Una questione di sguardi. Le fotografie della principessa Anna Maria Borghese

ponte di Yamada 1907

di Francesca Vitale

Introduzione

Fotografie sparse in giro per la casa. Fotografie che vengono custodite con cura nelle scatole riposte dentro gli armadi e che di rado vengono tirate fuori per essere guardate. Fotografie di parenti, amici, viaggi e ricorrenze. Le foto di famiglia assumono un valore completamente diverso rispetto a quelle documentaristiche, artistiche o comunque scattate per essere pubblicate e vendute. Se queste ultime solitamente si ricollegano a una memoria storica collettiva e generano delle sensazioni legate esclusivamente a quel dato avvenimento, le fotografie che, invece, si riconducono alla sfera privata possono suscitare, in una ristretta cerchia di persone, gioia, ricordi, nostalgia, disillusione per un passato che non c’è più. Una semplice immagine è in grado di dare vita a una vasta gamma di emozioni contrastanti: il mezzo fotografico non rappresenta soltanto una testimonianza visiva e oggettiva della realtà, ma racchiude in sé una forte carica emotiva che deriva dalla presenza di una indubbia componente soggettiva. A tal proposito, tornano alla memoria le parole di Ferdinando Scianna: «Credo che la massima ambizione per una fotografia sia di finire in un album di famiglia» (F. Scianna, Quelli di Bagheria, p. VI). Parole che, nella mente di Scianna e nella nostra successiva riflessione, racchiudono l’obiettivo e il significato ultimo dell’espressione fotografica.

La fotografia tra documento e ritratto privato

Nella tenuta della famiglia Cavazza a Pantano Borghese, nella campagna romana, sono conservati gli album fotografici della principessa Anna Maria de Ferrari in Borghese (1874-1924), fotografa amatoriale autodidatta. Tra il 1898 e il 1924 la principessa, accompagnata dalla sua macchina fotografica Kodak Bulls-Eye Special N. 2, ha scattato oltre 8.000 fotografie di piccolo formato (9×9 cm) – ad eccezione di alcune immagini riprese probabilmente dal marito Scipione Borghese – da lei poi appuntate, datate e cronologicamente ordinate in circa ottanta album. Facilitata nell’utilizzo del mezzo fotografico dai progressi che si compiono nel campo della produzione delle immagini alla fine degli anni ’80 dell’Ottocento, Anna Maria può servirsi di una delle piccole Box Camera messe in commercio con lo slogan pubblicitario «you press the button, we do the rest» dalla Kodak – azienda dell’imprenditore statunitense George Eastman – e che permette agli amatori di accedere al mondo della pratica fotografica, trasformandola in uno svago e in uno strumento di piacere.

Sulla scia di altri fotografi dilettanti del tempo come Giuseppe Primoli e il principe Francesco Chigi, per la maggior parte appartenenti alla nobiltà e all’alta borghesia italiana, la principessa si dedica alla fotografia «per il desiderio di fissare in immagine il mondo e serbare il ricordo di attimi fuggevoli che, altrimenti, sarebbero inesorabilmente scomparsi dalla propria memoria; un interesse divenuto presto una passione indomita e bruciante» (M.F. Bonetti, M. Peliti, Racconto di un’epoca. Fotografie dagli album della principessa Anna Maria Borghese, p. 12).

Anna Maria Borghese incarna quell’«insaziabilità dell’occhio fotografico» (S. Sontag, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, p. 3) di cui parla Susan Sontag e che si manifesta già a partire dalla metà dell’Ottocento: il desiderio irrefrenabile di fermare in immagine la realtà e di osservarla in un secondo momento con una vista ampliata, quasi che la macchina fotografica potesse dilatare i nostri sensi, donarci consapevolezza e migliorare la nostra vista. Sulla base di ciò che ha detto Émile Zola, ossia che non si può pretendere di conoscere la realtà se non la si è prima fotografata, con la comparsa della fotografia si manifesta nell’uomo della società moderna una fede incrollabile nella conoscenza del mondo visibile: «La fotografia non solo riproduce tutto ciò che l’occhio vede, ma fa vedere tutto ciò che l’occhio non vede» (J-C. Lemagny, A. Rouillé, Storia della fotografia, p. 71). Di conseguenza, al ruolo esclusivamente artistico che inizialmente si attribuiva alla fotografia, si affianca ben presto un’altra interpretazione della pratica fotografica come rito, documentazione e studio sociale; dovranno passare anni prima che queste visioni apparentemente contrastanti possano coesistere senza alimentare dibattiti e recriminazioni sullo stato della fotografia.

A riprova del nuovo status artistico e sociale ricoperto dalla fotografia, la principessa Borghese utilizza la sua macchina fotografica sia per diletto sia per documentare alcuni degli eventi storici dei quali è testimone all’inizio del Novecento. Sposatasi nel 1895 con il principe Scipione Borghese, nel 1898 Anna Maria inizia a fotografare, in Italia e all’estero, i paesaggi, le città e la grande varietà delle persone che incontra nel corso dei suoi numerosi viaggi in compagnia del marito o da sola (basti citare il suo viaggio in solitaria sulla Transiberiana): Turchia, Egitto, Siria, Palestina, Russia, Giappone, Cina e Uzbekistan sono soltanto alcune delle località visitate e fotografate dalla principessa in un’epoca in cui viaggiare per le donne era considerato un privilegio. Altre fotografie di Anna Maria che testimoniano la realtà di un’epoca sono quelle della vita contadina nell’Agro romano e nella proprietà di famiglia – acquisita in seguito al matrimonio di Paolo Borghese, padre di Scipione, con la contessa ungherese Ilona Apponyi – in Ungheria; le vedute urbane che registrano la modernizzazione della società; la vita negli ospedali da campo e in trincea durante la Prima guerra mondiale, dove si impegnò attivamente come crocerossina; eventi drammatici come il terremoto di Avezzano nel 1915 o la ricostruzione della città di Messina (1913) dopo il terremoto del 1908.

Terremoto di Avezzano
Avezzano, 1915

A questa notevole produzione documentaristica, la principessa Borghese affianca una serie di fotografie private che scatta nelle tenute di famiglia, specialmente all’Isola del Garda, o in altre località a parenti ed amici. Foto di caccia, tuffi nel lago, attività sportive e ritratti dei vari membri della famiglia e dei propri animali domestici danno vita ad un archivio fotografico più personale e introspettivo, che rivela l’occhio sensibile e profondo di una donna dedita a registrare la vita che scorre intorno a lei.

Anna Maria utilizza la sua macchina fotografica sia per diletto sia per impegno sociale (rimanendo comunque al di fuori della politica), confermando così il potenziale espressivo molteplice e vario di cui è dotato l’apparecchio fotografico e realizzando «un raro e prezioso racconto visivo, che coniuga sapientemente l’intimismo di momenti sobriamente vissuti all’interno della propria cerchia familiare alla partecipazione emotiva e all’abilità di catturare, nel mondo, soggetti, condizioni, situazioni e accadimenti di interesse pubblico e sociale» (M.F. Bonetti, M. Peliti, op. cit., p. 16).

Nora Balzani
Isola del Garda, 1907

Ciò che colpisce dell’intero corpus fotografico di Anna Maria Borghese è la freschezza e la libertà della composizione delle sue immagini. In quanto fotografa amatoriale, la principessa rimane sempre fedele alla sua idea di fotografia ed estranea alle nuove correnti artistiche e d’avanguardia che si manifestano a partire dalla fine dell’Ottocento, scattando comunque fotografie che risentono dello spirito d’innovazione e del vento di cambiamento che soffia in Europa e negli Stati Uniti. In un certo qual modo, al di là degli artisti d’avanguardia, chi osa di più sono i fotografi amatoriali, non legati a specifiche richieste dei clienti degli studi fotografici o questioni economiche, e per i quali il collezionista e critico d’arte Lamberto Vitali ha coniato la definizione di “fotografi irregolari”.

Mentre i pittorialisti rigettano il reale tramite filtri, luci e finzioni retiniche che gli permettono di prendere le distanze da esso, Anna Maria non ricorre mai a manipolazioni di tipo pittorico, anche se mostra un vivo interesse per le atmosfere crepuscolari e melanconiche dei preraffaelliti (soprattutto nei ritratti) e per gli effetti naturalistici tipici degli impressionisti. Nelle sue fotografie è evidente l’urgenza di restituire l’immagine istantanea così come è stata catturata, giocando con i contrasti tra luce e ombra e con la mobilità dell’obiettivo fotografico, che le permette di sperimentare soluzioni audaci, avvicinandosi così ai risultati ottenuti dagli avanguardisti all’inizio del Novecento e rientrando a pieno titolo nella modernità.

Migliarino 1899
Tenuta di Migliarino, 1899

La soggettività della memoria

La collezione di fotografie della principessa Borghese è rimasta protetta tra le mura della residenza di famiglia fino al 2011, anno della mostra Racconto di un’epoca. Fotografie dagli album della principessa Anna Maria Borghese, curata da Maria Francesca Bonetti e Mario Peliti presso l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma. In quell’occasione, l’ingegner Novello Cavazza – nipote della principessa Borghese e proprietario della raccolta degli album fotografici nella tenuta di Pantano Borghese – ha concesso che alcune delle fotografie scattate da Anna Maria fossero esposte e raccolte nel catalogo della mostra, pubblicato dalla casa editrice Peliti Associati.

Solo in altre rare occasioni le fotografie della principessa sono uscite al di fuori della cerchia familiare e presentate al pubblico. Nel 1903, il marito Scipione Borghese pubblicò il suo libro In Asia: Siria, Eufrate, Babilonia (Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1903), corredato da numerose illustrazioni, tra cui le stesse immagini che la principessa aveva scattato durante il loro lungo viaggio in Oriente. Ancora, nel 2013 una piccola selezione delle fotografie di Anna Maria viene portata per la prima volta fuori dall’Italia in occasione della Biennale moscovita Moda e stile in fotografia ed esposta presso la Fondazione Ekaterina di Mosca. Infine, vale la pena citare la mostra Questa è guerra! 100 anni di conflitti messi a fuoco dalla fotografia (2015), curata da Walter Guadagnini presso il Palazzo del Monte di Pietà a Padova e nella quale – accanto a immagini di autori celebri come Gabriele Basilico, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson e Philip Jones Griffiths – sono state presentate circa venti fotografie scattate dalla principessa Borghese, raffiguranti la vita dei soldati al fronte e altri momenti salienti vissuti in prima persona nel corso della Prima guerra mondiale.

Le fotografie di Anna Maria che sono state rese pubbliche negli anni, sono per la maggior parte foto di viaggi, di guerra, di popoli e delle loro tradizioni; insomma, fotografie che ricoprono un ruolo documentaristico e che, come tali, possono essere accostate al fotogiornalismo. Le fotografie dei membri della famiglia e degli amici, con qualche eccezione, sono invece rimaste custodite con cura nella tenuta di Pantano Borghese. Trattandosi di fotografie che, ancora soggette all’azione del tempo, hanno un significato particolare per gli eredi della principessa, queste immagini rimangono private proprio per preservare la storia e la vita della famiglia.

Lo stesso Roland Barthes, in seguito alla morte della madre, nel suo saggio La camera chiara afferma di non poter mostrare quella che lui chiama la “Fotografia del Giardino d’Inverno”, che ritrae sua madre da bambina e che per lui rappresenta la Storia, l’essenza stessa della Fotografia: «Io non posso mostrare la Foto del Giardino d’Inverno. Essa non esiste che per me. Per voi, non sarebbe altro che una foto indifferente, una delle mille manifestazioni del “qualunque”; essa non può affatto costituire l’oggetto visibile di una scienza; non può fondare un’oggettività, nel senso positivo del termine; tutt’al più potrebbe interessare il vostro studium: epoca, vestiti, fotogenia; ma per voi, in essa non vi sarebbe nessuna ferita» (R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, p. 75).

Barthes testimonia dell’unicità che alcune fotografie assumono soltanto per alcune persone: come egli ha deciso di non mostrare la foto di sua madre per tenerla viva nella sua memoria, così la maggior parte delle fotografie della principessa Borghese ricopre un significato particolare solo per i suoi discendenti. Tuttavia, la famiglia ha deciso di rendere pubblica un’attenta selezione di questa preziosa raccolta fotografica, in modo da offrire alla società di oggi la sensibilità e la versatilità dello sguardo di una fotografa amatoriale che raccoglie in sé le innovazioni della fotografia e lo spaccato di un’epoca, ormai lontano e cristallizzato nel tempo.

Il ruolo della soggettività nella fotografia, il suo utilizzo come mezzo di espressione e il suo indissolubile rapporto con il tempo si possono allora sintetizzare, per concludere, nelle parole di Susan Sontag: «La fotografia è un’arte elegiaca, un’arte crepuscolare. […] Ogni fotografia è un memento mori. Fare una fotografia significa partecipare della mortalità, della vulnerabilità e della mutabilità di un’altra persona (o di un’altra cosa). Ed è proprio isolando un determinato momento e congelandolo che tutte le fotografie attestano l’inesorabile azione dissolvente del tempo» (S. Sontag, op. cit., p. 15).

Riferimenti bibliografici:

R. BARTHES, La camera chiara. Nota sulla fotografia (1980), Einaudi, Torino 2003.
M.F. BONETTI, M. PELITI, Racconto di un’epoca. Fotografie dagli album della principessa Anna Maria Borghese, Peliti Associati, Roma 2011.
J-C. LEMAGNY, A. ROUILLÉ, Storia della fotografia (1986), Sansoni, Firenze 1988.
F. SCIANNA, Quelli di Bagheria, Peliti Associati, Roma 2003.
S. SONTAG, Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società (1977), Einaudi, Torino 2004.

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