Emiliano Ventura
Valeria Magini
Emiliano Ventura e Valeria Magini, attraverso la forma del dialogo, disegnano un percorso tortuoso e interessante all’interno della poesia moderna e contemporanea.
V.M «L’idea di Emiliano Ventura, che mi sento di sposare, è quella di partire da tempi più remoti, da Leopardi nello specifico, per tentare di comprendere la natura della poesia oggi.
Ci chiediamo da subito cosa sia il concetto di poesia moderna e come si differenzi dalla poesia contemporanea. All’inizio del Novecento l’attenzione principale è incentrata sull’io, più presente in una dimensione naturale. Mentre via via nel tempo, anche a fronte delle due guerre e dei relativi dopoguerra, si viene a creare un rapporto più concreto con la dimensione della città. L’urbanistica e la massificazione divengono incidenti nella produzione poetico letteraria. Non soltanto in Italia ma in Europa. Di conseguenza gli autori di questo periodo vengono tutti fortemente influenzati da ciò che stava accadendo.
Il Leopardi degli Idilli, delle prime produzioni poetiche, è un Leopardi giovane, che si discosta dall’ultima produzione artistica. Pensiamo alla Ginestra e a come sia differente da La Donzelletta che vien dalla campagna, per fare un esempio concreto.
Però il nodo centrale che riscontro è il legame con la poesia di Mario Luzi, punto centrale della poesia contemporanea, ma anche in un certo qual modo moderna. E tutto ciò si rispecchia nel concetto centrale dell’agone in Mario Luzi.»
E.V «Ci vorremmo concentrare sulle caratteristiche della poesia moderna, attraverso l’occhio privilegiato di Mario Luzi. Non solo perché quest’ultimo è autore di diversi saggi in cui chiarisce cosa sia la poesia moderna e perché nasca, ma soprattutto perché lo ha testimoniato attraverso tutta la sua opera. Personalmente considero Mario Luzi più centrale di altri, rispecchiando ciò che Martin Heidegger diceva di Friedrich Hölderlin, “Hölderlin è centrale nel mio pensiero, perché lui è il poeta che aspetta il Dio”, riferendosi ovviamente a ciò che è trascendente.
Allo stesso modo per me Luzi è il poeta che aspetta ‘l’evento’, che lo attende. Ciò perché il pensiero fondamentale di Mario Luzi ruota intorno alla definizione di agone, in tutte le sue varie declinazioni, ovvero agone, agonia, disputa, confronto. In pratica tutta la sua opera, sia quella poetica, teatrale e saggistica, ruotano intorno a questo concetto, che corrisponde esattamente alla caratteristica della poesia moderna, ciò che la definisce. Asserisce infatti che la poesia moderna nasce con le stimmate dell’agone, del confronto, dell’agonismo. E si chiede chi siano i protagonisti di questa svolta, chi abbia espresso tali caratteristiche, li individua in Leopardi e Baudelaire.
La poesia moderna nasce nel momento in cui il poeta entra in conflitto con la società coeva, con le istituzioni. Il poeta toscano, in tal senso, parla di orfanità umanistica, proprio perché l’uomo si sente orfano, non solo per la filosofia che lo circonda, ma per se stesso, privato del contesto culturale che lo aveva riconosciuto depositario di un valore, di una Parola, di una autorevolezza. Si pensi ai poeti nelle Corti, al Rinascimento di Ariosto, del Tasso, tanto per fare i nomi più noti.
Nell’Ottocento tutto questo cambia radicalmente, il poeta non è più il centro di quel mondo.
Il primo nome, come aveva anticipato Valeria, è Leopardi. Basta rileggere la sua opera e concentrarsi sulla critica che muove allo sviluppo della filosofia e delle scienze positive dei primi dell’Ottocento. È una voce fuori dal coro, è in contrasto con la visione positivistica della scienza che aumenta la possibilità di conoscere, aumentando di pari passo l’infelicità dell’uomo.

Il secondo nome è quello di Baudelaire che di tale concezione diviene paradigmatico. Quando pubblica i Fiori del Male, la prima poesia della raccolta, ovvero Benedizione si traduce, a dispetto del nome, in una maledizione. A parlare è la madre del poeta che però si sente maledetta per il fatto di aver partorito un poeta.
Avessi partorito un groviglio di vipere,
piuttosto che nutrire questa derisione!
Maledetta notte degli effimeri piaceri
Quando il mio ventre concepì questa espiazione!
Poiché mi hai scelta fra tutte le donne,
per essere disgusto del mio triste marito,
e non posso gettare questo aborto di natura,
come un biglietto d’amore, tra le fiamme,
farò rimbalzare il tuo odio che mi opprime
sullo strumento maledetto delle tue malvagità
e torcerò a tal punto quest’albero spregevole,
che non potrà mai più germogliare la sua peste!
Non può non notarsi la differenza ad esempio tra la madre di Dante, che fa un sogno in cui vede il figlio trasformato in un pavone, simbolo di grandezza e bellezza, e questa madre che maledice il figlio poeta. Ancor più significativo un altro poemetto (molto noto) di Baudelaire, contenuto in Spleen, in cui il poeta attraversando la strada perde l’aureola nel fango, ma non si addolora, pensando che qualche poetastro la raccoglierà fingendo di essere lui.
Dovreste almeno far affiggere che avete smarrita codesta aureola, o farla reclamare dal commissario.
No davvero! Qui sto bene. Voi solo m’avete ravvisato. D’altronde la grandezza mi annoia. E poi penso con gioia che qualche poetastro la raccatterà e se la metterà in testa impudentemente….
Si conferma quindi una visione del poeta radicalmente cambiata. Egli non è più accolto, accettato. Non fa più parte del contesto culturale precedente. Siamo di fronte a una posizione fortemente agonistica, conflittuale.»
V.M «In Mario Luzi tutto questo forse deriva dal forte interesse che nutriva per la poesia francese. A tal punto da studiarla e laurearsi con una tesi in letteratura francese. Quella di Luzi è una attenzione specifica che lo spinge a fare traduzioni, pensiamo a quelle di Rimbaud.
Il melanos e il male di vivere, che riscontriamo in Baudelaire, derivano proprio da quel sentimento tipico del romanticismo che confluisce in Francia in una altra forma letteraria. Esattamente come tutto quello che Emiliano diceva sul malessere, sullo spleen, che poi significa nello specifico milza, e che possiamo riscontrare nel concetto tedesco dello Sturm und Drang. Sono tutte correnti contemporanee, anche se differenti tra di loro, che però raccontavano in uno specifico momento storico in Europa un malessere proprio del poeta nei confronti di se stesso e dell’altro. Uno spleen, un male a strabiliare, un malessere interno al nostro corpo.
Tutto ciò in Mario Luzi risiede in un momento successivo rispetto alla sua prima produzione poetica, anche se personalmente mi sento più legata alla poesia romantica, sono rimasta affascinata da La Barca, la prima raccolta di Luzi, del 1935, in cui si riscontrano due tematiche importanti: il tempo e il mare. Inteso come il mare dell’essere, con il suo spingere verso qualcosa. Probabilmente legato al concetto dell’adolescente che deve crescere. Mario Luzi infatti vive gli anni del liceo a Firenze, trascorrendo il tempo a osservare l’Arno e le barche, che assumono per lui un valore importante, la possibilità del traghettare da uno stato all’altro.
In una intervista rilasciata da Luzi infatti si legge
la barca era per me un oggetto fascinoso di per sé, che allora vedevo spesso sull’Arno. C’erano le barche dei remaioli e avevano una densità che le barche sportive non hanno […]
Il mare dell’essere è un mare più pensato che visto e goduto con i sensi, per cui si può presumere che ci sia questo senso del destino come viaggio o del viaggio come destino ed esperienza totale.
Da questo momento però Mario Luzi prende una strada completamente diversa, i suoi amici della poesia ermetica che frequentava a Firenze fanno parte della fase iniziale della sua produzione poetica. Dal 1963 in poi Luzi inizierà a pubblicare molte raccolte.»
E.V. «L’opera di Luzi in vero, oltre a essere molto corposa, attraversa quasi settanta anni, cambiando radicalmente. Per cui ogni definizione su di lui, da quella iniziale di poeta ermetico a quella successiva di poeta cristiano, non sono esaustive. É un poeta estremamente complesso, la cui produzione poetica cambia costantemente nell’arco della vita, finendo per assumere sempre di più una connotazione metafisica. Le sue espressioni liriche sono sempre state molto alte, ma alla fine lo divengono ancor più complesse, come l’irregolarità della spaziatura tipografica della parola sulla pagina bianca.
Per comprendere l’essenza dell’agonismo del poeta, citiamo una poesia molto breve ma significativa che ci mostra l’agone vissuto dal poeta.

Ne Al fuoco della controversia, il cui titolo già si posiziona in quella prospettiva che definisce la poesia moderna e descrive perfettamente la poesia contemporanea, troviamo la poesia Poscritto. Dedicata a tre poeti scomparsi, che in realtà non sono mai citati esplicitamente, riportando solo i luoghi in cui vengono uccisi. Si tratta di Pier Paolo Pasolini, Osip Mandel’stam e Garcia Lorca:
A Granata, nel gulag siberiano, a Ostia –
Una riprova superflua, una preordinata
testimonianza
oppure sulla lunga controversia
un irrefutabile sigillo? Si chiede
lei depositaria inferma
di misura e arte
mentre escono il poeta e l’assassino
l’uno e l’altro dalla metafora
e s’avviano al sanguinoso appuntamento
ciascuno certo di sé, ciascuno nella sua parte.
Per me questo passo rappresenta la descrizione più calzante e lineare dell’agone del poeta, del suo assassinio e della conseguente orfanità.
Esiste una interpretazione dei Fiori del male proposta da Benjamin originalissima. Tale raccolta, che per altro potrebbe essere individuata come l’opera poetica che definisce la modernità, ha una struttura che può essere vista come un romanzo poliziesco. Le 100 poesie, che richiamano i cento canti dell’inferno, ci presentano un inferno quotidiano. Secondo Benjamin infatti, la continua sequenza di omicidi, morti violente, assassinii presenti nelle liriche rende la raccolta una sorta di romanzo poliziesco. Una fenomenologia del crimine che però, sostiene Benjamin, nel caso di Baudelaire, traduttore per altro di Poe, di quest’ultimo non ne eredita la mentalità investigativa; infatti non ripristina l’ordine antecedente. Non ha una mente analitica in grado di sciogliere, con la scienza analitica, l’enigma degli omicidi. Baudelaire è un personaggio della modernità, è un flaneur, che cammina, osserva e riporta ciò che vede, esattamente come i suoi amici pittori, che in alcuni saggi recensisce, avrebbero fatto in un quadro.
Diviene in tal senso paradigmatico, perché è lui che definisce cosa sia la modernità: “ciò che è estremamente transitorio, fugace, veloce”. Sosteneva infatti che i pittori non devono farci vedere un soggetto moderno ma con gli abiti del Rinascimento, al contrario devono mostrare i nostri abiti, il bello che si cela dietro il quotidiano. Questo sarebbe il ruolo del poeta, il poeta della modernità, impegnato a mostrarci il bello del continuamente transitorio, fugace, passeggero.»
V.M «Anche se ciò che la critica dice sui Fiori del male, pubblicazione del 1857 e quindi non così recente, è che tale raccolta poetica abbia la solidità del marmo, la forma infatti è quella del sonetto. Non siamo nel verso libero, c’è comunque una struttura della tradizione.»
E.V «Baudelaire era rigidissimo sulla questione della struttura. Famosi erano i litigi con il suo editore, perché preferiva che ci fosse un refuso ma che nessuno toccasse la sua metrica.»
V.M «Mentre l’elemento moderno presente, di cui tu Emiliano parlavi, è il disagio, il tormento nei confronti della società contemporanea. Parigi, sempre secondo Benjamin, era la capitale dell’Europa, simbolo ed emblema di tutto ciò che stava accadendo. In fondo ciò risulta vero non solo in poesia, ma in arte in generale, così come in politica.
Per quanto riguarda invece l’accenno che hai fatto della connessione tra Baudelaire e Poe, concordo sul fatto che Poe fu per lui centrale, avendolo tradotto e, di fatto, introdotto nella cultura europea. »
E.V «E se il metodo deduttivo di Poe manca in Baudelaire, da lui però riprende l’indagine, l’osservazione, seppur priva del passaggio analitico successivo.
Quando Baudelaire traduce i racconti di Poe, si concentra su un racconto L’uomo della folla, in cui il protagonista insegue nella folla un uomo che ha delle caratteristiche criminali. Si muove nella folla e si perde in questa. Baudelaire recupera il concetto della folla, concetto centrale nella modernità. Per la prima volta il poeta si relazione con un pubblico, con una moltitudine di persone. In una straordinaria poesia Baudelaire rovescia il racconto di Poe, non è un assassino che si nasconde nella folla imprendibile, ma qui si parla di una ragazza che emerge dalla folla che il poeta vede e di cui si innamora ma lei, tornando nella folla, sparisce. Ci consegna la poesia dell’attimo, in cui vede per un secondo un amore, che poteva essere, ma che con rapidità è sparito nella folla. E questo è solo un esempio del passaggio di tematiche tra i due. Baudelaire scrive anche una lettera alla zia/suocera di Poe manifestando i suoi sentimenti e il fatto di considerarlo come un fratello.»
V.M «Anche il concetto di morte diviene centrale, portato sia dalla letteratura americana di Poe che dai Fiori del male. Un male che è melanos, cioè nero e quindi morte.»
E.V «In questa genealogia della poesia moderna, una tappa importante è anche quella di Mallarmé, colui che ha saputo portare l’agone alle estreme conseguenze. Talmente grande è il senso del «conflitto» in questo poeta che entra addirittura in rivalità con il creatore, con Dio. Una rivalità tra il creatore poetico e il creatore divino, che prevede già, nella sua stessa natura, una sconfitta, una duplice resa che il poeta stesso descrive ne L’aprés-midi d’un faune. Un fauno intravede al di là del bosco due ninfe di cui si innamora, pensa di averle amate, possedute e poi si rende conto alla fine che probabilmente era solo un sogno. L’assioma di partenza della poesia di Mallarmé è proprio che il bello venga dal niente, la bellezza nasce dal niente, rovesciando l’assioma della filosofia e dell’essere. Il bello perciò svanisce nel sogno, perde di consistenza e il fauno mette da parte il flauto, ovvero la parola poetica, il canto, e non può restituire quella bellezza.
L’apice di tale sconfitta è l’ultimo poemetto, Un coup de dés, in cui si legge che un colpo di dadi non sconfiggerà mai il caso. Tutto è legato al caso, ovvero a ciò che non ha una legge che possa essere conosciuta.
Quando infatti all’inizio parlavo della centralità di Luzi, e del suo essere il poeta dell’evento, mi riferivo a questo, alla sua capacità di rovesciare la posizione di Mallarmé, riportando il positivo.
Egli afferma, è vero, che la riuscita (quando il numero esce) non è fuori dal caso, è altresì vero che l’evento è sempre possibile. Non è impossibile.
In una poesia del 1950 Soldato, troviamo questi versi finali, molto significativi.
Fu poca cosa; poca
per non morire indegni, meno ancora
per vivere da uomini e uscire fuori dal
bando.
Ma fui certo che il bosco
non è senza via s’uscita.
Di più non era opera mia soltanto.
Il bosco non è senza via d’uscita, così come la messa al bando non è definitiva, se ne può uscire. In tal modo ha rovesciamo in positivo quell’assunto di Mallarmé. Per questo io lo considero centralissimo, incarnando il poeta che attende l’evento. Esistono molti passi in tal senso, come quando ad esempio scrive l’oscurità era raggiante, sta esprimendo lo stesso concetto: dal bosco si esce. La possibilità dell’evento c’è sempre, a mio avviso è un aspetto che definisce la sua poetica.»

V.M «Mi viene in mente un’altra poesia in tal senso, tratta da Quaderno gotico del 1947
Oscillano le fronde, il cielo invoca
la luna. Un desiderio vivo spira
dall’ombra costellata, l’aria giuoca
sul prato. Quale presenza s’aggira?
Un respiro sensibile fra gli alberi
è passato, una vaga essenza esplosa
volge intorno ai capelli carezzevole,
nel portico una musica riposa.
Ah questa oscura gioia t’è dovuta,
il segreto ti fa più viva, il vento
desto nel rovo sei, sei tu venuta
sull’erba in questo lucido fermento.
Hai varcato la siepe d’avvenire,
sei penetrata qui dove la lucciola
vola rapida a accendersi e a sparire,
sfiora i bersò e lascia intatta la tenebra.
Completamente diversa rispetto a un altro testo, compreso ne La barca del 1935, L’immensità dell’attimo
Quando tra estreme ombre profonda
In aperti paesi l’estate rapisce il canto agli armenti
E la memoria dei pastori e ovunque tace
La segreta alacrità delle specie,
i nascituri avallano
nella dolce volontà delle madri
e preme i rami dei colli e le pianure
aride il progressivo esser dei frutti.
Sulla terra accadono senza luogo
senza perché le indelebili
Verità, in quel soffio ove affondan
Leggere il peso le fronde
Le navi inclinano il fianco
E l’ansia de’naviganti a strane coste,
il suono d’ogni voce
perde sé nel suo grembo, al mare al
vento.
Entrambe complesse ma soprattutto molto diverse tra di loro. In questa seconda lirica siamo in un mondo mistico, perché effettivamente l’ermetismo ha proprio il misticismo come cifra particolare, mentre nella prima poesia siamo in un altro mondo.»
E.V «Forse andrebbe spesa qualche altra parola su Quaderno gotico, la raccolta che Valeria ha citato. Composta da 14 liriche più due è senza dubbio la sua raccolta più breve, scritta nel 1947, subito dopo la guerra. Il termine gotico è dovuto al sentimento che vuole descrivere, quello dell’amore medievale, che deve raggiungere vette altissime, proprio come quelle delle cattedrali gotiche. La verticalità di quel sentimento era centrale. Aveva vissuto la guerra e sente che c’era bisogno, dopo quegli anni terribili, di un forte sentimento di innamoramento. Per questo Quaderno gotico potrebbe definirsi un diario d’amore, in cui la presenza femminile aleggia, si avvicina alla chimera dei Canti Orfici di Dino Campana. In fondo proprio Campana era morto da poco e gli ermetici si ritrovano per dare una seconda sepoltura al poeta che era stato seppellito in una fossa comune. Si assiste perciò a una rivalutazione della poesia di Campana, dei suoi Canti Orfici, presente anche nel Quaderno gotico. Se ne avverte chiaramente l’influenza, così come della chimera, di questa presenza femminile considerata una via d’accesso a un mondo altro. Una soglia. »
V.M «Penso al 1957, una data che lungo questo percorso mi sono ritrovata più volte; 1857 con I Fiori del male, 1957 con Onore del vero di Mario Luzi e poi il 1957 nella poesia di Pasolini. In realtà ho trovato una lunga critica di Pasolini alla poesia di Mario Luzi. In una intervista del 1973 Pasolini asserisce che: «Insomma, nella terra in cui vive Luzi piove sempre o quasi. O soffia il vento o gela. Se c’è il sole è un sole insano che dà malessere. Se c’è il sereno, è un sereno allucinato, faticoso che tormenta il corpo del malato, del convalescente, del psicastenico. A questa scelta del paesaggio nel paesaggio reale corrisponde una analoga scelta, diciamo, sociologica. Abbiamo tuguri su periferie nei viali, baraccamenti, campi di profughi, osterie tristi come antri ed eccetera. I personaggi che popolano questi posti sono più che dei poveri dei miserabili, degli zingari, molto vivaci e coloriti, nella loro stravaganza sociale benché atrocemente grigi. »
E.V «Erano infatti su posizioni diverse, anche se poi Pasolini invita Luzi a pubblicare le sue poesie su Officina. C’era stima vicendevole anche se su posizioni critiche differenti.»
V.M «Nella poesia successiva di Mario Luzi, mi riferisco al periodo dal 1955 in cui ottiene una cattedra a Firenze in Letteratura Francese, ha un atteggiamento differente anche nei confronti della poesia. Lì i luoghi diventano i luoghi simboli dell’anima. Se si legge questa sua produzione si comprende la diversità, è una sorta di spartiacque. In realtà avrà anche una fase di stasi, legata probabilmente a questi suoi nuovi impegni di docenza, per poi invece tornare prolifico come sempre.»
E.V. «Quando pubblica infatti Nel Magma nel 1963 assistiamo a una sorta di rivoluzione, abbatte i toni del linguaggio, rendendolo più quotidiano e subentra il dialogo. Si struttura come una lingua mista, che lo farà litigare con Cristina Campo che gli rimprovera la mancanza della sua formalità, l’eccesso di colloquialità. »
V.M «Se ci concentriamo sul titolo stesso, Nel Magma, non possiamo non pensare al magma, a quella sostanza né liquida, né solida, un insieme eterogeneo in cui il poeta si trova all’interno.»
In conclusione…
Se dovessimo tornare alla domanda inziale e capire chi sia il poeta contemporaneo, quale sia il suo ruolo ci troveremmo in difficoltà. Una sua definizione univoca è forse impossibile, così come la decifrazione del presente. Sicuramente permane la condizione agonistica e conflittuale espressa così bene da Luzi. Il problema è poi che a una perdita del ruolo del poeta corrisponde anche la perdita del pubblico e della stessa critica.
Sembra che il poeta si sia chiuso nella sua autoreferenzialità e manchi il suo contraltare critico. Esiste la pubblicità, la recensione, indici di gradimento ma non il lavoro critico, ciò che in fondo è in grado di dar credito alla poesia contemporanea.
Tutta via Pasolini diceva che la poesia è inconsumabile, in quanto non ha utile non ha un commercio, e quindi si spera che una traccia rimanga in quanto non consumata. In Italia ci sono stati due eventi traumatici per la poesia e contemporanea: nel 1975 la morte di Pasolini e nel 1979 il Festival di Castelporziano, dove tutti i poeti italiani vengono messi alla berlina.
Gli unici che in quel contesto vengono ben accettati sono gli americani, capaci di fare delle performance, anche accompagnati con la chitarra. Diverso dall’impostazione dei nostri poeti che in tal caso furono oggetto di critica, anche feroce, così la poesia contemporanea si ritrova in una forma eccessiva di autoreferenzialità. Diventa ancor più di nicchia, si concentrano sull’oscuro, su un nuovo orfismo, non ci sono più quelle condizioni storico sociali che ‘accoglievano’, stimolavano e garantivano quel minimo di consenso e di credibilità. I poeti del Novecento questo, in fondo, lo hanno sempre saputo, dal «non chiederci la parola» di Montale, al «piccolo poeta sentimentale» di Corazzini, al «sono un saltimbanco» di Palazzeschi, è tutto un declinare al negativo.
Per questo ritengo ancora più forte e significativa l’opera di Luzi, la sua possibilità dell’evento e la sua fede nella Parola: «Vola alta, parola, cresci in profondità, / tocca Nadir e Zenith della tua significazione».

Ringraziamo
Emiliano Ventura, saggista e scrittore, responsabile scientifico e della comunicazione del Premio Internazionale Mario Luzi e della Fondazione Mario Luzi fino al 2016, dove ha diretto le collane di saggistica. Suoi Mario Luzi. La poesia in teatro, Scienze e Lettere (2010), David Foster Wallace. La cometa che passa rasoterra Elemento 115 (2019), Giordano Bruno. Tempo di non essere Aracne 2021.
Valeria Magini, fondatrice e direttore di The Serendipidy Periodical, insegnante e web editor.