In prospettiva

di Francesca Consoli

Chi per primo in un quadro fissò sul suo orizzonte i punti di convergenza del vario gioco delle linee orizzontali, trovò il principio della prospettiva.
(Johann Wolfgang Goethe)

Esistono diversi fattori che influenzano la riuscita o meno di una fotografia e sicuramente la prospettiva della inquadratura è uno degli elementi essenziali con cui spesso il fotografo gioca per catalizzare il punto di vista dell’osservatore.

A volte alcuni soggetti ripetuti in serie nella inquadratura creano una prospettiva ideale, pensiamo all’effetto che producono le rotaie di un treno, o un colonnato; in altre occasioni invece il fotografo cerca di rappresentare la profondità creando una interazione spaziale tra i soggetti, come ad esempio la messa a fuoco dell’elemento più vicino all’obiettivo e la sfocatura di un altro più lontano e viceversa.

Spesso sfruttare la prospettiva, naturale o ricercata che sia, dona alla foto pulizia, simmetria ed ordine e l’effetto è ancora di più amplificato con l’uso del bianco e nero.

In realtà, anche un sapiente utilizzo dei colori, come ad esempio quelli caldi e/o accesi in contrasto con tonalità fredde e/o tenui contribuiscono a creare una prospettiva ideale nella composizione della immagine, sviluppando una pluralità, fittizia o reale che sia, di piani spaziali.

Non ci sono regole assolute per una inquadratura efficace ma, a mio avviso, ciò che regala dinamicità ad una fotografia è proprio la rottura della rigida prospettiva creando una anomalia che inevitabilmente affascina e cattura l’occhio dell’osservatore.

Un modo semplice per creare la prospettiva è quello di inquadrare, ove possibile, i soggetti dal basso o dall’alto oppure sfruttare ombre e giochi di luce; in questo modo anche un fotografo alle prime armi potrà cimentarsi in inquadrature d’effetto, scegliendo di volta in volta, quella più adatta.

Quando ho iniziato a fotografare naturalmente anche io mi sono lasciata tentare dalle forme pulite di colonnati e palazzi, con vie di fuga esasperate e distorte dal mio obiettivo grandangolare ma quando ho preso più dimestichezza con le forme mi sono resa conto che inserire un elemento di disturbo rendeva il lavoro più interessante ed originale.

Forse questa predilezione per la dissonanza e non uniformità mi deriva dalla concezione che ho del fotografare visto come espressione di creatività, anche se, solo dopo aver studiato gli elementi essenziali della tecnica fotografica, ci si può avventurare nel loro stravolgimento per creare un proprio stile. «La prospettiva è ciò che deve imparare prima di tutto un giovine pittore, per saper collocare ogni cosa a suo luogo, e per dare a ogni cosa la giusta misura che aver deve nel luogo ov’è», sosteneva Leonardo da Vinci.

La ricerca della prospettiva, sia essa reale o solo ricreata idealmente attraverso artifici di cui ho parlato poc’anzi, scaturisce dalla esigenza di creare una profondità, di ciò che viene rappresentato, su una piattaforma schiacciata di per sé, dal punto di vista dello spazio, come è appunto una foto; così come è accaduto nel campo dell’arte pittorica con le innovazioni di Giotto il quale ha operato una rivoluzione sorprendente per la sua epoca e che ha inevitabilmente influenzato tutta o gran parte della pittura contemporanea e successiva.

Quando ho menzionato l’interazione spaziale tra i soggetti rappresentati nella inquadratura, la prima e più ovvia, ancorché involontaria, operazione che il nostro cervello opera consiste nella osservanza della distribuzione dei soggetti nella inquadratura nonché il relativo raffronto e comparazione tra di essi sotto il profilo delle dimensioni reali.

Sulla scorta di ciò, mi sono spesso trovata a sfruttare il divario sia spaziale che di grandezza, per esempio tra un soggetto in primo piano e ciò che si trova davanti o dietro di esso; naturalmente, come accade anche nella realtà, i soggetti più lontani risultano molto meno nitidi rispetto a quelli in primo piano e ciò può essere riprodotto e sfruttato anche attraverso un sapiente utilizzo della profondità di campo.

Quando mi sono cimentata nelle mie prime esperienze di composizione fotografica ero molto attenta ad applicare le tecniche che avevo studiato e visto adottare da fotografi professionisti e ciò mi ha aiutata non solo ad acquisire maggior dimestichezza con i fondamenti della fotografia ma anche ad abituare il mio occhio ad una percezione della realtà racchiusa in un confine definito, Eppure con il passare del tempo e con l’incremento della mia esperienza pratica mi sono divertita a sperimentare nuove ‘prospettive’ sia in senso tecnico che figurato al fine di creare un mio stile, il più possibile versatile e personale.

Torino

La foto che qui proponiamo tenta, riuscendoci, di presentare il realismo, nel modo personale di cui parlavo. Nello scatto della fotografa Alessandra Tascini infatti l’inquadratura richiama una certa geometria descrittiva imperfetta che rende il tutto incisivo, facendoci immergere nel suo particolare sguardo.

Lo scatto si intitola Torino e riporta alla mente le suggestioni de Le Città invisibili di Italo Calvino.

La città di Moriana è una città a due facce, la prima è splendente con le sue porte di alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo, le ville tutte di vetro, la seconda è squallida con distese di lamiera arrugginita, assi irte di chiodi, mucchi di barattoli e telai di sedie spogliate.
Marco dice che questa differenza può essere colta solo al secondo viaggio, quando l’uomo va oltre la prima immagine che la città dà di sé.
L’immagine ricorda molte delle nostre città dove il contrasto tra il centro e la periferia è talmente evidente da apparire come il dritto ed il rovescio.
Ma tale contrasto è possibile riscontrarlo anche nelle mille piccole contraddizioni che popolano la vita in città, contraddizioni talmente inconciliabili da poter essere considerate come delle immagini poste sulle due facce dello stesso foglio di carta che non possono né staccarsi né guardarsi ma costituire solo l’una il dritto e l’altra il rovescio.

 Foto: Alessandra Tascini

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