La libreria indipendente Le Storie prosegue la sua rubrica letteraria con fiorivivi.com dedicando Novembre a Eric Ambler.

(a cura di) Gilda Diotallevi
Il genere spy story
Gli affari internazionali possono condurre le loro operazioni con pezzi di carta,
ma l’inchiostro usato è il sangue umano.
E. Ambler
Quello delle spy stories è un genere narrativo incentrato sullo spionaggio internazionale ma che si potrebbe definire impuro, in quanto prevede ingerenze di generi e stili differenti, come ad esempio il giallo, il thriller, il noir, il poliziesco, l’hard-boiled, il politico, fino alla fantascienza e alla fantapolitica. Difficile perciò definire l’inizio di tale genere, perché, nonostante molti critici pensano che il primo libro da citare sia The spy (in it. La spia) di James Ferimor Cooper del 1821,
[Storia di una scaltrissima spia, Harvey Birch, che compì imprese straordinarie nella Contea di Westchester durante la Guerra d’indipendenza americana, mettendo in luce i problemi della guerra e i caratteri del patriottismo.]
i veri antesignani del genere sono Kipling, con Kim del 1901
[Opera particolarissima che congiunge alla dimensione esotica e religiosa il tema dello spionaggio. La storia, ambientata in India alla fine dell’Ottocento, segue le gesta del giovane Kimball O’Hara, fino a parlare del “Grande gioco”, la partita a scacchi diplomatica tra Russia e Gran Bretagna sui territori dell’Asia.]
e la baronessa Emma Orczy, con The Scarlet Pimpernel (in it. La Primula rossa) del 1905.
[La Primula rossa è il titolo del primo romanzo di un ciclo letterario ambientato nella Francia della Rivoluzione francese. Il protagonista, antesignano delle più famose spie, è un valoroso reazionario che difende i nemici della Repubblica nascondendosi dietro una identità nobile e, apparentemente, poco incline all’azione.]
La nascita del filone spionistico è perciò rintracciabile verso la fine dell’Ottocento, periodo in cui molti autori, come Le Queux e Oppenheim, erano «di enorme successo e di modestissimo valore». Inquadrare la situazione politico-economica dell’epoca, avendo a disposizioni poche informazioni e tutte difficilmente reperibili, impediva che le trame possedessero un valore, se non letterario quantomeno storico. Per tale ragione la prima svolta ci fu quando alcuni ex ufficiali dei servizi segreti cominciarono a scrivere storie. Pensiamo a Somerset Maugham, ad esempio, che nel suo Ashenden del 1928, descrivere realisticamente lo spionaggio durante la prima guerra mondiale.
[Ashenden, il protagonista del libro, può essere intrepretato come l’alter ego dell’autore. Entrambi scrittori, entrambi inviati in Svizzera, luogo in cui svolge la vicenda descritta. A colpire è senza dubbio la dimensione realistica che Maugham riesce a creare, scivolando costantemente tra una spy story e un racconto dalle tinte comiche.]
A fronte di opere di poco pregio, troviamo comunque alcune brillanti eccezioni come il libro di Conrad, anch’egli un vero precursore del genere, il cui L’agente segreto del 1907, rimarrà una pietra miliare dell’intero genere di spionaggio.
[Il romanzo, ambientato a Londra, trae ispirazione da un fatto realmente accaduto: un’esplosione in Greenwich Park probabilmente dovuta ad un attentato di matrice anarchica. Adolf Verloc, marito e proprietario di un negozio a Londra, è in realtà una spia al servizio di una potenza straniera, con l’incarico di sorvegliare i numerosi anarchici presenti a Londra nel primo Novecento. Il romanzo fu adattato dallo stesso Conrad per il teatro e ispirò il film Sabotaggio di Alfred Hitchcock (1936).]
Sarà solo a partire dagli anni ‘30 e ‘40 del Novecento che la spy story si consoliderà anche grazie ad autori di talento come appunto Mauhgam, Greeme e non da ultimo Ambler.
«Il ‘genere’ libro di spionaggio, per la verità, merita una considerazione ben maggiore (proprio sul piano del valore artistico) di quanto non gli venga accordata. All’interno del genere c’è naturalmente un’ampia quantità di libretti e libroni di semplice intrattenimento (questo però è anche vero di una quantità altrettanto ampia di romanzi che vanno per la maggiore); ma ci sono autori e singoli testi di indiscutibile valore». (P. Bertinetti, Agenti segreti. I maestri della spy story inglese.)
Eric Ambler. Storie di spionaggio
Eric Clifford Ambler (1909-1998), scrittore, giornalista e sceneggiatore inglese, è stato autore di alcune delle più famose spy stories. Maestro del moderno romanzo di spionaggio, riesce a ridare dignità al genere, dislocandolo dalla classificazione di romanzo di serie B. E lo fa con humor, capacità inventiva e raffinatezza stilistica.
Il tentativo di Ambler di rendere il genere spionistico degno della migliore letteratura è senza dubbio riuscito. Lascia infatti in eredità trame realistiche basate su attente ricostruzione, soprattutto per ciò che concerne la situazione politica, storie piene di umanità in cui i personaggi vengono tratteggiati attraverso i loro caratteri psicologici.
Il suo primo romanzo The Dark Frontier, del 1936, segna da subito la sua cifra distintiva, ovvero una trama che attinga direttamente dalla realtà. Mentre altri autori di questo genere si cimentano con una massiccia dose di invenzione, pensiamo a Fleming ma anche a tutto il fantaspionaggio, le ambientazioni e i soggetti di Ambler prendono spunto dalla situazione sociale dell’epoca. Non meraviglia perciò che l’atmosfera de La frontiera proibita (così nella traduzione italiana) sia quella di una inqueta attesa. La guerra mondiale era alle porte e pesante era l’aria per i popoli coinvolti, soprattutto nell’Europa continentale.

Tale riflessione sulla attualità come punto fermo delle sue trame, permette di seguire l’evoluzione della società e i suoi numerosi capovolgimenti in quel periodo. In controluce alle storie thriller, drammatiche, ironiche, mystery e avventurose che si intrecciano nei suoi libri, è possibile scorgere qualcosa di più profondo. Una cronaca sui rapporti di forza tra le nazioni, sui risvolti effettivi di alcune decisioni politiche e, non meno evidenti, le reali propensioni politiche dell’autore. Le sue convinzioni antifasciste affiorano a più livelli nei suoi romanzi, da alcune affermazioni dei protagonisti che tradiscono una certa fascinazione per posizioni comuniste, nel senso più pragmatico del termine, fino alla descrizione di agenti sovietici dai caratteri positivi. Mentre la sua disillusione successiva circa il patto tedesco-sovietico del 1939 lo spingerà a scrivere nel 1951 un romanzo, Judgment on Deltchev (in it. Uno strano processo) poco apprezzato proprio dal pubblico ex-comunista.
La sua stessa esperienza di vita (raccontata nella sua autobiografia Here lies del 1985, edita solo in lingua inglese da Weidenfeld and Nicholson) sarà fonte di ispirazione per i suoi scritti, come quando ad esempio in Epitaffio per una spia farà partire l’intreccio proprio dal ritrovamento di alcune fotografie. Sappiamo infatti che durante la II guerra mondiale fu assegnato alla Royal Arillery alle unità fotografiche. O quando proverà a scrivere sceneggiature per il cinema, passione che aveva coltivato durante il suo periodo militare, finendo come assistente alla regia dell’unità cinematografica dell’esercito. Non avrà molta fortuna, ma, per uno scherzo del destino, alcuni suoi libri ebbero una trasposizione cinematografica, a volte riuscita come in Topkapi, altre meno come in Terrore sul mar nero.

Quando poi, più avanti nella vita, comincerà a viaggiare, tali esperienze si rispecchieranno sugli ultimi romanzi che ambienterà nel Medio Oriente o in Asia orientale. Pensiamo al famosissimo The light of the day del 1962 (Pubblicato poi in America con il titolo Topkapi, il cui titolo viene mantenuto anche nel film che se ne è tratto), o Doctor Frigo del 1974 ambientato in un’isola caraibica.

Ma ciò che davvero farà la differenza rispetto a molti autori del genere spionistico è l’attenzione di Ambler nei riguardi dello stile, sempre elegante e della capacità descrittiva. Elementi chiaramente percepibili soprattutto in opere come The Mask of Dimtrios (in it. La maschera di Dimitrios), in cui oltre alla disanima sociale a cui l’autore ci ha abituati, «Lo stesso personaggio di Dimitrios, più che come uomo, assurge a simbolo di una società assurda, in cui la bellezza e il buon uso della ragione sono state soppiantate dal culto del denaro e dall’abuso di potere». (N. Priotti, p. 67), rifulge uno stile particolare, una prosa potente, arricchita dal continuo intessersi di flashback ed episodi secondari.
Le spie inquiete di Ambler
Ranieri Carano
Il qualcosa di più che assicura ad Ambler un posto sicuro nel cuore dei critici togati e – quel che più conta – in quello dei lettori non faziosi si deve probabilmente cercare soprattutto nel suo straordinario lavoro di aggiornamento politico-sociale mai trascurato, o rallentato, nel corso di quaranta densissimi anni di attività creativa. Ambler è infatti un narratore vero con lo spirito di un giornalista autentico. Un corrispondente estero, chiaramente, considerato che l’Inghilterra ha sempre avuto pochissimo rilievo nelle sue trame. I suoi interessi, e di conseguenza i suoi romanzi, hanno sempre avuto sfondi perfettamente coerenti con il progresso dei tempi: dai Balcani, zona caldissima dell’anteguerra, al Medio Oriente degli anni cinquanta e sessanta, all’America Latina e alle repubbliche delle banane del successo più recente, Doctor Frigo. I romanzi inclusi in questa raccolta sono abbastanza emblematici: appartengono tutti al «periodo di mezzo» del nostro autore, quello che va dall’immediato dopoguerra all’inizio degli anni sessanta. È un periodo politicamente ambiguo, apparentemente caratterizzato da un quieto assestamento dopo lo sconquasso della guerra, ma in realtà ferocemente turbato da un clima di restaurazione selvaggia e di chiusura assoluta: stalinismo, maccartismo, e via via per li rami fino al degasperismo ottuso di casa nostra. Ma, si può dire, l’ottusità repressiva è carattere saliente di tutta l’Europa post-bellica, non solo delle superpotenze in fase di reciproca diffidenza. Ed ecco che Ambler, come al solito attento osservatore di tutte le realtà politiche e nazionali, in Uno strano processo ci dà un ritratto plausibilissimo di un paese dell’Est europeo nella fase di transizione tra il disordinato fervore politico seguito all’occupazione nazista e la presa di potere comunista. Il processo è un puro pretesto, anche se ricco di spunti inquietanti volti a dimostrare come la verità da accertare sia in definitiva composta da molte verità contrastanti; quello che conta è proprio il clima di mistero e terrore che avvolge una società in fase di rapido cambiamento. Un giallo «processuale», quindi, ancorato però a una precisa situazione politica.
Ne L’eredità Schirmerl’appiglio pare del tutto diverso: si tratta di rintracciare l’erede di una fortuna che ha origini lontanissime nel tempo e nello spazio. Eppure, a un certo punto della storia, ci ritroviamo in un paese e in una situazione non molto lontani e diversi da quella di Uno strano processo. La vicenda ci porta in Grecia in un momento vicino alla fine della guerra civile, quando gli ultimi seguaci di Markos hanno scarse possibilità di sopravvivere: o il banditismo vero e proprio, o la resa senza alcuna garanzia di sopravvivenza. E la storia tragica del paese si sovrappone di forza all’appassionante quiz successorio e notarile; alla fine lo travolge.
Epitaffio per una spia, malgrado il titolo, è soprattutto un classico giallo a eliminazione. D’accordo, una spia c’è, ma la sua attività ha ben poca importanza nell’economia della vicenda. Importa invece sapere chi è la spia, scoprirla tra un nugolo di sospetti, secondo i canoni più tradizionali del giallo «all’inglese». E, forse, ancora di più importa capire perché in un paese formalmente democratico come la Francia della IV Repubblica si possa formare una pesante atmosfera da stato poliziesco. Così su di una intelaiatura ammirevole da giallo d’enigma compaiono gli spettri incombenti dell’Indocina e dell’Algeria, gli amari rigurgiti di un impero in dissoluzione. Adesso siamo davvero alla fine. Le scarse notazioni esposte potrebbero bastare a chiarire la giusta consacrazione di Ambler anche da parte di una critica non molto illuminata. Il pregiudizio verso un sottogenere che, a essere onesti, viene sommamente agevolato dalla modestia estrema dei suoi facitori, non può reggere nei confronti di un autore che, da ogni punto di vista, fa senz’altro da anello di congiunzione non più mancante.
(R. Carano, Prefazione a Le spie inquiete di Ambler, Garzanti, 1976)
I protagonisti
La professione più antica del mondo sappiamo tutti quale è.
Probabilmente quella della spia viene subito dopo.
P. Bertinetti
Paolo Bertinetti,tra i più grandi anglisti in Italia, nel suo Agenti segreti. I maestri della spy story inglese, si interroga sul perché sia stato nel tempo così difficile trovare come protagonista di una storia una spia, soprattutto perché tali figure esistono da sempre, come testimonia lo stesso Antico Testamento quando Mosè invita alcuni dei suoi a cercare informazioni a Canaan (p. 9). Secondo l’autore la risposta sarebbe da ritracciare in un problema di carattere morale, «come si poteva immaginare protagonista positivo di una qualche narrazione una spia, cioè “un uomo che si nasconde, che finge, che mente” (p. 11)?». I cattivi (i nemici giurati della corona inglese, tedeschi nella seconda guerra mondiale, sovietici nella guerra fredda) e i buoni avrebbero condiviso troppi elementi, compresa una certa ambiguità di fondo.
I primi protagonisti del genere (pensiamo ai libri di William Le Queux, ma anche a Erskine Childers, John Buchan e Valentine Williams) non erano agenti segreti di professione. Venivano descritti come dei distinti signori, dei gentlman, molto vicini ai personaggi della belle époque. Uomini eleganti e pieni di fascino, i cui tratti distintivi andranno a confluire nel più famoso degli agenti: James Bond.
Il primo cambiamento è da attribuire a Conrad che delinea, nel suo L’agente segreto, il mestiere della spia e crea il suo personaggio principale come spia di professione.
Altra importante rottura con i clichè del genere è opera invece del nostro Ambler che, nei suoi romanzi, descrive non uomini eccezionali, avventurieri coraggiosi, ma per lo più normali inglesi di buon livello culturale catapultati in situazioni di intrighi e capaci di finire, loro malgrado, in pericolo.
Posizione chiaramente riportata nell’incipit de La maschera di Dimitrios

[…] il ‘caso’ si identifica con la provvidenza. È stato uno dei soliti aforismi cui si rincorre per confutare la spiacevole verità che il caso ha una parte importannte, se non predominante, nelle questioni umane, anche se talvolta esso opera con una specie di goffa coerenza, facilmente confondibile con i disegni premeditati della provvidenza.
I protagonisti di Ambler portano a compimento le loro missioni, ma lo fanno con enorme difficoltà, tra mille imprevisti e complicazioni (La frontiera proibita, Epitaffio per una spia, la maschera di Dimitrios) rischiando spesso la disfatta e senza fregiarsi di qualche particolare merito. L’affinità con il mondo di Graham Green passa anche da questo, dal saper mostrare, in opere come Missione confidenziale, Il terzo uomo, Il fattore umano, la solitudine e la disperazione di uomini molto lontani da quella ostentata sicurezza alla James Bond. Differentemente da Flaming inoltre i protagonisti di Ambler non possiedono neanche armi infallibili, non sono capaci di salvare il mondo da cospirazioni e di sicuro sono meno romantici ma anche meno xenofobi. Caratteristica che invece si può attribuire ai suoi cattivi, spesso identificati come nazisti e violenti, dotati di una forte brama di potere e di una indiscutibile capacità di commettere soprusi.
Michael Denning, nel suo Cover Stories: Narrative and Ideology in the British Spy Triller dell’1987 in cui analizza la letteratura di spionaggio, definisce l’eroe di Ambler con il termine di innocent abroad
«[…] an educated, middle-class man (a journalist, teacher, engineer) travelling for business or pleasure on the Continent who accidentally gets caught up in a low and sinister game (no longer the Grat Game) of spies, informer, and thugs. He is innocent both in the sense of not being guilty, and in the sense of being naïv. He is an amateur spy, but not the sort of entthusiastic and willing amateur that Hannay is; rather he is an incompetent and inexperienced amateur in a world of professionals.» (M. Denning, p. 67)
(n.d.r. Richard Hannay è l’eroe di alcuni libri di John Buchan come in The Thirty-nine Steps)
Da Epitaffio per una spia

Ma non si poteva presumere che una spia avesse l’aspetto di una spia; certo il loro mestiere non lo portavano scritto in faccia. In tutta l’Europa, in tutto il mondo, c’erano uomini che spiavano, mentre negli uffici governativi altri uomini catalogavano i risultati delle loro fatiche: spessore delle piastre corazzate, angolo di elevazione dei cannoni, velocità di tiro, dettagli dei meccanismi di sparo e dei telemetri, efficienza dei detonatori, particolari delle fortificazioni, ubicazione dei depositi di munizioni e delle fabbriche principali, punti di rifermento per i bombardieri. Per le spie era un buon affare. Poteva essere proficuo organizzare un’agenzia di spionaggio, una sorta di centro di smistamento di tutte queste informazioni vitali. (p. 64)
Io, insegnate di lingue con un temperamento ansioso e l’orrore della violenza, avevo escogitato in breve tempo un abile piano per la cattura di una pericolosa spia. (p. 66)
Però, sarebbe andata proprio così, per me? Ero incline a pensare di no. Sarò sfortunato, ma trovo che le mie iniziative non procedono mai secondo le linee classiche. (p. 79)
Esiste però, nel ventaglio di protagonisti di Ambler, un minimo comun denominatore, una certa dose di eroismo, dovuta al non voler cedere alle forze del potere, del male e dell’ingiustizia. Tutti i personaggi vogliono portare a termine, in un modo o nell’altro, il loro compito, o meglio ciò che il destino, spesso beffardo, costringe loro a fare.
Così anche per il protagonista de The Schirmer inheritance (in it. Il caso Schirmer) che sente di essere mosso da un senso di dovere

Caro avvocato Carey, […] e ora mi permetta di esprimere la mia gratitudine a lei, e all’ufficio che la inviò. […] con quale tenacia e decisione lei abbia continuato nelle ricerche di un uomo […] è una bella cosa essere capaci di andare avanti dove altri con minore animo sarebbero stati pronti a ritornarsene a casa. (p. 220)
Graham Greene: un confronto
Ambler e Greene condividono certamente l’attitudine allo studio e alla disanima della situazione politica dell’epoca, dando risalto all’indagine psicologica e sociale degli uomini e delle forze che li governano.
Proprio lungo la linea tracciata da Maugham, troviamo uno dei maggiori romanzieri inglesi del Novecento. Molte delle sue storie furono di spionaggio, anche perché agente segreto durante la guerra lo fu veramente (e informatore anche successivamente), altre trattarono il tema, anche se trasversalmente, dando vita a polizieschi di forte impatto emotivo. Il suo lavoro di spia gli permise non tanto di avere a disposizione notizie, quanto di fornirgli una conoscenza delle atmosfere, delle situazioni che seppe declinare in forma drammatica. Pensiamo a Il nostro agente all’Avana, al Il fattore umano, ma soprattutto a Il terzo uomo. A risaltare sono le analisi sulle politiche del mondo e i personaggi sempre in bilico, alle prese con questioni di carattere morale. Ne Il terzo uomo sono davvero notevoli le descrizioni di una Vienna nell’immediato dopoguerra, terreno di intrighi internazionali, spie, malavita e corruzione.

Il poliziotto dilettante ha questo vantaggio su un poliziotto di professione, che non lavora a orario. […] può essere più imprudente, può raccontare delle verità non necessarie e avanzare le teorie più azzardate. (Il terzo uomo, cap.VI).
«Un classico di questo difficile genere letterario in cui spionaggio, intrigo politico e avventura si compenetrano: un romanzo che un altrettanto famoso film ha fatto conoscere in tutto il mondo».
Il film, la cui sceneggiatura nasce prima della stesura del libro, è un capolavoro e offre duna interpretazione memorabile di Orson Wells, la cui frase più famosa riportiamo qui
Nuove prospettive nella letteratura di spionaggio: il contributo di Eric Ambler
Nadia Priotti
Se a Somerset Maugham viene attribuito il merito di aver introdotto una visione più prosaica e meno edificante dell’ambiente dello spionaggio nei suoi racconti Ascenden, or The British Agent (1928), è a partire dalla seconda metà degli anni Trenta che la letteratura di spionaggio subisce una profonda trasformazione, rinunciando alla formula collaudata di spia amatoriali che avevano la meglio sui nemici della nazione in un mondo in cui bene e male erano chiaramente identificabili.
Principali responsabili di tali mutamenti sono stati Graham Green da un lato, scrittore con esperienza diretta di Intelligence, che dedicò anche parte della sua produzione a romanzi di taglio spionistico, ed Eric Ambler dall’altro, che scelse da subito la spy fiction per esprimere la sua visione del mondo contemporaneo e che descrisse il mondo delle spie in modo altrettanto verosimile pur non avendone mai fatto parte. (p. 59)
Lo scrittore mette in rilievo la mancanza di credibilità di cattivi descritti come incarnazione del male nonché di eroi dalla forza sovrumana non suffragata da particolare acume intellettuale. Oltre ai personaggi, le trame costruite su cospirazioni che apparivano più come una lotta astratta tra le forze del bene e del male non erano più plausibili né in grado di appassionare i lettori. Avendo identificato nella superficialità dei personaggi e nella scarsa attendibilità delle trame i punti deboli del genere, Amber procedette da un lato all’introduzione di nuovi tipi di nemici, eroi e spie, e al tempo stesso lavorò sulla struttura della trama, traendo inspirazione sia da altre forme di letteratura popolare, sia da quelle che egli riteneva essere la le minacce del mondo contemporaneo.
In Uncommon Danger (1937) e in Cause for Alarm (1938), i nemici vengono identificati con i rappresentanti dei totalitarismi europei, personaggi che si distinguono nell’esercizio della violenza, ma anche con i rappresentanti privi di scrupoli di un capitalismo che non esita a collaborare con le forze antidemocratiche in nome del profitto e il cui ruolo va assumendo sempre più importanza, come emerge nella riflessione di Mister Kenton
The Big Business man was only one player in the game of international politics, but he was the player who made all the rules (E. Ambler, Uncommon danger, 2009, p. 77) (p. 61).
Nel processo di rinnovamento del genere, […] Ambler riuscì poi a creare trame meno prevedibili, calibrando con equilibrio l’elemento dell’avventura, tipico del thriller, con quello del mistero, ingrediente fondamentale della detective story. Tale scelta, che aveva già determinato il successo della prima letteratura di spionaggio, viene dall’autore rivisitata anche alla luce delle suggestioni delle hard-boiled detective stories, in cui temi della violenza e del rapporto tra ‘upper classes’ e mondo criminale erano al centro del mondo narrativo e in cui processo di ricerca del detective al fine di ottenere giustizia veniva privilegiata rispetto alla intellettualistica soluzione dell’enigma. (J. Cawelti, Adventure, Mystery and Romance: Formula stories as Art and popular culture, 1976) (p. 63).
Inoltre, i temi introdotti nelle hard boiled detective stories, che anche Ambler scelse di utilizzare, ben si sposavano con la situazione geopolitica dell’Europa negli anni Trenta. Alle tensioni politiche e alla crisi dei valori democratici, con un crescente ricorso alla violenza gratuita, si univa anche la disillusione nei confronti di un capitalismo […] sempre più spietato nel perseguimento del profitto, con scandali relativi a traffici di armi e connivenze con politici antidemocratici.
Il riconoscimento ricevuto dallo scrittore per il suo realismo, pertanto, non è da attribuirsi soltanto alla caratterizzazione dei personaggi o alla scelta di intrecci intriganti ma plausibili né alla sola presenza di dettagli tecnici, che comunque rilevano la solida preparazione scientifica’; la ragione sta soprattutto nella lucida rappresentazione di un’epoca complessa di cui Ambler ha mostrato profonda consapevolezza.
La capacità di Amber di portare innovazione all’interno del genere consiste però anche nella maggiore attenzione ad aspetti letterari, che in effetti avvicinarono alla letteratura di spionaggio anche un nuovo pubblico di lettori, più esigenti nelle aspettative rispetto ai tradizionali destinatari, principalmente appartenente alla lower middle-class. L’abilità nella costruzione dell’intreccio in contesti realistici e nella creazione di personaggi a tutto tondo, cui si unisce la preoccupazione sulle modalità della narrazione, contribuiscono certamente alla produzione di opere che vengono ad assumere un valore anche letterario, non più di mero intrattenimento. (p. 65)
(N. Priotti, Nuove prospettive nella letteratura di spionaggio: il contributo di Eric Ambler in Spy fiction: un genere per grandi autori, a cura di P. Bertinetti, Nuova Trauben, Torino 2014).

Film tratti dai libri di Ambler
1942, Terrore sul Mar Nero (Journey into Fear), di Norman Foster e Orson Welles.
1944, La Maschera di Dimitrios (The Mask of Dimitrios), di Jean Negulesco.
1947, Prigioniero della paura (The October Man), di Roy Ward Baker.
1955, Pianura rossa (The Purple Plain), di Robert Parrish, sceneggiatura di Eric Ambler.
1958, Titanic, latitudine 41 Nord (Titanic), di Roy Ward Baker, sceneggiatura di Eric Ambler.
1959, I giganti del mare (The Wreck of Mary Deare), di Michael Anderson.
1964, Topkapi (Topkapi), di Jules Dassin.
1975, La rotta del terrore (Journey Into Fear), di Daniel Mann.