse ripresentata una situazione simile, non potrei essere padrone di me e strangolarvi (Gauguin, Avant et Aprés, paris, 1923, p. 20), ma tornò comunque sui suoi passi, descrivendo l’accaduto solo un «brutto sogno». Rimandò ancora la sua partenza, confondendo di nuovo Vincent, ormai esausto.

La vigilia di natale

In un clima di calma apparente pronta a infrangersi, i nostri arrivarono fino alla vigilia di natale. È una data cruciale per i due artisti, perché da questo momento nulla sarà più recuperabile. In poco si compie l’inevitabile, segnando la fine di una collaborazione e di una amicizia che avrebbe potuto lasciarci molti altri capolavori.

Vincent, di domenica mattina presto, sente uscire Paul in silenzio. Avverte l’imminenza dell’addio e, turbato, compie un atto estremo. Quando la mattina seguente Paul torna a casa per prendere le sue cose e andare via, vede delle guardie nella piazzetta adiacente casa loro che gli riferiscono che Vincent si era tagliato un orecchio. Chiama perciò, nonostante la contrarietà di Vincent, Theo che si precipita ad Arles il giorno di natale.

Caro fratello, sono talmente desolato del tuo viaggio, avrei desiderato che ti fosse stato risparmiato. Perché  in definitiva non mi è successo niente, e non c’era ragione di disturbarsi.(1 gennaio 1889)

Sul retro di questa stessa lettera Van Gogh scrisse il seguente messaggio per Gauguin:

Mio caro amico Gauguin, approfitto della prima uscita dall’ospedale per mandarle due parole di amicizia sincera e  profonda. Ho pensato molto a lei quando ero all’ospedale, anche con la febbre alta e la debolezza relativa. Mi dica, amico mio, il viaggio di mio fratello Theo era proprio necessario? Per lo meno ora, lo rassicuri, completamente, e la prego di stare tranquillo, che´ in definitiva non esiste alcuna disgrazia in questo mondo, dove tutto va sempre per il meglio. Inoltre desidero che lei saluti tanto da parte mia il buon Schuffenecker, e che si astenga fino ad una più matura riflessione dal parlar male della nostra povera casetta gialla; la prego di salutare da parte mia i pittori che ho visto a Parigi. Le auguro buona fortuna a Parigi. Con una forte stretta di mano, suo Vincent.

Di colpo tutto prese una nuova piega e perfino Vincent, all’inizio restio a osservare l’intera faccenda, si rese conto di essere stato tradito e non solo circa il suo sogno artistico, ma anche sotto il profilo umano, riguardo quell’amicizia e solidarietà in cui tanto aveva confidato.

E ora occupiamoci delle spese causate da un telegramma di Gauguin che avevo formalmente rimproverato di averti spedito. Le spese fatte cos`ı extra sono forse inferiori a 200 fr.? E Gauguin crede di aver avuto delle iniziative geniali? Sentite, non insisto sull’assurdità di questo modo di procedere, supponiamo pure che io fossi del tutto fuori senno quanto volete, e allora forse che l’illustre collega era un po’ più calmo, lui? […]Non saprò lodarti mai abbastanza per aver pagato Gauguin in modo tale che egli non possa che avere da compiacersi per i rapporti avuti con noi. Non deve lui, o almeno non dovrebbe cominciare a capire che non eravamo i suoi sfruttatori, ma che al contrario ci premeva di salvaguardargli l’esistenza, la possibilità di un suo lavoro e… e… la sua onestà?  Se ciò è al di sotto dei suoi grandiosi progetti di associazione fra artisti che ci ha proposto e ai quali tiene sempre nel modo che sai, se ciò è al di sopra dei suoi castelli in aria – perché allora non considerare lui responsabile dei dolori e dei guai che inconsciamente avrebbe potuto procurare a te e a me con il suo accecamento? Se Gauguin fosse a Parigi per studiarsi un po’ o per farsi osservare da uno specialista, in fede mia non so proprio quale sarebbe il responso.[…]Ma lui…, in fede mia, che faccia tutto ciò che vuole, che abbia la sua indipendenza??? (in che modo considera il suo carattere indipendente), le sue opinioni, e che vada per la sua strada, dal momento che pare la conosca meglio di noi. (Arles, 17 gennaio 1889)

Cominciava a pensare che Paul, in fondo, si era approfittato di lui e del fratello e una malinconia senza soluzione adombrò il suo animo. Si chiuse in se stesso, timoroso di essere stato di nuovo frainteso e abbandonato, senza però smettere di pensare all’arte. È pur sempre però un peccato che Gauguin ed io abbiamo lasciato troppo presto il problema di Rembrandt e della luce, che avevamo cominciato a studiare. Il suo più grande dolore, l’ aver visto svanire la possibilità di una svolta nella sua posizione di artista, comincia a consumarlo. La società si è dispersa. Forse prendo tutte queste cose troppo a cuore e mi rattristo troppo.

Il 18 gennaio successivo infatti Van Gogh scrive ancora a Theo: La miglior cosa che egli potrebbe  fare, e che naturalmente non farà, sarebbe di tornare semplicemente qui… Oso credere che in fondo io e Gauguin, come natura, ci amiamo abbastanza per potere, in caso di necessita`, ricominciare ancora insieme.

Mentre Paul si esprime secondo tutt’altra intenzione. «Sono fuggito[…]dopo il morbo della civilizzazione, la vita in questo nuovo mondo è un ritorno alla salute». (P. Gauguin, Noa Noa, 1901)

Ci dice invece molto dell’animo di Vincent, della sua natura, il fatto che anche nella lettera in cui si sfoga circa il comportamento di Paul, finisca poi col tentare di comprendere il suo amico, di volerlo, in cuor suo, assolvere.

Fisicamente è più forte di noi, e le sue passioni devono essere ben più forti delle nostre. Inoltre è padre, ha sua moglie e i suoi bambini in Danimarca, e nello stesso tempo vuole andare nel punto opposto della terra, in Martinica. È spaventosa la contraddizione di desideri e di bisogni che tutto ciò deve causargli.(Arles, 23 gennaio 1889).

Hai ragione che la partenza di Gauguin è terribile […]E anche se oggi tutti  avranno paura di me, col tempo ciò scomparirà. Tutti siamo mortali e soggetti a tutte le malattie possibili. Che ci possiamo noi se queste ultime non sono sempre di tipo piacevole. La miglior cosa è cercare di guarirle. Io pure ho dei rimorsi pensando alla pena che da parte mia ho causato, seppure involontariamente, a Gauguin.

Ma prima degli ultimi giorni io non vedevo che un’unica cosa, cioè che lavorava col cuore diviso fra il desiderio di andare a Parigi per la realizzazione dei suoi programmi e la vita ad Arles. Che ne sarà di tutto questo per lui?

In una lucida autoanalisi, racconterà ai suoi dottori e al fratello che […]mi restano grandi rimorsi, difficili da definire. Credo sia stata questa la causa che mi ha fatto gridare tanto durante la crisi, perché volevo difendermi e non ci riuscivo.

Nonostante si rechi volontariamente in una casa di cura e che la sua intelligenza e lucidità di spirito lo rendano conscio dell’accaduto e delle motivazioni alla base dei suoi comportamenti, avverte di nuovo quella sottile paura che lo aveva da sempre frenato in ogni definitivo progresso di guarigione. «Eppure la malinconia mi riprende spesso con grande violenza: allora mi sento tanto triste». Decise così di fare l’unica cosa in grado di renderlo felice, riprendere a dipingere. Per lui l’arte non era una professione o un passatempo, ma la pura salvezza, la sopravvivenza, l’unica terapia in grado di farlo andare avanti nonostante l’alternanza di momenti di tristezza e di gioia.

L’epilogo

Ripensando a quel periodo nella casa gialla Vincent avrà un solo timore

[…]Forse potrai capire che quello che mi rassicurerà in qualche modo sul mio male e sulla eventualità di una ricaduta sarebbe constatare che Gauguin ed io non ci siamo esauriti il cervello per niente, ma che il risultato sono stati dei buoni quadri.

In realtà il periodo di Arles, seppur fatale per la sua salute mentale, rappresenta il momento migliore della sua produzione artistica, anche se il rispetto come artista, tanto inseguito in vita, lo guadagnerà solo dopo la sua morte. La ricerca del sacro, dello spirituale con cui Vincent si votava all’arte, a Dio e alla fede, appare per Paul impossibile da rintracciare nella società moderna. Dopo questa breve parentesi nel Midì, si dirigerà nelle isole del Pacifico, nella speranza di ritrovare luoghi e persone ancora in grado di vivere secondo il senso mitico-magico.

Vincent fino all’ultimo cercherà di sapere il giudizio di Gauguin su di lui, vorrà contattarlo e palerà di lui. In una lettera del 1890, un mese prima di togliersi la vita, Vincent, amareggiato e deluso, scrisse al fratello

Ho ricevuto una lettera di Gauguin piena di malinconia: parla vagamente di essere fermamente deciso ad andarsene nel Madacgascar.

Quest’ultimo invece, lontani ormai i giorni vissuti in comune, non avrà altro contatto con Van Gogh, anche se volle portare con sé i famosi girasoli che tanto amava. Persino nel suo viaggio a Tahiti del 1990 ordinò che dei semi di girasole gli fossero mandati da Parigi. Non è un caso che, con orgoglio, in una delle sue ultime lettere al fratello Vincent scrisse

Tu sai, d’altra parte, che Gauguin ama moltissimo quei quadri. Mi ha detto, fra le altre cose: «Questo… e`… il fiore». Sai che Jeannin ha la peonia, che Quost ha la rosa, ma io ho il girasole. (Arles, 23 gennaio 1889)

Bibliografia di riferimento:

K. JASPER, Strindberg und Van Gogh, 1922.
P. GAUGUIN, Avant et après, 1903.
P. GAUGUIN, Scritti di un selvaggio, Guanda, Parma 1983.
P. GAUGUIN, Noa Noa, Passigli, Firenze 2000.
P. GAUGUIN, Letters of Paul Gauguin à Emil Bernard 1888-1889, Genève 1954
J. van GOGH-BORGER, La vedova Van Gogh, Marcos y Marcos, Milano 2016.
V. van GOGH, Lettere a Theo, Guanda, Parma 2013.
V. van GOGH, The complete letters of Vincent Van Gogh, Thames & Hudson, London 1999.
M. GOLDIN, I colori delle stelle. L’avventura di Van Gogh e Gauguin, Solferino, Milano 2019.

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