Intervista all’Altrove: Teatro Studio.

di Giada Zaccardi

Noi non facciamo arte, facciamo artigianato e l’arte è un incidente
Giorgio Latini – Altrove Teatro Studio

Fiori Vivi, con la sezione In loco, si propone di segnalare quei – speriamo non troppo – rari incontri culturalmente significativi, da consigliare a chiunque ami ancora stupirsi.
Con questo spirito, quando ho pensato al mio primo contributo per questo progetto, con molta emozione, mi è venuto in mente il teatro studio Altrove, che si trova in via Giorgio Scalia 53 (Fermata metro Cipro) e che ha aperto, ormai, circa un anno fa.
Poco dopo l’apertura ho avuto il piacere di assistere allo spettacolo Blues in sedici, tratto dal libro di Stefano Benni, peraltro presente alla messa in scena ed entusiasta della ‘versione altrove’.
Mi ha colpito immediatamente, sin da quel primo incontro, lo spirito che si sente ‘nell’Altrove’, quello spirito di chi ha qualcosa non solo da dire, ma da dare.
Intanto, premetto che oltre il teatro, c’è un’accademia di recitazione e che gli spazi sono aperti alle sperimentazioni, come le menti dei Direttori.

Ho intervistato quindi Ottavia Bianchi, direttrice artistica, e Giorgio Latini, direttore amministrativo, che ringrazio per la loro disponibilità e per l’intenso momento di condivisione, prima parlando del progetto e, poi, commentando la loro versione di Blues in sedici.

Come nasce questo progetto?

Giorgio: “Io e Ottavia ci siamo conosciuti un po’ di anni fa e l’idea di far nascere un posto del genere è nata quasi subito, perché confrontandoci (siamo entrambi attori e abbiamo frequentato moltissimo il panorama del teatro off romano e anche del resto
di Italia in realtà; panorami abbastanza diversi) ci siamo resi conto di una serie di problematiche tecniche ed economiche che gli attori sono costretti ad affrontare al giorno d’oggi.
Decisi nel voler trovare una certa indipendenza da tutta una serie di dinamiche politiche del circuito (che non sono una novità per nessuno che frequenta l’ambiente del teatro) abbiamo pensato di trovare un nostro spazio.
L’idea originale era quella di servirci di un luogo molto più piccolo, poi un colpo di fortuna ci ha condotti qui…
Noi lo cercavamo da quando è nata l’Associazione I pensieri dell’altrove nel 2012, ma per concretizzarlo c’è voluto diverso tempo”.

Lo capisco, anche perché direi che non ci sia una grande apertura verso le espressioni artistiche indipendenti…

Giorgio: “No, infatti! Anche perché, per le ragioni di indipendenza di cui parlavo prima, questo spazio è totalmente privato, con tutte le difficoltà e i privilegi che questo comporta”.

Ottavia: “Ci sono, in effetti, pro e contro: i contro sono soprattutto relativi al fatto che i nostri mezzi sono limitati, pur essendo stati molto fortunati a trovare questo spazio a un ottimo prezzo, è stata una mole di lavoro enorme costruire ciò che vedi, perché qui non c’era niente.
A novembre avevamo già dato l’avvio all’accademia sia con corsi professionali che con corsi semi-professionali.
Si tratta di un’attività che portiamo avanti da anni e che ci ha condotti a cercare una ‘casa’, nel senso che Roma pullula di sale prova, ma quasi nessuna di esse rispetta lo standard minimo per fare teatro.
Ci vogliono i giusti requisiti per fare teatro! Serve una sala rettangolare, un parquet, degli orari consoni, insonorizzazione (per provare liberamente), un pianoforte e tanto altro.
Quindi abbiamo cercato un posto che ci consentisse una certa stabilità, ma soprattutto la possibilità di decidere sulla produzione artistica e la libertà, senza prezzo, di scegliere noi con chi collaborare”.
Giorgio: “Noi, ad esempio, abbiamo una sala con parquet adeguato allo standard europeo, come quello del Teatro dell’Opera, che però non essendo una normativa vincolante, non è presente da nessuna parte, nemmeno nei licei coreutici”.

Tornando all’Altrove.

Giorgio: “Alla fine però Altrove non nasce solo per noi, nasce per tutti.
Per sopperire a una serie di disagi che tanti colleghi hanno poiché molti direttori amministrativi (ma anche artistici) di teatri, mancando di un vero background teatrale, tendono a essere eccessivamente burocrati – anche coloro che erano attori si trasformano a loro volta un po’ in burocrati – e cercano di lucrare a discapito delle compagnie”.

Ottavia: “Ormai la figura dell’attore è cambiata, si è evoluta, c’è molta burocrazia da affrontare.
Inoltre, sono considerate ancora ‘giovani compagnie’ quelle con attori fino a 45 anni di età e, anche se in realtà molti di loro hanno alle spalle studi tecnici avanzati e possono vantare esperienze pluriennali, vengono comunque trattati come novellini, soprattutto con riferimento ai compensi.
L’attore, nella sua dimensione contemporanea, quindi, ha le capacità e i titoli, ma non ha gli spazi, perché la maggior parte dei teatri diventa, in questo modo, inaccessibile.
Ma anche chi accetta di lavorare negli spazi off si inserisce in situazioni nebulose nelle quali non sai mai nemmeno se guadagnerai qualcosa, senza contare la manchevole assistenza sindacale e l’insussistente possibilità di immaginare una pensione.
Totalmente in controtendenza con ciò che questo contesto vorrebbe suggerire, l’Altrove nasce con il concetto di base che di arte si può vivere, sempre con l’accortezza di non approfittarsi dell’esigenza dell’attore di andare in scena”.

Giorgio: “Credo ci sia una grande analogia oggi, tra la figura dell’attore e quella del filmmaker, autore che deve ricoprire contemporaneamente il ruolo di regista, montatore e operatore; sono state inglobate in una sola figura tante funzioni diverse, per ragioni effettivamente solo economiche.
Anche l’attore è in una condizione del genere: oggi viene trattato da scenografo, macchinista, regista, sarto, costumista, drammaturgo… Ovviamente, questa è un’arma a doppio taglio, poiché si vede tanto, ad esempio, quando un disegno luci lo faccio io o lo fa qualcuno che si occupa di quello nella sua vita professionale, come si vede quando queste otto quinte le costruisco io oppure un macchinista.
E poi c’è questo grande equivoco: cioè che l’attore sia un libero professionista, mentre in realtà nasce come lavoratore dipendente, sennò non ci saremmo battuti tanti anni fa per avere i riposi pagati. E invece ora non esiste più niente…

Se tu non ti fai pagare niente, il tuo lavoro non vale niente
Ottavia Bianchi – Altrove Teatro Studio

Ottavia: “Anche le prove pagate oramai non esistono più, sono una chimera! Quindi la nostra idea è quella di organizzarsi, di creare una rete, finalizzata a ricordarsi che questo è un mestiere, deve avere un guadagno e non deve essere offensivo”.

In effetti, è una condizione che accomuna moltissime figure professionali attualmente, non basta più saper fare qualcosa, sembra si debba essere in grado di offrire un pacchetto completo che risolva le esigenze di chi ti offre lavoro.

Ottavia: “Sì, oggi siamo bombardati da questa ‘dimensione del multitasking’ delle 24 ore di lavoro consecutive, dalla quale è bene prendere le distanze.
È anche vero, però, che i tempi stanno cambiando e che un po’ ci si può evolvere. Ad esempio, nei nostri corsi non facciamo più soltanto lezioni di ‘parola, corpo e canto, ma Giorgio sta organizzando un corso di scrittura creativa insieme a un tecnico delle luci bravissimo”.

Giorgio: “Il panorama è cambiato molto. Ribellarsi, dal nostro punto di vista, è inutile; non intendo dire che quello che succede sia giusto, ma bisogna cercare di abbracciare questa situazione di cambiamento con intelligenza, per poi cercare di crescere sempre di più e di poter collaborare con tutte quelle figure altamente specializzate, fondamentali per l’ottima resa dello spettacolo”.

Ottavia: “Ci sono dei testi che non puoi materialmente mettere in scena se non hai un allestimento di un certo tipo e una scenografia degna di questo nome. È anche vero però che l’attore oggi non può pensare di vivere per sempre ‘a scrittura’, poiché si ritroverebbe a vivere anche lunghi periodi di fermo. Ma, a dispetto di tutto, è proprio in questi momenti che bisognerebbe iniziare a proporre progetti propri, in luoghi più piccoli come questo che, nello specifico, nasce con l’intento di fornire a tante compagnie che lo meritano uno spazio in cui esprimersi”.

E il nome? È per questo che si chiama Altrove? Perché propone un’alternativa?

Giorgio: “Sì e no, nel senso che Altrove ci piace moltissimo come nome, perché in effetti racconta già tutto, ma in realtà viene dal nome dell’Associazione – I pensieri dell’Altrove – di cui parlavo prima.
Per quanto riguarda il nome dell’Associazione, poi, penso possa raccontare molto meglio Ottavia, su tutto ciò che significa, sia a livello immaginifico sia a livello concreto”.

Ottavia: “Questo concetto ha veramente tanti livelli di interpretazione. La parola altrove già ti parla, sin da subito, di una dimensione diversa e distante, che è un po’ una metafora del teatro che è un luogo chiuso, un luogo di sogno, un luogo dove – dal mio punto di vista – i fantasmi di carta del testo (che è il re intorno al quale tutto questo si muove) attraverso la carne ‘viva’ degli attori, possono prendere vita.
In questo senso si vuole richiamare un legame con il concetto di buon testo e buoni autori (anche di chiara fama).
Questo da un punto di vista, dall’altro c’è anche l’interpretazione personale: il ‘luogo teatro’ è per me un luogo dove trovo la mia essenza, il mio ordine dal caos della vita e quindi riesco a essere creativa (ma ordinata), felice ed è dove il passato può rivivere… Non a caso, si tratta di un luogo in cui tu puoi resuscitare fantasmi di vario tipo. Anche attraverso l’utilizzo di oggetti che vengono dal passato. Infatti io credo che l’attore sia un po’ un medium, un tramite tra un momento o un pensiero passato e il presente.
Per finire, c’è il fatto (e questo è un aspetto molto personale) che l’attore trova se stesso in un’altra dimensione, cioè in una ‘dimensione-altra’, un po’ l’orrore di sé che nel teatro è una risorsa per andare a cercare il personaggio – che in teoria non ti assomiglia – attraverso interpretazioni varie.

Trovo la scelta molto interessante, anche perché ritengo che questo nome sia in grado di riassumere tutto questo, senza togliere nulla ai significati.

Ottavia: “Grazie! In effetti, si presta a molte interpretazioni, a esempio, questo murale lunghissimo che c’è dall’ingresso su strada e fino qui è un po’ una visione dell’artista Cristina Gardumi, che ci tengo sempre a ringraziare tanto. Lei mi ha chiesto che cosa volesse dire per me ‘Altrove’, io gliel’ho raccontato così e poi ‘i mostri della sua testa’ hanno preso quella forma lì sul muro”.

In effetti trovo il murales perfetto, ti porta via dalla strada e ti conduce verso un altro posto… Un’ultima domanda sul progetto: l’associazione e il teatro sono vostri, ma poi vi avvalete di altri professionisti?

Giorgio: “Sì, certo! Altrimenti ce la cantiamo e suoniamo da soli! A parte gli scherzi, noi cerchiamo di non intervenire più di una o due volte durante la stagione, perché questo deve essere uno spazio a disposizione di tutti e anche perché più persone passano di qui, più teste riusciamo a cambiare, perché c’è un senso di colpa diffuso in questa professione, sembra che si debba chiedere scusa perché si fa l’attore. Invece, non credo debba essere così.
Mi capita spesso di raccontare questa cosa, anche quando parlo con i ragazzi a cui facciamo formazione: negli anni ’60/’70 il Piccolo di Milano faceva circa il 45% degli incassi con la biglietteria, il che voleva dire che il 55% lo faceva con altro, che era il bar… Poi il bar è passato di moda perché il bar prima del teatro era volgare ed è stato sostituito con le sovvenzioni.
È così che nasce il ‘teatro a perdere’, perché solo il 45% delle entrate veniva dai biglietti e l’altro 55% doveva essere chiesto allo Stato, con gli attori che si trovavano a lavorare gratis e a staccare omaggi per dare l’impressione che il teatro fosse pieno, ma ovviamente alla produzione non entrava un soldo.
Dopo di che, l’attore di turno doveva riuscire a trovare un teatro e/o uno stabile più grande che potesse comprare lo spettacolo, riuscendo così a ottenere una paga, anche se i biglietti continuano a essere gratis”.

Ottavia: “Ci sono moltissimi spettacoli e altrettanti attori meravigliosi, che però per una questione numerica, non riescono a entrare nei circuiti, che comunque sono tre… Le produzioni di ogni stabile sono una o due l’anno… e quindi non lavorano”.

Giorgio: “Inoltre, l’ambiente del teatro sembra un po’ quello di una vecchia portineria, nel quale se qualcuno va a dire che un certo spettacolo ‘ha fatto schifo, influenza definitivamente il pensiero degli altri, Peraltro, c’è molto regionalismo e ognuno lavora e produce soltanto nel posto dove si trova, ci sono quindi molte chiusure.

Penso si tratti della poca educazione culturale. Quando si parla di materie scientifiche, in effetti, nessuno si permette di essere così tranchant.
Al contrario, in campo umanistico non ci si pone alcun problema disprezzare, pur non essendosi mai occupati di un certo ambito.
A mio parere, quando c’è in gioco del materiale umano (situazione nella quale si è chiaramente più soggetti a critiche, nel senso più ampio e quindi migliore del termine) si dovrebbe imparare a considerare che a livello tecnico c’è un lavoro, dal quale tenere ben distinto il gusto personale.

Ottavia: “In merito a questo, ci terrei che tu scrivessi la mia opinione.
Il più grande problema di questa epoca, secondo me, è la formazione.
In questa professione, chiunque si alza la mattina e decide di fare l’attore, in teoria lo è.
Questo è folle.
Noi che facciamo formazione (dopo averne ricevuta a nostra volta e con almeno dieci anni di gavetta alle spalle) spieghiamo ai nostri allievi che ciò che passa la televisione (ad esempio i talent show) ha rovinato disgraziatamente questa professione.
Questo incontrollabile fenomeno non lede tanto quelli della nostra generazione, che hanno frequentato le accademie, studiando e faticando, e che poi si imbattono ai provini in queste persone che arrivano dai reality e che non hanno una reale formazione, poiché credo che sia la professionalità che fa resistere un attore nel tempo e, quindi, a parte i brividi per doversi relazionare con tale ignoranza, non ci impedisce di trovare – nel tempo – un nostro spazio.
Più che altro, invece, rovina le nuove generazioni, convinte che basandosi solo su quelle esperienze poco formative si sia già pronti a lavorare e resistere nel tempo. Noi li vediamo, perché arrivano da noi spesso dopo aver speso migliaia di euro in scuole famose solo per il nome e non sono in grado di parlare italiano, magari hanno anche frequentato qualche anno, ma non hanno nemmeno mai fatto dizione.
Non perdono solo soldi, perdono anche tempo – che è il bene più prezioso che hanno – e vengono strumentalizzati con il loro stesso sogno”.

Ho trovato il vostro spettacolo attualissimo e forse non mie era mai capitato di veder esprimere le problematiche legate a questo tempo in un modo così peculiare e travolgente.

Giorgio: “Intanto, plauso a Stefano Benni perché lo ha scritto lui!”

Infatti! Però il fatto di cronaca su cui si basa il testo è degli anni ’80, il che ci preoccupa anche perché le problematiche sociali sono le stesse, solo che un po’ peggiorate.
Quello che però mi ha davvero emozionata dello spettacolo è stata la regia.
Ha consentito al messaggio di arrivare fortissimo, infatti a un certo punto ho chiuso gli occhi perché le voci e la musica mi comunicavano tutto, l’immagine quasi mi distraeva

Ottavia: “Ho pensato a questo lavoro teatrale da subito, non appena lessi in libro, tra il 2000 e il 2002. Ero ancora giovane e poco consapevole. Nonostante questo incontro fosse avvenuto in una fase embrionale della mia formazione, dopo tanti anni di studio e lavoro come attrice, il mio desiderio verso quel libro non è sparito.
Ho sempre letto Benni, anche se questo testo è molto particolare e cupo.
Quindi, in comunicazione come un medium con questi versi, mi ha sempre fatto pensare a più voci ed è anche uscita la me cantante.
Al contrario del testo originario, pensato per una sola voce e un contrabbasso, quello della mia regia è un vero e proprio concerto drammatico, un magma sonoro con moltissime onomatopee, pensato quasi come concerto musicale, anche se abitato da parole. Credo, infatti, che qualche volta si sia perso il singolo verso, ma che siamo riusciti a dare l’atmosfera del movimento.
Ci terrei a fare un plauso agli attori e al chitarrista perché, con la loro capacità e professionalità, sono stati in grado di entrare in ciò che volevo realizzare”.

Giorgio: “Ora racconto la parte divertente di quando Ottavia ci ha comunicato la sua idea, parlando della regia, ma da attore”.

[i due ridono ed io ascolto interessata Giorgio che recita il dialogo, facendo sia la sua parte, sia quella di Ottavia]

O: Allora c’è questo testo, si basa su un fatto di cronaca degli anni ’80 ed è stato scritto alla fine degli anni ’90 e lo voglio fare oggi.
G: Ok, non c’è problema, perché le storie anche se hanno una certa distanza nel tempo, contengono spesso degli archetipi che sono eterni. Che cos’è?
O: mah, una ballata…
G: ah d’accordo!
O: In versi…
G: Ah… Emh… Ok, facciamo un reading in versi, non c’è problema…
O: sono 16 movimenti, 8+8, però ho avuto un’idea: dato che il verso è μουσική (musikè) , non trattiamolo come prosa, trattiamolo come musica!
G: …
Panico.

Ottavia: “Tutto è stato montato in 20 ore, dividendo per tessitura vocale attori e ruoli, partendo dal suono, dai ritmi che avevo in mente. Abbiamo lavorato sul ritmo e quando lo abbiamo fatto nostro, ci abbiamo rimesso dentro il senso; un senso che poi è stato quello di concept album”.
Giorgio: “Non per niente, l’ambientazione che ha creato Ottavia (per questo mi colpiva che hai detto di averlo ‘visto a occhi chiusi’), è stata frutto di un’operazione amarcord – inspirata agli anni ’90 – volendo simulare di essere in una cantina a cantare per il pubblico questo concept album.
Intatti, l’ambientazione era semplice e noi non eravamo i personaggi della ballata originale, ma i membri del gruppo, che cantavano”.

Blues in Sedici all’Altrove
Tratto dal testo Blues in Sedici di Stefano Benni

Ottavia Bianchi – Regia
Giacomo Ronconi – chitarra
Giorgio Latini – Attore
Alessandra Mortelliti – Attore
Stefano Vona Bianchini – Attore