Psicologia e filosofia dell’abitare


Di Alessandro Montagna

Introduzione

Abitare in una casa non si risolve solamente nel risiedere in un ambiente, un edificio funzionale per garantire la propria sicurezza, ma significa anche e soprattutto vivere un simbolo, un luogo degli affetti e dei legami familiari. Mentre nella lingua italiana siamo abituati a denominare “casa” nella duplice accezione di edificio e di dimensione interiore, la lingua inglese offre una feconda riflessione sulla differenza tra i termini “house” e “home”, ossia, rispettivamente, struttura fisica nel primo caso e dimensione degli affetti nel secondo.

Nel corso dell’articolo verranno prese in esame le varie teorie filosofiche e psicologiche che si sono occupate di interpretare simbolicamente l’abitare e si affronteranno tematiche quali l’analisi di parti della casa come luogo dell’anima: la porta, le stanze, le scale e altro ancora, lette e considerate in chiave interiore e legate alla dimensione psicologica di chi la abita.

A tal proposito, in una prospettiva psicologica umanistico-esistenziale Maslow, nella elaborazione della sua piramide dei bisogni, posiziona l’abitare nei bisogni di sicurezza, immediatamente dopo quelli fisiologici, e perciò basici, legati al respirare, bere e mangiare. (A. Maslow, Motivation and Personality, 1954).

Per concludere questa introduzione si riporta anche come Ruskin, il raffinato esteta di fine Ottocento, nel suo saggio La lampada della memoria affermava che: “Se gli uomini vivessero veramente da uomini, le loro case sarebbero dei templi, templi che non oseremmo tanto facilmente violare e nei quali diventerebbe per noi salutare poter vivere” (L. Bonesio, L. Micotti, Paesaggi di casa. Avvertire i luoghi dell’abitare, p. 112).

La casa assume perciò le sembianze di un luogo consacrato da chi la abita, in ultima istanza una sorta di microcosmo al cui centro è posto il focolare (quello che i greci chiamavano Hestia: ovvero il centro della Terra e al contempo il centro della casa).

Filosofia dell’architettura

I filosofi dell’utopia, quali Platone, Moro e Campanella non hanno trascurato una sorta di progettazione architettonica dei luoghi nei quali trovano posto le loro teorizzazioni utopiche. Si pensi, a tal proposito, a Campanella, il quale richiedeva di decorare e disegnare momenti storici della Città del Sole, allo scopo di educare pedagogicamente e insegnare la storia della propria località alla popolazione.

Compiendo un passo avanti dal punto di vista cronologico, il filosofo positivista Jeremy Bentham progetta il Panopticon. Si tratta di una costruzione a forma di anello con una torre al centro, dalla quale è possibile tenere sotto controllo tutto quello che accade nell’edificio. La struttura del Panopticon è assimilabile a quella di tutti quegli edifici in cui è necessario controllare diversi ambienti contemporaneamente, come nelle scuole, negli ospedali o nei carceri. Per esempio, in un carcere speciale, è prevista una struttura circolare in cui risiedono i prigionieri e un padiglione centrale oscurato in cui si ritiene debba essere posizionata una guardia. Non importa che il custode sia effettivamente presente, dal momento che egli non è visibile dai detenuti, ma il suo sguardo si rivela onnicomprensivo. Infatti i carcerati sono indotti al rispetto delle regole dal timore di poter essere osservati in qualunque momento.

Anche i socialisti-utopisti ottocenteschi come Fourier si occupano di progettazione urbana e di abitare: lo stesso Fourier, infatti, cerca di coniugare vita lavorativa in fabbrica e familiare e progetta l’edificio del falansterio, che verrà ripreso nel corso del Novecento, nelle “arcologie” dell’architetto italiano Soleri. Inoltre seguendo questo filone che si inserisce nella scia del rapporto tra lavoro operaio e vita sociale, sono state realizzate in concreto ed edificate delle abitazioni per operai nel piccolo comune di Crespi d’Adda, in provincia di Bergamo. Il “villaggio operaio”, sorto nel 1878 per volere dell’imprenditore tessile Crisostomo Benigno Crespi, attira notevole attenzione per la peculiare trasformazione architettonica per funzioni lavorative ed attualmente è stato riconosciuto come patrimonio dell’Unesco. Accanto alla via principale della località si snodano intere file di villette con piccolo giardino che conducono alla fabbrica. Risulta chiaro come a differenza del modello del falansterio proposto da Fourier, il quale si sviluppa verticalmente come un palazzo alto e di grandi dimensioni, il villaggio operaio di Crespi d’Adda è costituito da case unifamiliari, bifamiliari o ville singole disposte sul piano orizzontale.

Il filosofo Georg Simmel, particolarmente interessato all’ambito sociologico, sostiene sia utile adottare una metodologia estetico-estesiologica del paesaggio e dello spazio. Questa concezione viene ripresa, anche se con peculiarità proprie, da Walter Benjamin, il quale ne I “passages” di Parigi pone enfasi sul concetto di intérieur e giunge a teorizzare un’analogia tra interno della casa e interiorità della nostra anima. Nella sua prospettiva, quindi, la porta di ingresso determina la soglia di comunicazione tra anima e mondo esterno.

É noto che il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein si sia occupato di giardini e abbia progettato e presieduto ai lavori di costruzione della villa di famiglia edificata a Vienna tra il 1926 e il 1928 con la collaborazione dell’architetto Paul Engelmann. La casa, tuttora esistente, è stata realizzata secondo i canoni estetici dell’architettura razionalista.

In tempi più recenti, il filosofo Fulvio Papi ha dedicato al rapporto filosofia-architettura un ciclo di conferenze universitarie presso la facoltà di architettura dell’università di Milano Bovisa, redatte poi nel volume Filosofia e architettura (F. Papi, Filosofia e architettura, 2000).

Il contributo del sociologo Marc Augé riguarda un’analisi di quelli che lui definisce i non-luoghi presenti nella città, ovvero spazi identici presenti in città differenti come ad esempio aeroporti, stazioni, cimiteri. Il concetto viene trasposto in modo similare dall’architetto olandese Rem Koohlas tramite l’appellativo di “città generica”. Paul Virilio ritiene che nella città del futuro lo scopo del costruire diverrà la dinamica specifica dell’informare e gli edifici saranno costituiti soprattutto con lo scopo di voler informare sempre di più i passanti attraverso, ad esempio, messaggi pubblicitari ed insegne colorate collocati in giro per la città. Il villaggio che verrà a configurarsi sarà così globale (come tra l’altro aveva sostenuto McLuhan) e pubblicitario.

Filosofia e casa

Martin Heidegger,  in una conferenza tenutasi nel 1951 a Darmstadt, espone una sua teoria sul rapporto stretto esistente tra costruire e abitare. A suo avviso, l’essenza del costruire consiste nel far abitare e nel ripararsi in un luogo sicuro in cui terra e cielo, i divini e i mortali, convivano nella loro semplicità (M. Heidegger, Costruire, abitare, pensare p. 107). Basandosi sulla lingua tedesca egli pone in correlazione e fa coincidere “bauen” e “baun”, ossia costruire e abitare, e, ancora, costruire e coltivare. Heidegger conclude la sua disamina sostenendo che diviene di primaria importanza imparare ad abitare che, nella sua ottica, significa abitare in modo “poetico”, esente da considerazioni altre. Fuor di metafora, l’intento di Heidegger è quello di persuaderci che per vivere pienamente il senso dell’abitare occorre non pensare a vivere in una abitazione solo per esigenze lavorativo o    pratiche , bensì considerare in modo interiore e legato alla propria anima la vita condotta nella propria abitazione.

La prospettiva di Jacques Derrida si pone invece agli antipodi dalle considerazioni heideggeriane dal momento che rifiuta la motivazione secondo cui lo scopo del costruire sia l’abitare e ritiene invece preferibile costruire per creare uno spazio della condivisione, della creatività, dell’apertura all’altro. Per questo motivo, egli sostiene che le porte e le finestre delle abitazioni devono offrire l’idea di uno spazio ibrido. In tal modo si ripensa concettualmente lo spazio in modo decostruzionista, propedeutico al formare uno spazio altro, uno spazio a venire, da lui definito, sulla scia platonica, Chora.

Luoghi dell’abitare e luoghi del ricordare

Il mondo degli oggetti che popolano le stanze di una abitazione contengono così tanti frammenti di ricordi da poter far ritenere la propria casa luogo d’elezione per la memoria. (A.Montagna, Vivere nella contemporaneità. Luoghi dell’abitare e luoghi del ricordare). Le cose, infatti, parlano di noi, del nostro modo di essere e dei ricordi che ci circondano. La casa, quindi, viene considerata come “specchio di noi stessi” e una modalità per rivolgerci alla nostra interiorità.

La camera da letto riporta ai momenti di sogno, nonché alla rielaborazione dei ricordi durante le riflessioni condotte da soli con noi stessi. La cucina può essere in grado di stimolarci ricordi di tipo olfattivo e gustativo come ci ricorda magistralmente l’esempio proustiano della madeleine. Assaporare pietanze che da tempo non mangiavamo più può riportarci in luoghi spazio-temporali differenti come quelli dell’infanzia. Il soggiorno è la camera dove si trascorre la maggior parte della vita casalinga da svegli. Gli oggetti qui riposti conservano un valore simbolico per noi; alcuni di essi si fanno testimoni di persone care che ce li hanno regalati, altri ci ricordano momenti importanti della nostra vita, i souvenir sono un richiamo mnestico dei luoghi che abbiamo visitato. L’album fotografico infine ci offre un supporto per la memoria e salva quei ricordi che rischierebbero di finire nell’oblio. Oltre agli oggetti, il nostro rapporto con i mass media (tv, computer) può essere utile per ricordarci momenti di vita fondamentali, in quanto questi strumenti possiedono poderose capacità di registrazione e archiviazione, oltre talvolta a far coincidere e porre in relazione memoria personale e memoria storico-culturale e collettiva (cfr. A. Assmann, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale).

Per una psicologia della casa

Dopo aver trattato la tematica dell’analisi filosofica del fenomeno abitativo e architettonico tout court, ci si concentra ora sull’aspetto psicologico connesso all’abitare. Come ha modo di notare Walter Benjamin “abitare significa lasciare tracce” (W. Benjamin, I passages di Parigi, op.cit., p. 12), da ciò deriva anche che abitare non è solamente vivere, ma anche riflettere su se stessi. La persona, conservando oggetti, parla di se stessa, comunica qualcosa di sé agli altri. In tal modo, la casa viene considerata da alcuni studiosi di topografia psicologica (psicologia della casa) la metafora della propria anima. Quindi i luoghi della casa possono venire assunti quali luoghi della psiche umana.

Un teorico che dedica un primo approccio a questo filone può essere considerato lo psicanalista Carl Gustav Jung, discepolo di Sigmund Freud, il quale compie studi su quelli che lui definisce “archetipi collettivi”, ossia idee cardine e ataviche presenti in tutti gli esseri umani. Egli, nella sua opera Psicologia analitica stabilisce un parallelo tra casa e psiche umana, creando una sorta di planimetria di un’abitazione su tre piani. Egli ritiene che la soffitta corrisponda al Super Io (istanza delle norme morali formatasi nel bambino a partire dai 5 anni dopo aver risolto la fase edipica), il pianterreno coincida con l’Io (dimensione della coscienza e del piano della realtà) ed infine la cantina sia l’emblema dell’Es (la parte più arcaica, sede degli impulsi irrazionali e delle inclinazioni oniriche).

L’impostazione junghiana apre la strada ad interpretazioni psicologiche dello spazio dell’abitare, la cui più rilevante e feconda espressione è senza dubbio la ricerca condotta dal filosofo francese Gaston Bachelard, riguardante la dimensione domestica quale luogo di sogno (réverie) e di ricordi della propria infanzia. Nella sua topo-analisi egli afferma che la casa è il nostro primo spazio nel mondo, il nostro “primo universo” (G. Bachelard, La poetica dello spazio, p. 32). Egli cita numerosi poeti e letterati che hanno descritto o offerto considerazioni sull’abitare, sul vivere intimamente la casa. Partendo dall’assunto che “camera e casa sono diagrammi psicologici che guidano gli scrittori e i poeti nell’analisi dell’intimità” (Ivi, p. 65), Bachelard ravvisa tematiche ricorrenti e metafore connesse con il mondo dell’immaginazione e dell’anima come la cantina, la soffitta, i cassetti, le cassapanche, gli armadi, gli angoli, simboli del nido e del guscio.

Il volume di Bachelard influenzerà molto l’architetto milanese Aldo Rossi. Quest’ultimo è convinto della concezione simbolica dell’abitare e fonde le considerazioni bachelardiane con il pensiero proustiano, cercando di individuare strutture di memoria e conservazione del passato nell’architettura delle città e ispirando, in ultima istanza, il suo comporre architettonico.

Come abbiamo potuto fin qui osservare, dalle opere di questi pensatori prende le mosse una psicanalisi della casa che ricerca significati emblematici nell’ambito domestico, luogo di rifugio e al contempo di comunicazione degli esseri umani.

L’analisi condotta da Oliver Marc, architetto francese con la passione per la psicanalisi, è significativa in tal senso: egli, infatti, ritiene che vivere nella casa significhi viaggiare in se stessi, ovvero compiere uno scavo introspettivo. Egli infatti raccomanda come sia fondamentale assicurarsi di aver chiuso bene la porta della propria dimora dal momento che si stia entrando in se stessi. Questa considerazione risuona come una precauzione al fine di favorire un viaggio nella propria interiorità non inficiata da alcun turbamento o preoccupazione esterna.

Sulla stessa scia di pensiero si situano due autori, Day e Eiguer che sostengono la necessità di costruire la casa tenendo in considerazione fattori ed esigenze di chi la abita.

Christopher Day afferma che: “L’anima di un luogo è l’intangibile sensazione che questo comunica […]”, e conclude con la seguente dichiarazione: “Ogni luogo dovrebbe avere uno spirito” (C. Day, La casa come luogo dell’anima, p. 158).

Alberto Eiguer, psicanalista, nel suo volume L’inconscio della casa ritiene che nella propria abitazione, da lui reputata di principale importanza per donare un senso di continuità alla famiglia, si possano distinguere le camere dedicate all’apertura verso il mondo esterno, teatro del nostro agire su di esso (per esempio il salotto al fine del ricevimento degli ospiti), dalle altre intimamente legate alla nostra interiorità come la camera da letto.

Considerazioni sulle strutture archetipiche della casa ad uso degli architetti

In conclusione e alla luce delle considerazioni svolte dagli autori sopra citati, è possibile rintracciare in modo più generale dei topos di significato ricorrenti nelle abitazioni. Come infatti ha modo di precisare Oliver Marc: “l’anima delle cose attinge a un patrimonio comune che risale alle origini dell’universo, dell’umanità e delle nostre rispettive civiltà” (O. Marc, op. cit. p. 16). Secondo alcuni di questi autori, con la consapevolezza di conoscere valenze simboliche inerenti le diverse parti che compongono la casa, l’architetto dovrebbe tenere in considerazione queste variabili nel suo progettare, rendendo di conseguenza i suoi progetti più vicini e consoni al vissuto esistenziale di chi andrà ad abitarla.

La soglia corrisponde al confine tra interno ed esterno, demarcando così l’ingresso alla zona privata. Entrando nella casa l’atrio funge da biglietto da visita per una prima percezione e talvolta, se buio, può dare un’impressione di freddezza oppure di calore e accoglienza qualora gli angoli curvi invitino a giungere nella sala. Il significato della porta consiste nel passaggio, in un ponte di comunicazione tra stanze e aree diverse della casa. Il centro della casa rappresenta l’archetipo della difesa, della protezione (insieme ai muri che la cingono) e dell’unione della famiglia attorno al focolare, sia esso reale o, molto più probabilmente, metaforico. Infine, la scala indica, secondo gli psicologi della casa, la volontà di percorre i nostri stati psicologici dall’alto in basso e viceversa: il tetto corrisponde allo spirito, il piano terra alle funzioni psichiche di base e la cantina denota la parte irrazionale, come abbiamo già potuto comprendere con lo studio intrapreso da Jung e Bachelard. Anche l’esterno della casa possiede significato. Il giardino, infatti, con gli alberi, l’erba e i fiori rappresenta una sorta di nostro giardino interiore, nonché luogo di vite parallele alla nostra, emblemi dei cicli vitali, del tempo che trascorre e del ritmo dei giorni e delle stagioni, capaci di stimolarci riflessioni tra vissuto interiore e divenire della natura.

Bibliografia di riferimento

A. ASSMANN, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Il Mulino, trad. S. Paparelli, Bologna 2002.
G. BACHELARD, La poetica dello spazio, Dedalo, trad. Ettore Catalano, Bari 1975.
W. BENJAMIN, I passages di Parigi, Einaudi, trad. Rolf Tiedemann, Torino 2000.
C. DAY, La casa come luogo dell’anima, Red, trad. B. Lepori, Como 1990.
A. EIGUER, L’incoscio della casa, Red, Como 2006.
M. HEIDEGGER, Costruire, abitare, pensare in Saggi e discorsi, a cura di G. VATTIMO, Mursia, Milano 1976.
C. G. JUNG, Psicanalisi analitica, Bollati Boringhieri, trad. S. Stefani, P. Santarcangeli Torino 1978.
O. MARC, Psicanalisi della casa, Red, trad. B. Lepori, Como 1994.
A. MONTAGNA, Vivere nella contemporaneità. Luoghi dell’abitare e luoghi del ricordare in Tempo e lavoro nell’era della tecnica, Verba e Scripta, Pavia 2011.
F. PAPI, Filosofia e architettura, Ibis, PaviaComo 2000.
J. RUSKIN, La lampada della memoria cit. in L. Bonesio, L. Micotti, Paesaggi di casa. Avvertire i luoghi dell’abitare, Mimesis, Milano 2003.

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