Il Covid e l’Edipo, una chiave di lettura del periodo di pandemia


Di Eros Lancianese

L’ epidemia di Covid 19 si è presentata un anno fa come un fenomeno collettivo che ha costretto la nostra società a dure misure cautelative per arginare la diffusione del virus. La sua comparsa ha generato risposte sociali di vario tipo, che andavano dalla negazione dell’evento ad altre reazioni collettive come i flashmob motivazionali; queste reazioni, se da una parte avevano un innegabile valore consolatorio, ai più smaliziati potevano apparire come un ingenuo tentativo di negare un lutto o una privazione alla quale stavamo andando incontro. Quale? La rinuncia, seppur momentanea, al nostro stile di vita.

Sì, perché mentre il mondo stava continuando ad intessere la sua relazione con il proprio stile di vita e la sua possibilità di progettarlo, il virus arrivava dalla Cina ed interrompeva questo legame presentandosi, seconda la letteratura classica della Psicoanalisi, come un’enorme Funzione Paterna che veniva a perturbare questa situazione dal  chiaro sapore edipico.

Un piccolo passo indietro.

Il complesso di Edipo come Esperienza Archetipica

Nella letteratura classica la teoria del complesso di Edipo è di importanza capitale (S. Freud, Il tramonto del complesso edipico) poiché stabilisce forma, ruoli e organizzazione della diade genitoriale in presenza del neonato, ovvero della famiglia. La struttura psichica delle origini si organizza attorno alle esperienze quotidiane nelle quali l’infante si trova e che coinvolgono il padre e la madre; la mente ne è immersa e inizia a lavorare cercando di poter trovare un senso fra gli inafferrabili accadimenti esterni e le sensazioni corporee alle quali non riesce a dare un significato specifico, mentre i genitori, interagendo, cercano di interpretare ed accogliere i bisogni del bambino.

Possiamo dire che la psiche nasce assolutamente nella relazione e attraverso di essa prospera e si evolve. Così crescendo, il nuovo arrivato farà esperienza delle due funzioni fondamentali dell’esperienza psichica che sono la Funzione Materna, una dimensione di accoglimento, raccoglimento e comprensione dove il bambino può sentirsi apprezzato ed amato per quello che è, colmando l’esperienza della mancanza e della solitudine, e la Funzione Paterna, istanza che valuta, divide e separa e che fa capo a tutte le dimensioni dove l’iniziativa e la spinta alla realizzazione motivano l’individuo.

Se il Materno è il sentire e la piacevolezza nello stare, il Paterno è l’obiettivo e la progettualità.

All’interno della compagine familiare possiamo accogliere ed essere accolti nella dimensione del materno, istanza paradisiaca dove i confini madre/bimbo perdono la loro consistenza, per venire in seguito definiti e separati dalla funzione paterna che spezza l’idillio e struttura dei parametri, o se vogliamo, dei limiti che arginano l’onnipotenza dell’infante che vorrebbe la madre tutta per sé

mantenendo inalterato questo ‘indistinto’ dove il tempo si dilata e lo spazio e la distanza non esistono. Il bimbo ovviamente non gradisce tale separazione e la lotta edipica si consuma in una contesa per riappropriarsi di quanto precedentemente tolto. La lotta al paterno, inteso come funzione, significa allora contestare questo terzo, che si presenta come un’autorità fuori dal nostro controllo mostrandosi come un degno avversario che impartisce direzioni e, ad intervalli regolari, ci permette di ricongiungerci con il materno.

Non è un caso che tutte le divinità che presiedono il controllo del tempo abbiano fattezze maschili: Aiòn con il passare delle ere, Chrono che sta a capo del tempo quantitativo (il mero, incessante, freddo, scorrere dei secondi), Kairòs, il dio dell’attimo, dell’occasione, del momento giusto ovvero il tempo qualitativo o Hermes, il dio che presiede alle trasformazioni (e quindi immerso nel tempo della gestazione dell’evoluzione). In questo caso possiamo dire che sottoposto alla funzione maschile nell’infante nasce il tempo, la possibilità di scandirlo e quindi di controllarlo cercando di prevederlo e pianificarlo. L’atemporalità del materno viene spezzata dal paterno che dona, attraverso il ritmo e intervallo, respiro alla vita, permettendo quindi di pensare sia la presenza quanto l’assenza e quindi organizzare dentro di sé la dimensione della mancanza.

Una buona relazione quindi fra queste due funzioni permette quindi di regolare il rapporto fra godimento e frustrazione, attività e stasi, dentro e fuori il rapporto; la vita acquista non solo tridimensionalità ma anche possibilità scegliere, abbracciare il piacere oppure trattenerlo e posticiparlo.

La Psicologia junghiana sottolinea non tanto l’idea che tali funzioni siano incastonate rigidamente nei ruoli genitoriali, visto che sono esercitati grossomodo da entrambi, bensì il fatto che, essendo esperienze Archetipiche, tutti noi possiamo farne esperienza o ricercarle qualora esse risultino carenti o assenti. Questo significa che la mente è recettiva e capace di percepire queste esperienze come significative, fondanti e necessarie per la propria formazione; la psiche riesce a introiettarle e darne un significato dentro sé in modo tale poi da riconoscerle, quando si ripresenteranno nella vita di tutti i giorni con fattezze e spoglie differenti.

In questo modo la sofferenza e la rabbia di un preadolescente al quale viene requisito lo smartphone per un pomeriggio dai suoi genitori a fini educativi può essere simile alla sofferenza e la rabbia di un neolaureato che non riesce a trovare subito lavoro nonostante la sua brillante carriere universitaria: entrambi lamenteranno che i genitori, nel primo caso, e il mondo del lavoro, nel secondo, sono sordi ed insensibili ai loro bisogni, che siano rimanere a contatto con i propri amici oppure avere subito un’occupazione.

Il Paterno, o istanza Super Egoicacome verrà intesa da Sigmund Freud, è in parte sordo ai bisogni dell’individuo, ma se adeguatamente introiettato permetterà ai due giovani di cui sopra di gestire l’enorme carico di frustrazione che ne potrebbe conseguire imparando la virtù della pazienza e del contenimento.

Il Covid 19 come manifestazione della Funzione Paterna

Data questa premessa possiamo provare a leggere gli eventi della Pandemia azzardando una lettura analitica rispetto a quello che è accaduto collettivamente. La diade madre/bambino, ovvero la dimensione del Materno, sarebbe, da questo punto di vista, la relazione che ognuno di noi aveva con la propria routine quotidiana, robusta o labile che fosse; ciascuno di noi portava avanti i propri interessi, le proprie passioni e i propri obblighi. Pensare che qualcosa turbasse questa relazione al punto tale da sospenderla a livello globale era pressoché una fantasia di qualche scrittore o il delirio catastrofista di qualcuno dotato di una fervida immaginazione.

La pandemia arriva e si presenta come una forza inarrestabile con la quale non è possibile negoziare, costringendo pian piano i vari governi a prendere misure di contenimento tali da promuovere, a livello planetario, un periodo di distanziamento sociale per non generare un’emergenza sanitaria che potrebbe portare le strutture sanitarie al collasso. Ecco la dimensione del Paterno, la dura circostanza da accettare ed entro la quale ragionare e decidere il proprio piano d’azione.

Ovviamente questa decisione che ci ha interessato tutti è stata accolta con alterne reazioni: c’è chi ha accettato le disposizioni della quarantena, comprendendo che l’azione era necessaria e dovuta, chi non ha gradito questa decisione e ha iniziato a lamentarsi e chi ha cercato di reagire in maniera maniacale (per ‘maniacalità’ si intende un’interferenza con il normale stato dell’umore dell’individuo colpito dalla dimensione della perdita, che lo induce a non metabolizzare l’evento ma ad esaurirlo frettolosamente per non percepire il dolore che altrimenti ne comporterebbe), cercando di negare il periodo di distacco e affollando già dalla prima settimana i balconi con i famosi flashmob, ai quali si può riconoscere un’innegabile qualità galvanizzante, ma allo stesso tempo rimproverare le precoci tempistiche e il fatto di essere stato un fenomeno piuttosto discontinuo.

È proprio questa discontinuità che forse può aver reso maggiormente ostico il periodo di chiusura di questo scorso marzo. Se come abbiamo detto, la Funzione Paterna è una dimensione che fa della sua inamovibilità una delle sue qualità precipue, è pur vero che il suo grado di tollerabilità è dato dalla sua capacità di essere rappresentata in un arco temporale stabilito, nel quale la sua azione si attiva per poi esaurirsi. Nella clinica possiamo notare che più che l’evento increscioso in sé, è l’indefinitezza del suo termine che rende il paziente particolarmente angosciato. Pensare il termine del malessere aiuta chiunque ad affrontare il dolore che lo accompagna; un futuro incerto, dove non ci si può collocare né immaginare, genera angoscia e terrore perché lascia soli nella sofferenza e nell’incapacità di soddisfare i propri bisogni, quali essi siano. Non è un caso che tutte le manifestazioni ansiose o fobiche sono legate alla dimensione temporale del futuro, poiché esso viene percepito come l’ignoto per eccellenza, le cui risoluzioni non si possono assolutamente intendere o percepire.

Umberto Galimberti, nel suo I miti del nostro tempo,  ritiene che il mondo ellenico generò il pensiero determinista, che si basa sulla relazione sequenziale causa/effetto e quindi passato/futuro, proprio per poter gestire e afferrare l’avvenire, scongiurando la percezione dell’uomo come impotente dinnanzi all’incertezza. In questo modo la visione causale del mondo avrebbe l’illusione di spiegare tutti gli avvenimenti secondo una sequenzialità che parte dal passato per giustificare gli eventi futuri. Sarà per questo motivo che l’uomo occidentale riesce così a rappresentarsi il tempo, in modo da poterlo gestire e piegare alla sua volontà, dimenticando quando potrebbe essere labile la sua pianificazione dinnanzi alle sorprese che la realtà può presentarci.

Alcuni ricercatori (E. Grey Ellis, What Coronavirus Isolation Could Do to Your Mind (and Body), Wired, 25.3.2002) hanno studiato le reazioni di un gruppo di scienziati occupati in missioni in solitaria in zone remote del globo o dello spazio, cercando di capire come la mente potesse reagire a lunghi periodi di isolamento. Le ricerche hanno rilevato come il morale degli intervistati fosse alto e in buono stato fino a metà del tempo stabilito dalla missione, dopodiché, complice la stanchezza o l’abitudine imposta dalla solitudine, andavano incontro ad un fisiologico periodo di sconforto che si risolveva poi con l’appropinquarsi del termine dell’esperienza. Anche la Psicologia delle Emergenze (M. Cuzzolaro M., L. Frighi L., Reazioni Umane alle Catastrofi ), che studia le reazioni psichiche a eventi catastrofici e le possibilità di aree di intervento, ritengono che la ripresa è facilitata in casi di disastri circoscritti nel tempo come un maremoto o uno tsunami, lasciando intendere che fossero i terremoti gli avvenimenti che generavano maggior paura data la loro imprevedibilità futura.

Il Covid purtroppo si è comportato alla stessa maniera. Le misure di intervento dovevano far fronte ad un quadro epidemiologico in continuo divenire; il virus mutava, generava focolai anche imprevisti costringendo a continui procrastinamenti delle date di riapertura, che facevano aumentare  malumori e insofferenza, sintomi di disagio e frustrazione che si aggiungevano a quella già accumulata durante il periodo di isolamento. Gli stati d’angoscia o ansia, riportati dalle prime indagini della stampa specializzata, testimoniavano un’insofferenza data da questa indecisione del futuro o, se si preferisce, l’impossibilità di pianificarlo o pensarlo ancora nostro. Per intenderci, è come se nostro padre o nostra madre, attivando la funzione paterna, ci dicesse che possiamo rilassarci o dedicarci alle nostre passioni, solo qualora abbiamo ottemperato ai nostri doveri, che vengono specificati chiaramente, salvo poi non esaurirsi al termine dell’impegno, ma rinnovandosi automaticamente con altri obblighi. Così facendo si sposta sempre un po’ in avanti il tempo nel quale potremmo goderci il riposo una volta esaurito il nostro compito. In questo caso, il paterno messo in atto smette di essere tale, poiché i contorni e i confini di quanto stabilito non sono chiari, ma mutevoli e quindi non pattuibili dall’inizio, ovvero al momento in cui ci si è accordati. Si pensi all’eventualità che il sole sorgesse sempre e immotivatamente un’ora dopo tradendo il suo ritmo e la sua regolare circolarità.

C’è da dire che sopportare questo continuo procrastinamento significava accettare una Autorità Paterna che sta facendo di testa sua; tuttavia in questo caso Lo Stato può assumere il ruolo di figlio, costretto a continui adeguamenti causati da forze maggiori quali la Pandemia che, invece, gioca il ruolo del Padre che non sa collocarsi all’interno di un piano prestabilito, data la sua natura imprevedibile e cangiante.

È per questo motivo che è importante ancora oggi parlare della relazione Triadica che scaturisce dal Complesso di Edipo: l’energia brulicante di entusiasmo e speranza non può scorrere idealmente nel solo rapporto diadico, che si esaurisce in un io e un tu, bensì deve scorrere attraverso una forma geometrica nota per essere reale e generare un noi, arricchendosi di particolari e visitando numerose esperienze che possono permetterci di star bene e sentirci accolti, o agire poiché sentiamo di essere ostacolati. È quest’alternanza di ritmo che va dallo stare all’agire e viceversa che rende reale l’umana esperienza, così poi da godere e sopportare, e sopportare per poi tornare a godere.

Introiettare questa relazione triadica rimane un passaggio importantissimo per lo sviluppo dell’infante, poiché se i genitori offrono innanzitutto un’immagine del mondo, avere dentro di noi questa struttura significherà riuscire a muoversi nel mondo reale nelle giuste coordinate simboliche e permettere di tollerare una condizione di malessere temporaneo dal quale sollevarci poi collettivamente.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

M. CUZZOLARO, L. FRIGHI, Reazioni Umane alle Catastrofi, Gangemi, Roma 1991.
S.FREUD, Il tramonto del complesso edipico, in OSF, vol. X, Bollati Boringhieri, 1978.
U. GALIMBERTI, I miti del nostro tempo, Feltrinelli, Milano 2009.
E. GREY ELLIS, What Coronavirus Isolation Could Do to Your Mind https://www.wired.com/story/coronavirus-covid-19-isolation-psychology.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.