ESPLORAZIONI #1. Collezione di sabbia. La camera delle meraviglie di Calvino.

di Flavia Sorato

Tutti i racconti belli uditi o letti –/una fonte infinita di bevanda immortale,/cola per noi dall’orlo del cielo.

John Keats – Endimione

È spento l’occhio di colui che non prova stupore e curiosità.

Albert Einstein

Ma prima di questi libri ne avevo letto un altro di cui subito avevo avuto voglia di scrivere, ma che ho tenuto finora in attesa, come succede coi libri in cui le cose interessanti sono tante, troppe per stare in un articolo.

Italo Calvino – Collezione di Sabbia

«C’è una persona che fa collezione di sabbia. Viaggia per il mondo, e quando arriva a una spiaggia marina, alle rive d’un fiume o d’un lago, a un deserto, a una landa, raccoglie una manciata d’arena e se la porta con sé. Al ritorno l’attendono allineati in lunghi scaffali centinaia di flaconi di vetro entro i quali la fine sabbia grigia del Balaton, quella bianchissima del Golfo del Siam, quella rossa che il corso del Gambia deposita giù per il Senegal, dispiegano la loro non vasta gamma di colori sfumati […] dal ghiaìno bianco e nero del Caspio che sembra ancora inzuppato d’acqua salata, ai minutissimi sassolini di Maratea, bianchi e neri anch’essi, alla sottile farina bianca punteggiata di chiocciole viola di Turtle Bay, vicino a Malindi nel Kenya».

Collezione di sabbia si apre così. Una raccolta di articoli scritti da Calvino nel corso di alcuni anni ed inviati da Parigi a dei giornali italiani: un’antologia di piccoli saggi che sembra una camera delle meraviglie, una sorta di wunderkammer, colma di particolarità e stranezze d’ogni sorta. È come entrare in una stanza nascosta, piena d’oggetti, barlumi, riflessi, tra cui il lettore si muove esplorando ritagli di realtà inconsuete. L’immagine di piccole bottigliette piene di sabbia nasce dalla visita a Parigi di un’esposizione dal tema “collezioni strane”: così prosegue la narrazione del volume, prendendo spunto da altre mostre visitate nella Ville Lumière, da libri, opere, luoghi. Calvino esplora, indaga, studia arrivando così a comporre la sua personale collezione e «come ogni collezione anche questa è un diario: diario di viaggi, certo, ma pure di sentimenti, di stati d’animo, di umori».

Nel racconto La biblioteca di Babele Borges scrive: «Quando venne proclamato che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima sensazione fu di stravagante felicità. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto».

La percezione di avere tra le mani un tesoro è l’impressione che filtra da questo libro.

Nella quarta di copertina della prima edizione di Collezione di Sabbia (apparsa nella collana “Saggi Blu” di Garzanti, nel 1984), Calvino stesso tratteggia il contenuto di questa sua raccolta descrivendola come “un’esposizione insolita”, un piccolo universo di storie ricche di eccezionalità e raccontate “attraverso una sfilata di oggetti”: antichi mappamondi, libri, opere d’arte, insolite ed eccentriche collezioni. Questo nugolo di cose è ciò che permette di delineare le caratteristiche dello scrittore: «onnivora curiosità enciclopedica e discreta presa di distanza da ogni specialismo; rispetto del giornalismo come informazione impersonale e piacere d’affidare le proprie opinioni a osservazioni marginali o di nasconderle tra le righe; meticolosità ossessiva e contemplazione spassionata della verità del mondo».

Il forte desiderio di conoscere che qualifica Calvino, quel suo bisogno autentico di sapere, affiora tra i tanti aneddoti e richiami culturali che riempiono le pagine. Torna alla mente quel ritratto che Pasolini fa del volto dello scrittore nella postfazione realizzata per Le Città Invisibili, quel viso così furbo e fiero, caratterizzato da espressioni che lasciano intuire il pensiero di una mente attenta. Il pensiero di Calvino è dato da un vedere accorto, interessato ed infatti la pratica di vita e di lavoro per lui davvero rilevante, la più importante da trasmettere e da insegnare è: “un modo di guardare, di essere al mondo”. La sua scrittura nasce da una vocazione visiva e là tende, le sue opere sono gremite di immagini e di alcuni simboli in particolare, come il labirinto, lo specchio, gli alberi, la città, tutti temi ricorrenti, come regolarmente presenti sono dei dualismi, quelle coppie di realtà dialettiche che tornano di libro in libro: «in questo senso la ricerca di Calvino ha privilegiato i versanti dell’alterità, della realtà opposta, accettando in pieno il rischio del confronto. Natura e urbanesimo, istinto e razionalità; caos e geometria, ma soprattutto ordine e disordine […])».

Collezione di sabbia manifesta appieno questo approccio della scrittura nel catturare il mondo visibile: l’occhio si riafferma strumento principe d’indagine. Calvino stesso precisa sempre in apertura alla raccolta che il florilegio accoglie pagine di «cose viste o che, anche se nate da letture di libri, hanno come oggetto il visibile o l’atto stesso di vedere (compreso il vedere dell’immaginazione)».

Una riflessione su cosa sia la vista e cosa significhi guardare ci è affidata nelle ultime sezioni che riguardano il viaggio: completano il volume tre gruppi di racconti su Giappone, Messico, Iran, «dove dalle cose viste si aprono spiragli di altre civiltà».

La proprietà del linguaggio è il sale dei racconti, scriveva Miguel de Cervantes. Questa collezione calviniana è un esempio della perspicacia con cui l’autore sceglie le parole, del suo stile come sempre caratterizzato da una potente semplicità, brillante, ingegnosa, in cui descrizioni e pensieri si incastrano senza sbavature, con finissima intelligenza.

In un saggio critico, Le forme del tempo, Roberto Didier sviluppa una riflessione sull’universo delle forme dell’opera calviniana e ne descrive lo stile, riaffermando il carattere della “molteplicità” che contraddistingue la sua scrittura, non solo da un punto di vista estetico ma come modello d’osservazione. Il valore che emerge dallo sguardo è dato dalla complessità ed il tipo di ricerca conoscitiva messo in campo è un’indagine per livelli, pulviscolare, parcellizzata (tipica del Novecento). Nell’ambito di questo tipo di studio le dimensioni dello spazio e del tempo sono fondamentali: lo spazio ad esempio è il grande protagonista dei viaggi che Marco Polo racconta all’imperatore Kublai ne Le città invisibili; ma in particolare è il Tempo a regnare per tutto lo scorrere della narrativa calviniana «nella forma della storia come in quella […] delle cose desiderabili, che è poi dire lo stesso. Gli oggetti desiderabili segnano con precisione lo scorrere del tempo, gli attribuiscono una qualità formale che testimonia il suo scandire i periodi dell’esistenza umana […]».

Della rilevanza del valore di spazio e tempo si legge sempre alla fine de Le Città invisibili quando Marco Polo riassume con saggezza i due modi per non soffrire: accettare l’inferno, non quello di un aldilà, ma quello che viviamo qui e ora, che abitiamo tutti i giorni stando insieme; oppure decidere di adottare un altro modo che però esige attenzione e apprendimento continui: «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durare, dargli spazio». Questi concetti, in particolare la durata, si presentano subito nel primo racconto della Collezione, nell’immagine iniziale della sabbia, simbolo dello scorrere del Tempo che ha preso forma nelle ampolle.

Calvino ordina e raccoglie gli articoli della Collezione in quattro sezioni: Esposizioni-Esplorazioni; Il raggio dello sguardo; Resoconti del fantastico; La forma del tempo.

Nella prima sezione, tra i vari resoconti delle esposizioni visitate a Parigi, sono presenti più riflessioni sull’oggetto/concetto di mappa. Com’era il nuovo mondo e Il viandante nella mappa nascono rispettivamente dalla visita di due mostre: L’America vista dall’Europa e Carte e figure della terra. Nel primo brano lo scrittore riesplora il Nuovo Mondo e l’idea che gli europei si fecero di quei luoghi esotici all’epoca delle grandi scoperte geografiche. Grazie a testimonianze di vario genere, quadri, stampe e alle opere dei grandi cartografi Calvino ripercorre la storia della rappresentazione dei viaggi e delle scoperte a partire da Colombo, epoca in cui ancora miti e immagini fantastiche avevano la meglio su resoconti veritieri. A partire dal secolo successivo i nuovi territori prendono forma e anche le immagini delle popolazioni si fanno via via più reali. Tra racconti di spedizioni, esploratori, carte e mappamondi, Calvino medita sul senso di indefinito, sulle reazioni di turbamento e stupore che derivano dall’incontro con qualcosa che non rientra nelle nostre aspettative.

La necessità di disegnare mappe viene dunque dal viaggio. Questo bisogno di rappresentare il mondo nasce sì da un’occorrenza pratica ma è anche accompagnato da un’istanza estetica: c’è uno spazio di confine in cui cartografia e pittura paesaggistica s’incontrano, come in un prezioso rotolo giapponese del Settecento (19 m) in cui è rappresentato il percorso da Tokyo a Kyoto, un paesaggio accuratamente disegnato, lungo cui si muove il viandante tra sentieri, villaggi e boschetti.

All’origine della cartografia si pone poi un altro tipo di urgenza/opportunità: comprendere in un’immagine le dimensioni dello spazio e del tempo. «La carta geografica, insomma, anche se statica, presuppone un’idea narrativa, è concepita in funzione d’un itinerario, è un’Odissea».

In questa prima parte della raccolta Calvino include anche diverse riflessioni sulla scrittura.

Ditelo con i nodi è un articolo breve che ha in sé l’incanto di una fiaba. Lo scrittore visita una mostra Nodi e legature, presso la Fondazione Nazionale d’Arti Grafiche e Plastiche, un’esposizione che esorta a pensare il linguaggio dei nodi come una primordiale forma di scrittura. Calvino riporta il pensiero di Agamben nel sostenere che questa forma di espressione antichissima riesce a mantenere il contatto con l’origine mitica della parola.

Le cordicelle dei Maori, i fili di cotone del Perù (i quipu degli Incas), gli dei Annodatori dello Shintoismo giapponese (quelli che legano il cielo alla terra, lo spirito alla materia, la vita al corpo) sono tutti esempi di come «l’arte di fare nodi, culmine insieme dell’astrazione mentale e della manualità, potrebbe esser vista come la caratteristica umana per eccellenza, quanto e forse ancor più del linguaggio…».

Nella seconda sezione della Collezione Calvino prosegue la sua riflessione sulla scrittura, ma si aprono anche indagini più profonde sulla natura degli oggetti.

Ne La redenzione degli oggetti, piccolo saggio dedicato alla figura di Mario Praz, alla sua Antologia Personale (Voce dietro la scena, Adelphi) e alla sua casa (diventata il Museo delle collezioni di mobilio, quadri, cere e opere varie raccolte in una vita), Calvino ha l’occasione di esprimere il proprio punto di vista sull’esistenza delle cose legata a quella dell’uomo: «L’umano è la traccia che l’uomo lascia nelle cose, è l’opera, sia essa capolavoro illustre o prodotto anonimo d’un epoca. È la disseminazione continua d’opere, oggetti e segni che fa la civiltà, l’habitat della nostra specie, sua seconda natura. Se questa sfera di segni […] viene negata, l’uomo non sopravvive. E ancora: ogni uomo è un uomo-più-cose, è un uomo in quanto si riconosce in un numero di cose, riconosce l’umano investito in cose, il se stesso che ha preso forma di cose».

Il collezionismo si rivela così come una possibilità di ricreare un’unità, per esorcizzare il senso di dispersione e perdita, dando rilevanza al particolare, alla dimensione del privato.

La terza sezione dell’opera traccia un percorso di viaggio nel fantastico.

Si apre con Le avventure di tre orologiai e di tre automi, la storia dei Jaquet-Droz, famiglia di grandi artisti e scienziati dell’orologeria settecentesca. Ammaliante è il racconto delle meraviglie meccaniche ideate e realizzate in particolare da Pierre Jaquet-Droz: non solo fine artigiano ma anche vero e proprio inventore, concepisce e costruisce (insieme al figlio e a J.F. Leschot) quelli che possono essere considerati tra i primi automi della storia: “lo scrivano”, “il disegnatore” e “la musicista”. La vita rocambolesca dei tre androidi influenza quella dei suoi artefici che li rendono famosi in tournée, mostrandoli in giro per l’Europa.  Nel corso del XVIII secolo cresce e si espande l’azienda, viene aperta una sede a Londra, e iniziano le esportazioni in Oriente delle opere, carillons, uccelli canori, orologi preziosissimi, tutt’oggi tra gli esempi più alti di questa raffinatissima arte (per un approfondimento si rimanda anche al sito Jaquet-Droz).

I capitoli successivi raccolgono una miriade di spunti immaginifici. La geografia delle fate e L’arcipelago dei luoghi immaginari, non solo portano il lettore in un mondo di sogno e in un altrove magico ma, come già in tutto il libro, offrono suggerimenti di lettura e (s)punti da cui partire per acquisire nuove conoscenze.

Nel primo di questi passi è citato uno dei romanzi forse meno conosciuti di Jules Verne, Le Indie Nere, ambientato in Scozia, nella contea di Stirling, dove le vicende di una famiglia di minatori si combinano con la scoperta di una dimensione fantastica.

L’arcipelago dei luoghi immaginari invece è una sorta di enciclopedia in cui sono elencati e illustrati i luoghi irreali e fantasiosi di tante narrazioni e libri: The Dictionary of Imaginary Places di Alberto Manguel e Gianni Guadalupi.

Un altro atlante immaginario è quello che si scopre nell’articolo successivo, I francobolli degli stati d’animo. The World of Donald Evans, commentato da Willy Eisenhart, è un libro in cui sono raccolte 85 tavole di francobolli realizzati da Evans, tutti inventati e frutto dell’immaginazione di quello che potremmo definire più che un appassionato, un artista.

Non si tratta solo di un esempio di filatelia ma di un tipo di collezionismo che dà vita a un altrove fatto di piccole cose uniche, ad un personale mondo di legami con paesi vissuti e sognati, ad una geografia di stati d’animo e nostalgie.

L’ultima sezione della raccolta calviniana, come già detto in apertura, porta il lettore in paesi lontani.

La prima parte è dedicata al Giappone e qui il fil rouge del discorso sulla visione si ripresenta in termini di esperienza e comportamento dello sguardo. Proustianamente si può dire che il vero viaggio verso la scoperta è quello che ti consente di avere nuovi occhi. Calvino infatti spiega che muoversi in un nuovo Paese comporta il conferire un valore proprio a quello che si vede: «quando tutto avrà trovato un ordine e un posto nella mia mente, comincerò a non trovare più nulla degno di nota, a “non vedere” più quello che vedo. Perché vedere vuol dire percepire delle differenze, e appena le differenze si uniformano nel prevedibile quotidiano lo sguardo scorre su una superficie liscia e senza appigli.

Viaggiare non serve molto a capire  […] ma serve a riattivare un momento l’uso degli occhi, la lettura visiva del mondo».

Il racconto sul Sol levante prosegue con delle preziose riflessioni sui colori della natura e sull’importanza e la bellezza dei giardini giapponesi. Qui tutto è frutto di un ordine e di un percorso di senso, come il Tempio di Legno è un simbolo del Tempo: la struttura in legno può condurre nella dimensione della continuità e dell’infinito proprio per mezzo del suo contrario, «il tempo frammentato di ciò che si avvicenda, si dissemina, germoglia, si dissecca […]».

(Cicerone scriveva che un uomo possiede tutto ciò che conta quando ha a disposizione una biblioteca ed un giardino).

L’ultima immagine della Collezione è quella fiabesca ed esotica che viene agli occhi del lettore dall’Iran: i tappeti intessuti dai nomadi, «oggetti variegati e leggeri che si stendono sul nudo suolo dovunque ci si ferma a passare la notte e si arrotolano al mattino per portarli via con sé insieme a tutti i propri averi sulla gobba dei cammelli».

Portare via con sé quello che conta e ripartire.

Calvino stesso scrive che di una città non si apprezzano tanto le sue meraviglie ma le risposte che quella città offre. Questo libro si pone su un versante diametralmente diverso: da questa collezione si portano via miriadi di meraviglie e domande. Chiusa la stanza delle meraviglie c’è il mondo.  

BIBLIOGRAFIA

I. CALVINO, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 2019.
I. CALVINO, Collezione di sabbia, Mondadori, Milano, 2017.
P. CIAMPI, Il sogno delle mappe, Ediciclo Editore, Portogruaro (Venezia), 2018.
R. DEIDIER, Le forme del tempo. Miti, fiabe, immagini in Italo Calvino, Sellerio Editore, Palermo, 2004.

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