Dialogo intorno alla letteratura di Marco Steiner

di Emiliano Ventura

È appena stato pubblicato il tuo romanzo La nave dei folli (Studium Marcianum Press), solo un anno fa usciva Nella musica del vento (Salani), ora hai inaugurato una nuova collana per Le Storie editore di cui hai scritto il racconto per la prima uscita, Un mare troppo lontano. La prima domanda è una considerazione intorno a questi eventi. Cosa li accomuna?

M.S «Un grande amore per la letteratura, tutto qui, unito al desiderio di spaziare fra le diverse forme letterarie.

Il tema che ho sempre prediletto nel mio scrivere è quello del viaggio, sia fisico che mentale. Ho viaggiato tanto nella mia vita e per lunghi anni l’ho fatto sulle tracce imprecise di un personaggio non reale, ma immaginario come Corto Maltese; dunque, l’immaginazione è stata sempre la guida di questi ‘vagabondaggi’.

Le declinazioni possibili in questo ambito sono estremamente varie: La nave dei folli racconta un viaggio Fantastico, cioè una vera fuga da una dura realtà. Questa storia nasce infatti come un omaggio alla letteratura che mi ha sempre accompagnato e avviato alla Fantasia più pura e libera, da Edgar Alla Poe, a Lovecraft e Melville, solo per citarne alcuni.

Il racconto ruota intorno a una parola molto preziosa: la possibilità.

Possibilità intesa come inquieta reazione e ricerca di altro in qualunque situazione. Nello specifico alla base della storia de La nave dei folli, un gruppo di internati in un manicomio riesce insperatamente a fuggire grazie a un misterioso veliero approdato sulla loro isola per avventurarsi verso rotte imprevedibili. Nel loro viaggio c’è il prepotente desiderio di libertà e di possibilità di vivere in una condizione diversa e, soprattutto, più umana. Nel racconto di questo itinerario affronto anche il tema della potenzialità liberatoria della scrittura stessa, infatti Indio, il comandante di questo strano vascello, affida al proprio diario di bordo una serie di pensieri personali e il resoconto delle conversazioni che si susseguono con gli altri membri del suo variopinto equipaggio nel corso di una navigazione costellata di prove e sorprese.

Nella musica del vento, è, invece, un romanzo che affronta il tema che mi è sempre stato caro, quello dell’avventura. In questa storia ho cercato di rendere omaggio al mio Maestro di scrittura, Hugo Pratt, percorrendo rotte e piste che hanno il sapore e rasentano le atmosfere del marinaio Corto Maltese, un amico che mi ha insegnato non soltanto a viaggiare liberamente, ma a farlo con la disponibilità all’incontro con l’immaginario più puro e nel costante rispetto dei luoghi attraversati e delle persone incontrate lungo la strada.

Nella musica del vento è un’avventura classica, ma è anche una ruvida storia d’amore fra due personaggi diversi, eppure in qualche modo simili nella loro emarginazione sociale.

Nel corso della vicenda ho cercato di raccontare anche il rapporto fra uomo e Natura in una terra selvaggia come il sud della Patagonia. Le popolazioni indigene della Terra del Fuoco ne sono state un ottimo esempio perché hanno saputo rispettare e dialogare con il duro ambiente che li circondava e consentiva loro di vivere. E nonostante questo, migliaia di persone pacifiche sono state sterminate nella prima metà del ‘900 dai latifondisti colonizzatori per lo più europei. Il protagonista, Morgan Jones, un bastardo senza morale né pietà, è un uomo che inizia il suo percorso cacciando proprio quei selvaggi per conto dei suoi padroni, ma che alla fine si ritroverà cambiato. Imparerà infatti, grazie ai nativi e attraverso il rapporto con la sua donna, ad attraversare quelle terre selvagge ascoltando la natura, dialogando con serpenti, pampas desolate e distese ghiacciate di mare. Pian piano fino la sua inquieta solitudine si aprirà all’ascolto della sua donna, della Terra e di quegli uomini che gli consentiranno non solo di sopravvivere, ma anche di comprendere l’importanza degli incontri che avvengono lungo la strada e dei cambiamenti che essi consentono.

La nuova collana di libri della casa editrice Le Storie, della quale In un mare troppo lontano apre la serie, è un invito alla letteratura di viaggio e avventura, inventando o riscoprendo storie che escano dai limiti angusti dei racconti di genere per aprirsi all’immaginario. In fondo il senso è proprio questo. Avrò l’onore, come direttore di collana, di proporre titoli e autori spaziando dal presente al passato. A questo mio primo racconto ne seguiranno altri di amici scrittori che si imbarcheranno in questa nuova avventura e testi dimenticati o da troppo tempo non pubblicati. Naturalmente anche lungo questo viaggio ci saranno certamente delle sorprese.»

Un mare troppo lontano mi appare un precipitato di tutta la tua opera, di tutto il tuo contesto letterario, narrativo. È come se in questo racconto breve lavoro ci fosse condensato tutto il tuo mondo, perché c’è Corto Maltese, che a un certo punto appare, ma ci sono anche i velieri, i relitti…

M.S «Qui effettivamente c’è quel precipitato, la parola usata da te Emiliano è perfetta. Perché man mano che si arriva a uno stile, che si scrive in una certa maniera, non si deve più continuare ad apporre cose ma a limarle. La scrittura assomiglia alla voce massima che è la poesia. In fondo il vertice massimo della scrittura è proprio la poesia. Poesia e teatro direi…

Nasce così questo piccolo racconto che ha sintetizzato il mio amore per un certo tipo di avventura, per la terra, per la Sicilia, per il Mediterraneo, per i sapori della vita in fondo. Si tratta di una sorta di dialogo poetico o, come mi hai giustamente detto tu una volta Emiliano, una prosa poetica, un dialogo tra un corvo e un ulivo.»

Questo mio primo racconto nasce da una serie di esperienze, strade polverose percorse, onde salate, silenzi, pagine attraversate e non scritte, musiche raccolte nel vento, personaggi, oggetti, cose o animali che mi hanno raccontato una maniera d’intraprendere questa specie di viaggio, un’avventura che, impercettibilmente, è diventata vita vera. (Marco Steiner, Agosto 2022)

Tra questi due romanzi, Nella musica del vento e La nave dei folli, vi è una differenza sostanziale; il primo, che io definisco un romanzo sudamericano, ha un registro realistico, mentre il secondo ha una impostazione apertamente fantastica. Come mai un cambio così radicale, esigenze o volontà di sperimentare?

M.S «Hai giustamente definito il realismo del primo romanzo come sudamericano e in questo consiste la vicinanza con il secondo, perché quel realismo magico è lo stile di tanti scrittori di quel mondo di frontiera che amo molto, fra questi, sicuramente Borges, Arlt, Alejo Carpentier, Cortázar, Márquez, ma, in fondo anche, Calvino, Süskind, Sgorlon, Landolfi.

Questo modo di raccontare apre, anzi spalanca, le porte all’immaginario e all’imprevedibile. Tale prospettiva la ritengo fondamentale e per me, come scrittore, sta diventando una necessità. In questo nostro mondo ormai pervaso, invaso e sclerotizzato da realtà e false riproduzioni della realtà, viviamo in un ambiente dove, per raggiungere qualsiasi luogo, si usano navigatori. Siamo costantemente geolocalizzati e ci muoviamo seguendo griglie e reti che non fanno altro che intrappolare la nostra libertà e soprattutto la nostra fantasia con continue ‘risposte’ informatiche che impediscono o riducono un pensiero libero e alternativo. A questa situazione cerco di opporre una sorta di distacco.

Oggi siamo costretti ad aprire gli occhi per seguire uno schermo, mentre sarebbe necessario aprire la mente attraverso l’esercizio della fantasia e del sogno. Per tale motivo questi due libri sono stati una necessità, non solo di sperimentazione letteraria, ma di esigenza esistenziale, in particolare dopo questo periodo di ulteriore blocco forzato dovuto alla pandemia. Anche se va considerato che questa reclusione viene continuamente esasperata dalla gabbia progressiva e invadente che sta calando sulle nostre esistenze incanalate ed è dettata da esigenze di appiattimento necessarie al consumismo dilagante.

Il principio che mi ha sempre guidato, e che la ‘conoscenza’ con il personaggio di Corto Maltese ha ulteriormente ampliato, è il più puro senso della libertà; libertà di viaggiare senza seguire schemi o programmi precisi e, naturalmente, di scrivere non curandomi di quello che potrebbe essere un mero e accattivante intrattenimento.»

Vorrei però fare un ulteriore passo indietro, Isole di ordinaria follia è un ‘romanzo’ (anche se ogni definizione è imprecisa perché il testo non è riducibile a un genere) che ha segnato una svolta evidente nel tuo lavoro e nella tua scrittura, è un punto di non ritorno. Potresti accennare a questa svolta, a questo cambiamento nella scrittura?

M.S «La svolta è dovuta essenzialmente alla modalità da cui è scaturita la scrittura di questa storia. Proverò brevemente a spiegare com’è nata.

Seguendo il lavoro fotografico del grande Gianni Berengo Gardin sulla situazione manicomiale in Italia, mi sono ritrovato in un ambiente assolutamente inusuale, l’archivio dell’ex-manicomio di San Servolo, una piccola isola affacciata a poca distanza dalle luci e dalla dolce magnificenza dell’affollata Piazza San Marco. L’archivio, un luogo-altro, un Altrove immerso nella sua placida ma inquieta penombra, conserva fra mura e finestre sbarrate, in maniera ordinata e razionale, la storia della follia e di oltre duecento anni di psichiatria.

In quell’ambiente isolato, silenzioso e distante da ogni cosa, non ci sono voci, ma fredde schede e rapporti tracciati in bella calligrafia su antichi registri che vanno dal 1750 fino ad arrivare al 1980. Si tratta semplicemente di nomi, di scarne diagnosi, date di ingresso e spessissimo di morte dei pazienti.

Eppure mi sono ritrovato circondato da volti e storie.

Sono rimasto immediatamente colpito dalla pochezza e dall’esiguità delle descrizioni degli uomini e delle donne che hanno vagato in quel limbo; le loro storie cliniche e i sintomi erano riassunti in scarne descrizioni. Immediatamente, fin dal primo giorno in cui mi sono seduto a leggere alcune di queste misere schede diagnostiche, dalle più antiche a quelle più moderne, ho avvertito una specie di richiamo, le loro voci, anzi, le urla di quelle persone che non avevano mai potuto raccontare altro che il loro disperato disagio, mi imploravano di essere ascoltate.

È così che ho provato ad immedesimarmi in alcuni di loro, provando a raccontare attraverso le loro differenti voci, altrettante storie di disagio e dolore.

Questo processo identificativo, molto più che stimolare la fantasia nel raccontare le storie di quegli uomini e donne senza parole, ha provocato in me una vera condizione di profondo contatto umano. Da un punto di vista letterario è chiaro che la voce, il linguaggio e la storia personale di un internato della fine del ‘700 non poteva essere simile a quella di una ragazza rinchiusa nello stesso ambiente nel ‘900, quindi questo processo di partecipazione a diverse storie e personalità è stato un grande esercizio di autentico ascolto di silenzi e modalità di reazione a quella reclusione.

In definitiva è stato un vero lavoro d’immersione e immaginazione.

Ho sempre sostenuto che per raccontare una storia non basta descrivere accuratamente e possibilmente in buono stile un ambiente oppure una determinata situazione, ma è più opportuno entrare fisicamente ed emotivamente in quell’ambiente e in quella situazione; in questo caso, a maggior ragione, bisognava entrare nelle teste, nelle anime e nelle storie personali di questi personaggi privati della voce nel corso delle loro difficili esistenze. 

Per Vedere le cose, non devi guardarle, devi sbatterti dentro, graffiare sul fondo, sanguinare…e dopo, uscirne ridendo, questa frase l’ho scritta per un’altra storia, ma in questo caso è fondamentale per non rimanere ancorati a una descrizione asettica, come fosse soltanto un resoconto scientifico.

Non potevo essere un osservatore distaccato, dovevo partecipare, dovevo entrare in quelle stanze e nelle diverse personalità di personaggi da immaginare dopo aver letto poche righe che ne descrivevano i disagi.

È stata un’importante esperienza umana e un punto di svolta nella mia scrittura.

Ero già entrato fisicamente e spiritualmente in ambienti geografici estremamente differenti e avevo già fatto incontri casuali con personaggi inusuali nel corso dei miei quindici anni di viaggi reali sulle tracce di uno splendido personaggio immaginario come Corto Maltese, ma a San Servolo mi sono ritrovato ad ascoltare voci lontane e assolutamente ‘diverse’ con lo stesso principio di incontro e ascolto rispettoso che avevo vissuto vagabondando sulle tracce di quel marinaio prattiano che ho sempre definito come un apritore di porte.

Ho seguito quel principio e quelle porte mi hanno portato in un mondo sorprendente, forse è per questo motivo che ho sentito la necessità con La nave dei folli di immaginare una fuga da quell’isola in una sorta di viaggio esistenziale verso la luce.»

Tutto il tuo lavoro di scrittura è apertamente inattuale rispetto alle mode e ai canoni della narrativa contemporanea, così impegnati a perdere la partita contro l’intrattenimento, mentre i tuoi romanzi recuperano un ruolo ‘esemplare’ della letteratura, quando questa era ancora interessata a fornire delle risposte intorno alla questione dell’umano in generale. È una condizione che ritieni necessaria o è un’evoluzione naturale di te stesso e del tuo lavoro?

M.S «Direi entrambe le cose, ritengo sia una condizione assolutamente necessaria in particolare in questo momento di evoluzione della mia vita e della mia scrittura. Ci sono diversi tipi di scrittura possibile: da una parte ci sono le storie lineari, cioè quelle che si leggono piacevolmente, con interesse, storie che scorrono davanti ai nostri occhi e descrivono realtà che conosciamo e che magari vorremmo approfondire nei dettagli. In questo ambito, i livelli di scrittura possono essere stilisticamente più o meno semplici o eleganti, in ogni caso le parole scritte sulle pagine scorrono davanti ai nostri occhi, coinvolgono la nostra attenzione, ma restano lì, distanti; sono righe di un libro che una volta letto rimarranno rinchiuse in quel blocco di carta.

Da un’altra parte ci sono storie che definirei a spirale cioè quelle che ci fanno entrare, anzi, ci spingono a precipitare in universi sconosciuti, insomma storie che allontanandoci dalla cosiddetta realtà si aprono a un nuovo orizzonte. Sono storie che ci aiutano a mollare gli ormeggi di un porto sicuro per avventurarci verso mari lontani e nuove isole da scoprire o, perfino, da inventare.

Questo secondo è il mondo letterario nel quale mi piace vagabondare come fosse un vero viaggio di scoperta, sarà anche inattuale, come tu lo definisci, ma è un mondo libero e lontano dalle solite rotte. Questo allontanamento però non vuole essere una fuga dal reale, ma un tentativo di distacco per osservare e capire la realtà da un’altra prospettiva per poi parteciparne in maniera più profonda.

Ecco cosa intendo per viaggio fisico e mentale, un’altra possibilità, un respiro di libertà.

La libertà…

è la possibilità di dubitare, la possibilità di sbagliare, la possibilità di cercare, di sperimentare, di dire NO a una qualsiasi autorità, letteraria, artistica, filosofica, religiosa, sociale, e anche politica, diceva Ignazio Silone.

Ecco, a questo punto, posso dire che ho fatto tanti viaggi e scritto tutti i miei libri seguendo questa filosofia, con Corto Maltese e senza di lui, adesso sono pronto ai prossimi.»

Ti ringrazio per il tempo e l’attenzione che hai voluto dedicarmi; da quanto detto credo che meglio si potrà cogliere la presenza del termine letteratura nel titolo, in un momento e in un contesto in cui si cerca di trovare un genere di narrativa a cui corrisponde una sezione di mercato, quest’idea di letteratura sembra quasi rivoluzionaria. 

Non è casuale che in un breve dialogo come questo siano emersi autori che hanno fatto la storia della letteratura e che ti sono compagni ed esempio nelle articolazioni del tuo lavoro. Ricorrono, nel tuo dire, parole come il viaggio, il fantastico, il possibile, l’esotico e il nome di quel libero marinaio da cui sei partito, credo che questi temi e parole ti saranno ancora corrispondenti.

Nel ringraziarti non mi resta che augurarti buona scrittura!

Fiori vivi ringrazia:

Marco Steiner scrittore, narratore, viaggiatore. Per la sua produzione, non solo letteraria, rimandiamo al suo sito http://www.marcosteiner.it/

Emiliano Ventura saggista, scrittore e filosofo. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo David Foster Wallace. La cometa che passa rasoterra, Elemento115 2019, Giordano Bruno. Tempo di non essere, Aracne 2021, Catilina. Il mio nome è legione, Efesto edizioni 2022.

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