La Storia dell’Unicorno

di Gilda Diotallevi

L’unicorno è una delle più belle tra le ombre che vagano nelle vaste regioni del pensiero…

O. SHEPARD

La storia dell’unicorno si perde tra realtà e leggenda. Confondendo il piano dei fatti con quello dei simboli e dei significati, essa rappresenta un fulgido esempio di come un’antica credenza abbia attraversato i tempi e lo spazio, lasciando tracce di sé in quasi tutto il mondo per arrivare fino ai giorni nostri.

Seguirne le evoluzioni, le confusioni, le sovrapposizioni di genere e la credenze risulta difficile, perché la storia dell’unicorno si compone e si frammenta di continuo, mettendo in connessione tradizioni diverse, provenienti da oriente e da occidente.

Classificato come animale esistente, l’unicorno ci pone di fronte i limiti epistemologici della scienza antica, la difficoltà di reperire notizie certe e la fondazione del sapere su dati riportati da viaggiatori, scrittori e mercanti. Eppure affascina l’idea che per secoli interi questo strano animale fosse stato considerato esistente. Come a dire che se il dato scientifico non era attendibile, la credenza e il mito che intorno a esso si è andato formando dice molto dei periodi storici e degli approcci conoscitivi del tempo. Simboli e significati, metafore e metonimie avevano valore pari alla realtà dei fatti.

La nascita del mito

La nascita del mito dell’unicorno non risulta affatto chiara e non solo per l’incerta provenienza, divisa tra Cina e India e poi portata in Europa, ma anche per la sua individuazione biologica.

Le prime fonti a nostra disposizioni sono del IV sec. a.C., anche se probabilmente la sua comparsa è molto più antica. Ctesia di Cnido, lo storico greco inviato alla corte di Persia per le sue capacità mediche e uomo di fiducia del Gran Re di Persia Artaserse II, ci fornisce il primo documento europeo in cui si parla di Unicorno che, stando alle indicazioni raccolte, si tratterebbe in realtà di un asino indiano. Nei suoi Indika, giunti a noi in una versione frammentata (qui riportiamo la versione del venticinquesimo frammento di Fozio) troviamo

In India ci sono degli asini selvatici grandi come cavalli e anche di più. Hanno il corpo bianco, la testa rossa e gli occhi blu. Sulla fronte hanno un corno lungo circa un piede e mezzo. La polvere di questo corno macinato si prepara in pozione ed è un antidoto contro i veleni mortali. La base del corno, circa due palmi sopra la fronte, è candida; l’altra estremità è appuntita e di colore cremisi; la parte di mezzo è nera. Coloro che bevono utilizzando questi corni come coppe, non vanno soggetti, si dice, alle convulsioni o agli attacchi di epilessia. Inoltre sono anche immuni da veleni se, prima o dopo averli ingeriti, bevono vino, acqua o qualsiasi altra cosa da queste coppe. Gli altri asini, sia quelli domestici sia quelli selvatici, nonché tutti gli animali con lo zoccolo indiviso, non hanno né astragalo né fiele, ma questi hanno sia l’uno sia l’altro. Il loro astragalo, il più bello che io abbia mai visto, è simile a quello del bue come aspetto generale e dimensioni, ma è pesante come piombo e completamente color cinabro.

Molti mercanti erano riusciti a raggiungere l’India e ad arrivare in Asia centrale, trovandosi di fronte probabilmente degli sconosciuti rinoceronti che, in base alle credenze del tempo, scambiarono per unicorni. La classificazione zoologica di questo nostro animale infatti risulterebbe improvabile, frutto di un ibrido tra specie e caratteri differenti. Odell Shepard, in particolare, nel suo bellissimo testo The Lore of the Unicorn (London 1930) ha pensato all’asino indiano di Ctesia come a una agglutinazione di rinoceronte indiano, antilope tibetana (la Pantholops hodgsonii, detta anche ‘chiru’) e onagro (Equus hemionus onager). Ma Ctesia non fu l’unico a fare confusione circa la sua provenienza. Mentre infatti, come questo ultimo, Aristotele pensava che l’unicorno fosse una specie mista di asino selvatico, Plinio, che inaugurò il termine monoceros con cui anche oggi lo conosciamo, credette che avesse il corpo di un cavallo, la testa di un cervo, i piedi dell’elefante e la coda del cinghiale. Nel Physiologus viene descritto come un animale simile a una capra, mentre per i Persiani era un asino a tre zampe, per gli Ebrei un mostro enorme, grande come il Monte Tabor, per i Cinesi una specie di ariete, di leopardo, di volpe, o di cavallo. Mentre Eliano, lo storico romano del II d.C. pensava fosse una specie di rinoceronte

[…] l’unicorno, che si chiama cartazon (kartazonos). Questo animale è grande come un cavallo adulto e ha la criniera e il pelo rossicci, le zampe simili a quelle dell’elefante e la coda di capra. È velocissimo. In mezzo agli occhi ha un corno singolo, nero, non liscio ma con certi anelli naturali, che si assottigliano per finire con una punta molto sottile. Fra tutti gli animali, è quello con la che gli si avvicinano, ma lotta con quelli della sua stessa razza: non solo i maschi lottano naturalmente tra loro, ma anche contro le femmine, e spingono il combattimento fino ad un esito mortale. È un animale dotato di grande forza fisica, e inoltre è armato del suo corno invincibile. Ricerca i luoghi più deserti, dove erra in solitudine. Nella stagione degli amori diventa gentile con la femmina che si è scelta, e pascolano l’uno a fianco all’altra, ma quando la stagione è finita ridiventa feroce e ricomincia a vagare in solitudine….

«[…] una semplice confusione tra dati zoologici abbastanza esatti; riguardanti il rinoceronte (ma con qualche probabile confusione con qualche altro animale, come l’antilope tibetana o l’orice), e dati forse d’origine mitica passati dalla cultura vedica e da quella mazdaica all’Occidente attraverso Ctesia prima, Megastene e il ciclo leggendario di Alessandro poi. In un certo senso, l’unicorno è il primo segnale della vocazione all’esotismo della cultura occidentale.» (F. Cardini)

Occidente

Tra il II e il III sec. d C, ad Alessandria venne diffuso il Physiologus, un testo scritto in greco allo scopo di aiutare i cristiani d’Egitto a interpretare la natura secondo i principi della nuova religione che si stava diffondendo in tutto l’Impero Romano. Questo volume enciclopedico, che offriva l’interpretazione degli animali e delle loro caratteristiche in chiave simbolica e religiosa, venne poi ripreso nell’Alto Medioevo. Ispirato a esso, cominciarono poi a diffondersi i Bestiari in lingua latina, veri e propri manuali che permettevano l’interpretazione di tutti gli elementi naturali come segni del male o di Dio, secondo le dottrine accettate nel Medioevo.

Fu proprio attraverso questi Bestiari che si diffuse in tutta Europa la tradizione popolare dell’unicorno come elemento allegorico. «Per mezzo di questo animale viene rappresentato il Cristo, e per mezzo del suo corno la sua indomabile forza. Colui che si posò in grembo alla Vergine fu catturato dai cacciatori; ovvero fu scoperto in forma umana dai suoi amatori». (Onorio di Autun, Speculum de mysteriis Ecclesiae) Le antiche credenze, retaggio di mitologie e religioni ancestrali, politeistiche e immanentistiche, non potendosi con facilità eliminare, venivano fatte convergere, attraverso il pensiero allegorico e morale, nel mondo cristiano.

Oltre alla sovrapposizione tra l’Unicorno e Cristo «è divenuto per noi corno di salvezza. Non hanno potuto aver dominio su di Lui gli Angeli e le potenze, ma ha preso dimora nel ventre della vera e immacolata Vergine Maria», viene in risalto il tema della giovane fanciulla, l’unica in grado di catturare l’animale, identificata iconograficamente con la Vergine Madre, soprattutto nel secoli XIII e XIV quando la devozione mariana aumenta significativamente. Il motivo risiedere nel fatto che nell’Antico Testamento, secondo la traduzione greca dei Settanta, viene citato l’Unicorno per ben sette volte, anche se in realtà si tratterebbe di una traduzione errata del termine Re’em. «Nel passaggio dall’ebraico al greco molti zoonimi originali il cui significato risultava opaco ai traduttori (ma in fondo, in molti casi, anche agli stessi membri delle comunità ebraiche) venivano resi con nomi di animali presi di peso dalla tradizione naturalistica greca ed ellenistica.» (A. Angelini, Dal Leviatano al drago. Mostri marini e zoologia antica tra Grecia e Levante)

C’è un animale assai gentile, che i cacciatori non possono catturare, a motivo della sua grande forza. Sulla fronte ha un corno solo. Ma osservate con quale espediente i cacciatori lo prendono. Conducono sul posto una giovane vergine casta e pura, e l’animale, quando la vede, le si avvicina, abbandonandosi in braccio a lei. Allora la fanciulla gli offre il seno e l’animale comincia a succhiare e a comportarsi affettuosamente con lei. Poi la fanciulla, tranquillamente seduta, allunga una mano e afferra il corno dell’animale: a questo punto intervengono i cacciatori, catturano la bestia e vanno con essa al palazzo del re. Similmente il Signore Gesù ha innalzato per noi un corno di salvezza in mezzo a Gerusalemme, nella casa di Dio, una vergine, pura, casta, piena di grazia, immacolata, intatta. (Anecdota Syriaca)

Diverse interpretazioni si aggiunsero a quella cristiana, come quella, apertamente atea, che si trattasse di una simbologia erotica. Nel Bestiaire d’amour di Richard de Fournival del XII sec., che associa gli animali alle diverse forme dell’amore tra uomo e donna, l’unicorno diviene simbolo dell’amor cortese:

Solo in tuo dolce profumo mi ha condotto fino a te, come l’unicorno che si addormenta al dolce profumo della verginità di una damigella. […] si inginocchia davanti a lei e si inchina con umiltà e dolcezza come volesse mettersi al suo servizio. Sicché i cacciatori avveduti che conoscono la sua natura mettono una vergine sul suo passaggio, e l’unicorno si addormenta nel suo grembo; […] e lo uccidono. Così crudelmente Amore si è comportato con me; [..] Amore, abile cacciatore, ha messo sul mio cammino una fanciulla, al profumo della cui dolcezza mi sono addormentato, e così muoio della morte a cui ero destinato.

Un altro aspetto importante nell’iconografia dell’unicorno è il valore sacro del corno.

Nel 1604 Basilio Valentino spiega la capacità del corno dell’Unicorno, ovvero l’alicorno, di proteggere dai veleni sulla base dell’attrazione dei simili e repulsione dei contrari, «Il vero corno dell’unicorno tutti i veleni da sé rigetta… ma se ad un puro pezzetto di pane non adulterato che nuoti nell’acqua si accosti, lo stesso corno senza contatto subito attirae il pane… è meravigliosissimo che tutte le cose a sé omogenee lo [il corno] seguitino e le contrarie lo odino e lo fugghino» (Basilio Valentino, Il cocchio trionfale dell’antimonio, p. 62) Proprio nelle leggende medievali troviamo l’Unicorno che accorre al fiume dove gli avvelenatori hanno inquinato le acque «coi loro segreti veleni insidiosi» e «affonda il suo corno nell’acqua, ripulendola dal veleno e ridonando purezza al suo corso affinché gli abitanti possano bere dalle sue sponde.»

Oltre a scoprire la presenza del veleno, si credeva che il corno avesse virtù terapeutiche, taumaturgiche e alessifarmacologiche, «chi beve da questo corno è al sicuro da tutte le malattie inguaribili, come le convulsioni e il cosiddetto morbo sacro, e non può essere ucciso dal veleno.» (Claudio Eliano). Di fronte allo sviluppo del metodo del veleno «Si frugò nella farmacopea, si ricercarono gli antichi testi, si resuscitarono superstizioni preistoriche, ma tutto ciò non servì a nulla» (O. Shepard, op.cit. p. 143), se non a farne lievitare il prezzo. Così Re, gran Duchi e i potenti delle corti d’Europa si contendevano gli alicorni, (in realtà erano denti di narvalo e zanne di elefante messi in commercio a partire dal Cinqucento), che esponevano nelle loro wunderkammern, ai poveri era destinato quello polverizzato come medicinale. Il dato più incredibile è che tale superstizione era così radicata che solo nel 1746 l’alicorno andò scomparendo dalle farmacie europee, alcune delle quali invece continuarono a vendere la polvere per molto tempo ancora.

Col tempo si scoprì un altro dato sorprendente. Per creare l’alicorno veniva usato un animale marino, ovvero il narvalo o monodon monoceros. I maschi adulti di questi mammiferi sono infatti provvisti di un dente, o una zanna, d’avorio puro sul lato sinistro della mascella superiore, puntato in avanti e leggermente incurvato verso il basso. Era proprio questo, insieme alle ossa di balena, che i mercanti vendevano al posto dell’alicorno e che i collezionisti custodivano come tesori. (O. Sheppard, op.cit., pp. 312-316)

Oriente

A testimonianza del fatto che la tradizione dell’unicorno si estendesse da oriente a occidente, troviamo molte fonti cinesi. Alcuni scrittori sostenevano che l’unicorno (il K’i-lin), avvistato per la prima volta nel 2697 a.C., non fosse originario del loro paese ma che venisse da molto più lontano. Secondo un’antica tradizione il nostro animale apparve alla madre di Confucio poco prima della nascita di quest’ultimo. Come i buddisti più perfetti, il K’i-lin «non mangia creature viventi, né animali, né vegetali…non calpesta mai nemmeno un insetto o un filo d’erba… E nell’aspetto fisico risplende dei cinque colori sacri, simbolo della perfezione […] distingue il bene dal male. A differenza dell’unicorno occidentale, il K’i-lin non ha mai valore commerciale e non si fanno medicine con alcuna parte del suo corpo: esso esiste per se stesso. […] Esso verrà in forma d’uomo incomparabile, svelatore di misteri, soprannaturale e divino, che porterà amore a tutta l’umanità.» (O. Shepard, op.cit., p.104)

Risultano così evidenti, nonostante alcune varianti, le stesse simbologie messianiche, capaci di accomunare oriente e occidente.

Gli unicorni nell’arte

Now I will believe that there are Unicorns, That inn Arabia there is one tree, the phoenix trone….

W. SHAKESPEARE La Tempesta, atto III

Nell’arte, soprattutto quella Rinascimentale, l’unicorno assume un ruolo di grande rilievo. Questa incredibile creatura fantastica, indipendentemente dalla sua controversa origine, costituirà un immaginario ben preciso, capace di giungere fino ai giorni nostri. I riferimenti sono davvero tantissimi, sia in letteratura che in pittura. Qui ne verranno citati solo alcuni, capaci di mostrare la lunga storia del suo mito.

Tra le prime rappresentazioni medievali, troviamo l’unicorno presente nel Bestiario di Rochester del XII sec. Tranne qualche rara eccezione infatti, fino al XII sec. gli unicorni raffigurati su capitelli, affreschi, vetrate e arredi sacri, corrispondono tutti ad allegorie cristologiche.

Verso la metà del Duecento l’unicorno inizia a essere raffigurato vicino a una giovane, a testimonianza della leggendaria cattura dell’animale, possibile solo per mezzo di una vergine capace di attirarlo e renderlo mansueto.

Arazzi Millefleur de La caccia all’Unicorno tessuti intono al 1480 per Francois de la Rochefoucauld. I pannelli originali erano sette e già dai loro titoli (I cacciatori entrano nel bosco; L’unicorno viene trovato; L’unicorno viene attaccato; L’unicorno si difende; L’unicorno viene ucciso e portato al castello; La mistica cattura dell’unicorno; L’unicorno in cattività) capiamo che l’ambientazione è quella tipica della caccia aristocratica medievale, anche se qui l’animale non è un cervo ma appunto l’unicorno. Quest’ultimo viene qui raffigurato come un cavallo bianco, che ricorda il candore, ma di dimensioni più piccole. Ricchi di dettagli naturalistici, vi sono tessute più di cento piante, la maggior parte delle quali identificabili. Nonostante compaiano anche le iniziali A.M. (Ave Maria) la scena è di impronta laica, tanto che l’interpretazione sarebbe duplice: potrebbe rispondere all’allegoria cristologica o rappresentare, come molti poemi d’amor cortese, il simbolo della fedeltà coniugale.

Arazzid’Aubusson La Dame à la Licorne (nel Musee de Cluny), resi noti dalla scrittrice George Sand che li vide presso il castello di Boussac nel XIX secolo. La scrittrice parlò brevemente degli arazzi nel romanzo Jeanne pubblicato nel 1844 e successivamente, in maniera più estesa, in un articolo pubblicato nel luglio 1847 sulla rivista «L’Illustration», con disegni realizzi dal figlio Maurice Sand.

Considerati gli arazzi più eleganti del Medioevo, hanno un fondo rosso e una lavorazione che segue un disegno gotico ricco di particolari. La serie di arazzi, la cui trama e dimensione è impressionante, è costituita da sei pannelli, cinque dedicati ai sensi (le goût; l’ouïe; la vue; l’odorat; la touché), mentre l’ultimo, A mon seul désir, più grande e di stile differente. Esso raffigura una dama, di fronte una tenda con la scritta Al mio unico desiderio, mentre ripone in un cofanetto una collana, con accanto un unicorno e un leone.

Il tema della Dama capace di ammansire l’unicorno, inizia a diffondersi nel Medioevo per confluire, iconograficamente, fino in età moderna. All’inizio infatti la giovane veniva identificata con la Vergine Madre del culto mariano, per poi identificare il valore della castità, fino a rappresentare il simbolo dell’amore e della fecondità. Dal mondo religioso, che si fonda sull’incarnazione del figlio di Dio nel grembo di una Vergine, si arriva quindi a quello di carattere prettamente erotico. A testimonianza di questa evoluzione del binomio Dama e Unicorno:

Santa Giustiniana del Moretto, dipinta verso il 1530, ora alla Galleria Belvedere di Vienna. La particolarità di questo dipinto risiede nel corno dell’animale che qui viene rappresentato di colore nero, così come era stato descritto da Plinio. Alla sinistra della Santa è seduto un unicorno dal manto chiaro, simbolo di purezza verginale, derivato dall’antichità ma molto usato nel Rinascimento.

Dama con Liocorno, opera di Raffaello Sanzio del 1505, anche qui il simbolo è quella della purezza verginale. L’animale è anche associato alla famiglia Farnese e al suo stemma araldico. Non si hanno notizie certe sulla committenza del dipinto che raffigura una giovane con lo sguardo fisso che tiene in grembo un piccolo unicorno.

Dama e Unicorno di Luca Longhi, nelle collezioni di Castel Sant’Angelo, realizzato intorno al 1540, raffigura una giovane seduta accanto a un unicorno che la guarda intensamente, il tutto in una ambientazione idilliaca. Si pensa che la fanciulla sia Giulia Farnese, sorella di papa Paolo III, la cui casata aveva come simbolo proprio l’unicorno.

Vergine e Unicorno del Domenichino, affrescata sopra la porta d’ingresso della Galleria di Palazzo Farnese a Roma tra il 1604 e il 1605, presenta la stessa ambientazione di Luca Longhi. Qui però la ragazza abbraccia l’unicorno, in un clima di estrema dolcezza.

Le suggestioni di questa creatura e dell’immaginifico che involve giungono fino a noi. Gustave Moreau, ispirato dal mito degli arazzi de La dama e l’unicorno, dipinge un’opera in cui alcune vergini allevano unicorni.

Per finire Remedios Varo ci regala un suo autoritratto con a fianco un unicorno, Self-portait with a unicorn 1947, rappresentando in tal modo il suo mondo magico-simbolico.

Anche Dalì e tutto il movimento surrealista fu affascinato dal mito dell’Unicorno, così come successe negli anni novanta all’artista newyorkese Will Cotton che, con la sua reinterpretazione, trascende la vera origine del mito e riporta l’unicorno in un nuovo immaginario pop.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

ANNA ANGELINI, Dal Leviatano al drago. Mostri marini e zoologia antica tra Grecia e Levante, Il Mulino, Bologna 2018.

ELIANIO, La natura degli animali, (a cura di) F. Maspero, BUR, Milano 1998.

LUIGINA MORINI (a cura di), Bestiari medievali, Einaudi, Torino 1996.

MARCO RESTELLI, Il ciclo dell’unicorno. Miti d’Oriente e d’Occidente, Marsilio, Venezia 1992.

ODELL SHEPARD, La leggenda dell’unicorno, Sansoni, Firenze 1930.

H.B.TRISTRAM, Natural History of the Bible, London 1867.

BASILIO VALENTINO, Il cocchio trionfale dell’antimonio, (a cura di) M. Gabriele, Mediterranee, Roma 1998.

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