Anna Achmatova e la memoria degli amori: Gumilëv, Modigliani, Berlin

di Gilda Diotallevi

«No, non era una bellezza. Ma era meglio di una bellezza. Non mi era mai capitato prima di vedere una donna il cui viso e tutta la persona spiccasse ovunque, anche fra le più belle, per la sua espressività, la sua autentica spiritualità, qualcosa che catturava subito l’attenzione…». Georgij Adamovič.

Anna Andreevna Gorenko, conosciuta come Achmatova, è stata una poetessa, una stella del firmamento russo, capace di attraversare tragedie, ingiustizie e difficoltà con una tempra alimentata dalla vocazione per l’amore e per l’arte. In lei infatti la passione e le parole, i versi e gli amori si confondevano fino a divenire una cosa sola. «Nei suoi versi […] la lirica autentica, il sentimento profondamente vissuto».

Le testimonianze di chi l’ha conosciuta offrono di lei un’immagine fuori dal comune, quella di una donna il cui temperamento e la cui personalità erano l’elemento centrale. Aveva occhi chiari grigio-verdi, naso particolare, frangetta scura, portamento fiero, gambe lunghissime. Era bella e ne era consapevole (Io ho indossato la gonna stretta/per apparire ancora più snella).

Così successe che mentre lei si innamorava della poesia (Ho imparato a leggere sui Libri di Lettura di Tolstoj…Ho scritto la mia prima poesia quando avevo undici anni), i poeti si innamorassero di lei. Tra i tanti suoi spasimanti ricordiamo Gulimev, il poeta a capo del movimento acmeista e suo primo marito, Blok (il suo Seroglazyi korol, il re dagli occhi grigi), un giovanissimo Modigliani, Punin, Mandel’stam.

Ma non ci si deve lasciar ingannare dalla sua biografia, perché Anna fu sì una donna affascinante ma soprattutto una talentuosissima poetessa che, come scrive Angelo Maria Repellino «Porta nella poesia russa una sintassi mormorata, un dimesso stile da camera che si avvale di un lessico semplice e giornaliero…comprime e addensa lo spazio semantico, raccorcia le prospettive dei simbolisti a dimensioni terrene…Questa parsimonia espressiva si riflette nella concisione delle immagini, composte con una grafia delicata che fa pensare ai segni della pittura giapponese».

Musa indiscussa degli artisti russi, ispirò amori e versi, Osip Mandel’stam mi guardava mentre parlavo al telefono, attraverso il vetro della cabina. Quando uscii, mi lesse quei quattro versi a me dedicati, ma dall’amore si lasciò ispirare a sua volta.

Nathan Alt’man, Ritratto di Anna Achmatova, 1915

Nel 1915 il pittore russo Natan Al’tman la ritrae e lei gli dedica alcuni versi della poesia Lasciato il bosco della patria sacra.

Come uno specchio, angosciata guardavo

La tela grigia e di settimana in settimana

Sempre più amara e strana era la somiglianza

Mia con la mia immagine nuova.

Ora non so dove sia l’amato artista,

Con cui dalla mansarda azzurra

Per la finestra sul tetto uscivo

E sull’abisso mortale lungo il cornicione

Andavo per vedere neve, Neva e nuvole,

Ma sento che le Muse nostre son amiche

D’amicizia spensierata e incantevole

Come fanciulle che non conoscono amore.

Il lungo percorso di vita di Anna sarà fortemente condizionato dalla poesia, sua unica vera vocazione, che la accompagnerà nel turbinio della sua esistenza e farà da ordito per i suoi amori.

Anna Achmatova, ritratto di Kuzma-Petrov-Vodkin

«Tutta la poesia e l’arte erano per lei – e qui usò un’espressione di Mandel’štam – una forma di nostalgia, un anelito a una cultura universale, come Goethe e Schlegel l’avevano concepita, che abbracciasse tutto ciò che era stato tramutato in arte e pensiero- natura, amore, morte, disperazione e martirio» (p. 232, Impressioni personali).

Nikolaj Stepanovič Gumilëv

Nikolaj e Anna si conobbero nel 1903 a scuola, a Carsko Celo. Lei aveva 14 anni, era già bella, alta, con occhi grandi e luminosi e capelli scuri, ma soprattutto era colta e portata per le lingue, leggeva Baudelaire in francese. «Ho imparato a leggere sui Libri di lettura di Tolstoj e a cinque anni, ascoltando la mia insegnante, ho incominciato a parlare francese. Ho scritto la mia prima poesia quando avevo undici anni». Così quando il diciassettenne Gumilëv la vide, si innamorò a prima vista. Lui, che in onore di Oscar Wilde portava un cilindro e si truccava occhi e labbra, fu folgorato da quella giovane donna che da subito cominciò ad abitare le sue poesie sotto il nome di sirena.

Eppure a tanto amore da parte di lui, corrispondeva indifferenza all’inizio, freddezza e titubanza poi, da parte di Anna, tanto da indurlo a tentare il suicidio più volte, tutte in corrispondenza dei rifiuti di lei di sposarlo. Ma alla fine qualcosa cambiò e così lei acconsentì, con una cerimonia a cui non parteciparono i familiari, scettici sull’unione.

Ti ricordi, come vicino alle valli nuvolose
abbiamo trovato una cornice,
dove le stelle, come una manciata d’uva,
cadevano rapide giù?

E non abbiamo scordato, 
benché ci sia dato l’obliar, 
quel tempo, in cui amavamo, 
quando sapevamo volare.
(N.G.)

Blok, Anna, Nikolaj

Temperamenti tanto diversi resero il loro matrimonio difficile, fatto di avvicinamenti e allontanamenti continui. Durante il viaggio di nozze visitarono Parigi, dove Anna incontrò per la prima volta Amedeo Modigliani, e poi l’Italia, la Romagna in particolare. Dopo solo sei mesi però Gumilëv che con tanto ardore aveva inseguito il sogno di avere Anna, cominciò a viaggiare in Africa, da solo. Si tradirono a vicenda, ebbero entrambi relazioni extraconiugali, e nello stesso tempo si dedicarono versi, fondarono la Ghilda dei Poeti dando vita al movimento acmeista e concepirono un figlio, Lev. Non è chiaro il tipo di rapporto che ebbero, complesso, faticoso, eppure per entrambi importante. E così, nonostante la delusione enorme di Anna nello scoprire che Nikolaj, dopo due anni di matrimonio, si era innamorato di un’altra donna, quando lui fu arrestato e fucilato (era stato accusato di aver preso parte a un complotto sovversivo monarchico) per lei cambiò qualcosa. Dallo shock di sapere Aleksandr Aleksandrovič Blok , il poeta simbolista di cui era segretamente innamorata, e il suo Nikolaj morti non si riprese mai del tutto, nonostante con quest’ultimo conducessero già due vite separate. Ma in fondo Gumilëv era stato entrale per la sua carriera artistica. L’aveva sostenuta e introdotta nei salotti culturali sia russi che francesi. Per cui non meraviglia che sia stata proprio Anna ad occuparsi del lascito di poesie, a tutelare il lavoro artistico del suo ex marito e a dedicargli alcune sue opere.

Amedeo Modigliani

Anna aveva vent’anni quando tornò a Parigi, la prima volta aveva solo conosciuto Modigliani di sfuggita al Café de la Rotonde, giusto il tempo di scambiarsi i loro indirizzi e di capire che sembravano conoscersi da sempre. Lui mentì anche sulla sua età, solo più tardi Anna seppe che aveva 26 anni e che era di Livorno. Dopo la prima grande delusione per il proprio matrimonio Anna volle infatti tornare da quell’uomo che l’aveva incantata tutto il divino scintillava in Modigliani solo attraverso una tenebra. Era diverso, del tutto diverso da chiunque al mondo. La sua voce mi rimase in qualche modo per sempre nella memoria, e che le aveva scritto lettere appassionate durante tutto l’inverno.

I ricordi di quei giorni di primavera del 1911 ci pervengono grazie alle memorie di Anna, pagine preziose, piene di poesie e promesse.

Lei è in me come un’ossessione. (A. Modigliani)


Al posto di una pacifica gioia volevamo un dolore che mordesse…
no, non lascerò il mio compagno dissoluto e tenero.
(A. Achmatova)

Lui le aveva inviato intense lettere appena dopo averla conosciuta nel 1910, mentre lei gli aveva dedicato diversi versi, ma ora che potevano rivedersi lui gli appariva incupito, cambiato. Amedeo, seppur così pieno di vita e adorato dalle donne, sembrava a colei che aveva «la capacità di indovinare i pensieri, di vedere i sogni altrui», solitario, dotato di uno spirito intenso e profondo.

Anna racconta di quanto amasse seguire Amedeo nelle sue peregrinazioni notturne, Mi portava a vedere le vieux Paris derrière le Panthéon, di notte, quando c’era la luna. Conosceva bene la città, ma una volta ci smarrimmo, di come lui le fece scoprire la vera Parigi, non quella alla moda, ma quella dei giardini di Lussemburgo in cui erano soliti camminare gli scrittori dell’Ottocento, le sale del Louvre con le bellezze egizie che avrebbero ispirato il pittore e ancora i boulevard, le osterie, i Randez-vous des cochers, i caffè degli artisti.

Talvolta sedevamo sotto questo ombrello su una panchina del giardino del Lussemburgo, pioveva, una calda pioggia estiva, vicino sonnecchiava le vieux palais à l’italienne, e noi a due voci recitavamo Verlaine, che conoscevamo bene a memoria, ed eravamo felici di ricordare le stesse poesie […]. (op.cit. p.15)

Perché anche quella Parigi in cui, secondo Anna, la pittura si era divorata ogni altra forma artistica, Modigliani e lei continuavano a pensare alla poesia, la declamavano, l’amavano. E a lui dispiaceva di non poter leggere i versi di Anna in russo, ma si ascoltavano a vicenda, parlando attraverso la lingua francese.

Sera

Mi diverte quando sei ubriaco

E nelle tue storie non c’è senso.

Un autunno precoce ha sparpagliato

Gialli stendardi sugli olmi.

Ci addentrammo in un falso paese,

ora ce ne pentiamo amaramente,

ma perché sorridiamo di un sorriso

strano e raggelato?

Al posto di una pacifica gioia

Volevamo un dolore che mordesse…

No, non lascerò il mio compagno

Dissoluto e tenero.

(da Piantaggine, scritta da Anna dopo la morte di Amedeo)

Questa relazione speciale tra i due, la loro passione proibita, fu impressa nei più audaci e meno noti schizzi a matita che ritraggono l’Achmatova nella posa della Maja Vestida e della Maja Desnuda del Goya, ritratti che Modì fece di Anna, non dal vero ma a distanza, basandosi sulla memoria di quella poetessa che non aveva mai posato per lui, ma che gli era stata di grande ispirazione. Purtroppo di tutti quei lavori, sedici nello specifico, ne resistette al tempo solo uno. Un ritratto che lei conservò gelosamente durante tutta la sua vita.

Nelle spoglie stanze che avrebbe abitato una volta tornata in Russia, quel solo disegno aleggiava come memoria di un rapporto speciale, di una vita basata sulla poesia. Lei, dipinta da un pittore che scriveva versi e amava, capiva come pochi la profondità delle parole e la vita che i versi erano capaci di imprigionare.
Non si rividero in futuro. Ma Anna non scordò mai quell’incontro, conservando di Modigliani quell’idea che non ritrovò più nelle successive descrizioni di lui, troppo romanzate, poco vivificanti. Solo nel 1958 la Achmatova scriverà di questo incontro (Le rose di Modigliani), ma è certo che la sua poesia sia stata influenzata fortemente dall’amore per Modigliani.

Probabilmente io e lui non si capiva una cosa fondamentale: tutto quello che avveniva, era per noi la preistoria della nostra vita: la sua molto breve, la mia molto lunga. Il respiro dell’arte non aveva ancora bruciato, trasformato queste due esistenze: e quella doveva essere l’ora lieve e luminosa che precede l’aurora. Ma il futuro che, com’è noto, getta la sua ombra molto prima di attuarsi, batteva alla finestra, si nascondeva dietro i lampioni, intersecava i sogni e spaventava, con la terribile Parigi baudelairiana che si nascondeva in qualche posto, lì accanto. E tutto il divino scintillava in Modigliani solo attraverso una tenebra. Era diverso, del tutto diverso da chiunque al mondo. La sua voce mi rimase in qualche modo per sempre nella memoria. (A. Achmatova, Amedeo Modigliani e altri scritti, p.11)

In realtà la Achmatova fu ritratta anche da Kuz’ma Petrov-Vodkin, Iosif Brodskij e Aleksej Batalov. Il critico d’arte Erich Hollerbach affermò che vi fosse più verità in quei pochi ritratti che nei libri di dieci critici. Ma sarà solo l’Allegoria della Notte di Modì ad accompagnarla negli ultimi anni della sua esistenza.

Amedeo Modigliani, Ritratto di Anna Achmatova 1911

Isaiah Berlin

Anna stava scrivendo il poema L’ospite del futuro quando il segretario dell’ambasciata britannica a Mosca, il trentacinquenne professore di filosofia sociale e di teoria politica all’Università di Oxford Isaiah Berlin, si presentò alla sua porta. 

Due coincidenze resero possibile questo incontro, la nostalgia di Berlin per San Pietroburgo in cui aveva passato l’infanzia

Lui rimase a lungo fuori, nella neve, respirando il buio del cortile interno, sporco e in abbandono come quando l’aveva visto l’ultima volta, ai tempi di Lenin. Passò le mani sul familiare corrimano rotto del piccolo negozio nel sottoscala, quello con l’insegna con la scritta sbagliata SHAMOVAR, dove il vecchio stagnino aveva riparato samovar e altri utensili domestici. Si sentiva sospeso tra il troppo reale passato e l’irreale presente. In una nebbia malinconica, vagò lungo la riva della Neva e poi sulla Prospettiva Nevskij.

e l’aver sentito che nelle librerie di Leningrado i libri costavano meno che a Mosca, «per via della mortalità terribilmente alta durante l’assedio e della possibilità di barattare generi alimentari con i libri» (I. Berlin, Personal Impressions, p. 217).

Proprio in una libreria degli sulla prospettiva Nevskij, dove «[…] figure mezzo morte per il freddo e la fame erano arrivate stringendo in mano capitoli strappati a vecchi libri, sperando di poterli scambiare con del cibo» (I. Berlin, Ivi),Berlin parlando con Orlov, colui che stava curando la prima edizione di poesie di Anna, scoprì che la poetessa non abitava lontano da lì e che avrebbe potuta incontrarla. Emozionato all’idea di incontrare un nome leggendario dell’epoca prerivoluzionaria, acconsentì. Fu così che Orlov e Berlin si ritrovarono di fronte all’ ex palazzo dei Conti Seremtev, chiamato Fontannij Dom, «Salimmo su per una scala ripida, buia, fino a uno dei piani superiori e fummo introdotti nella stanza di Anna. Era come se mi avessero invitato a incontrarmi con Christina Rossetti», a suonare all’appartamento numero 44. Anna dopo la separazione dal secondo marito Nikolai Punin era tornata a vivere con lui, convivendo però sia con la prima moglie di lui e la figlia, che con l’attuale moglie Margherita e il figlio. Ad Anna era destinata una stanza affacciata sul cortile, alla fine di un corridoio.

Era del tutto spoglia, non c’erano tappeti sui pavimenti né tende alle finestre, solo un piccolo tavolo, tre sedie, un armadio, un divanetto e, accanto al letto, un ritratto della Achmatova, distesa su un divano, la testa reclinata; l’opera era stata realizzata di getto da Amedeo Modigliani durante una breve visita della poetessa a Parigi nel 1911. Imponente, con i capelli grigi, uno scialle bianco gettato sulle spalle, la Achmatova si alzò a salutare il suo primo ospite da quel continente perduto. A Isaiah parve giusto inchinarsi, poiché lei aveva l’aspetto di una tragica regina.

Ma passarono solo pochi minuti prima che il figlio di Churchill urlò da sotto le finestre il nome di Berlin che, per evitare incidenti diplomatici, scappò via, salvo poi richiamare la Achmatova per scusarsi. Non si sarebbe aspettato di poterla rivedere, e invece lei, senza indugi gli disse solo «La aspetto questa sera alle nove». Non era una risposta da poco, perché lei «aveva ommesso il reato di incontrare uno straniero senza un’autorizzazione formale, e non uno straniero qualsiasi, bensì un dipendente di un governo capitalista» (op.cit. p.236). Da quel momento infatti Anna divenne bersaglio di illazioni collaborazioniste e le fu inflitta una formale scomunica da parte di Andrj Zdanov che in quel periodo era arbitro della linea cultural del partito, che l’avrebbe esclusa dal suo stesso mondo. «…degli acmeisti…È una rappresentante di quel pantano letterario reazionario senza idee, del tutto estranea alla letteratura sovietica. I temi di Anna sono esclusivamente individualistici… È la poesia della dama da salotto impazzita, che si muove tra il boudoir e l’inginocchiatoio. Il suo materiale è costituito da motivi erotici, legati ai temi della tristezza, della malinconia, della morte, del misticismo, dell’abbandono… È per metà suora, per metà sgualdrina. La sua poesia è del tutto estranea al popolo». Evidente è l’istinto sessista di una società caratterizzata da tabù erotici e smania di far misteriche l’avrebbe esclusa dal suo stesso mondo.

Ma lei pensava in modo differente, poetico. Solo dopo si venne a sapere cosa scrisse in quel frangente

Ma quanto gioiosamente

Ho sentito il suo passo

Sulle scale, il suo tocco sul campanello,

Timido come il polpastrello di un ragazzo

Che sfiori la sua prima ragazza.

Lui tornò e questa volta con Anna, che se ne rimase in silenzio, c’era una sua conoscente, un’archeologa che gli pose domande sulle università inglesi. Soltanto verso mezzanotte rimasero soli in quella stanza poco illuminata, mentre lui fumava sottili sigari svizzeri. Come in un viaggio lungo il passato, Anna cominciò a chiedere di coloro che aveva conosciuto e che ora risiedevano in Occidente. Parlò del primo marito e pianse pensando alla sua innocenza (fu giustiziato per congiura monarchica), ma con dignità perché non voleva che Berlin provasse compassione per lei. Poi «Mi lesse il Poema senza eroe, all’epoca non ancora compiuto. Già allora ero consapevole che si trattasse di un’opera geniale» e mentre declamava Requiem si interrompeva spesso e raccontava stralci di vita vera.

Era tardi, «Avevamo fatto, credo, le tre del mattino. Non accennava a volermi congedare. Io ero troppo commosso e assorto per muovermi» (Op.cit., p. 226) anche se l’arrivo del figlio di lei Lev interruppe di nuovo la loro conversazione esclusiva. Mangiarono, anche se c’era poco da offrire, e bevvero. Solo verso le quattro rimasero ancora soli. Parlarono di letteratura russa, delle loro passate relazione e si aprirono. Si conobbero senza maschere.

Un incontro speciale per Anna che, come scrisse Anatolij Najman «precisò il suo cosmo poetico e lo rinnovò completamente, mobilitò nuove energie creative». E proprio la brevità e al contempo l’intensità di quell’incontro fece scrivere alla Achmatova

Disgiunti, così, dalla terra

in altro passavamo come stelle

Lei seppe trasformare quella conoscenza, spingerla oltre nel suo immaginario sublimando l’amore in poesia  e permettere alla sua arte di essere ancora forte. Scriverà, dopo la morte di lei, Berlin «Se la mia visita ebbe un tale effetto sull’Achmatova […] ero la prima persona del mondo esterno che parlasse la sua lingua e potesse darle notizie di un mondo da cui era stata isolata da molti anni. …sembrava che vedesse in me un ospite predestinato, forse un fatidico messaggero della fine del mondo- un tragico preannuncio del futuro, qualcosa che la colpì nel profondo e può aver contribuito a un nuovo effondersi della sua energia creativa» (op.cit., p. 234).

Via il tempo, via lo spazio,

attraverso la notte bianca ho visto tutto:

il narciso nel cristallo sul tuo tavolo,

l’azzurro fumigare del sigaro.

(Nella realtà, da La rosa di macchia fiorisce)

Non dovrai su un asfalto di foglie cadute

Attendermi a lungo.

Tu ed io  nell’adagio di Vivaldi

Ci incontreremo di nuovo.

(Poema senza eroe e altre poesie, Einaudi 1966)

Nero e puro distacco

Che io sopporti al pari di te.

Perché piangi? Dammi meglio la mano,

prometti di ritornare in sogno.

Noi siamo come due monti…

non ci incontreremo più in questo mondo.

Se solo, quando giunge mezzanotte,

mi mandassi un saluto con le stelle.

(In sogno, in La rosa di macchia fiorisce)

Dall’altra parte Berlin, intervistato da Dalos circa i suoi sentimenti per Anna rispose «No, non mi facevo fantasie», ma la ammirava, ne era affascinato e aveva a lungo nutrito verso di lei un senso di colpa. Quello per aver peggiorato la sua situazione con il suo paese, di aver contribuito al boicottaggio della sua arte e alla persecuzione della polizia segreta a cui Anna fu piegata.

Si sono amati per una notte, ma senza pretese, con la più totale consapevolezza della fugacità di quell’incontro. Eppure proprio la resistenza di Anna a dimenticare le permise di aprirsi di nuovo alla passione, alla scrittura.

La porta che tu hai aperto per metà

Mi manca la forza di chiuderla

Dopo quella sera si rividero altre due volte, a distanza di anni. La prima fu il 3 gennaio del 1946, quando Berlin si recò di nuovo da lei per consegnarle una copia di Il Castello di Kafka, in inglese, e una raccolta di poesie di Sitwell, lei gli regalò volumi delle sue poesie con delle dediche, una delle quali riportava una citazione tratta dal Poema senza eroe,

Nessuno bussa alla mia porta, solo lo specchio sogna di uno specchio,

e la quiete sta a guardia della quiete. 4 gennaio 1946.

Il perché l’amore fosse necessario per la sua arte lo troviamo in un suo verso, nel ciclo di poesie Cinque

Fin dai miei giorni più antichi non i piaceva

Che si avesse pietà di me,

ma con una goccia della tua pietà

vado in giro come il sole in corpo.

Vado e faccio miracoli,

lo vedi perché?

Anna visse amori e passioni che seppe tradurre in una poesia, alimentata da ricordi e astrazioni universali. In una lettera di Boris Pasternak datata 26 luglio 1946, scopriamo come fosse ancora vivido l’effetto dell’incontro con Berlin l’anno precedente e di come potesse farsi motore della sua, seppur silente, produzione artistica.

«Quando l’Achmàtova è stata qui una parola su tre…riguardava lei. E in maniera così drammatica e misteriosa! Una notte ad esempio, in taxi, di ritorno da una serata, era al tempo stesso raggiante e stanca e aveva già quasi la testa tra le nuvole, quando mi sussurrò in francese Notre ami… Alla fine i suoi amici…cominciarono…ci descriva Berlin. Seguì il mio elogio e solo dopo incominciò il vero dolore della Acmàtova…».

Ci incontrammo in un anno inconcepibile,

quando languiva l’energia del mondo,

tutto era lutto, tutto piegava sotto la sventura,

ed erano fresche soltanto le tombe.

Così quando ti invocò la mia voce,

cosa facessi io stessa non capivo.

(Da La rosa di macchie fiorisce, p. 253)

Ci scegliemmo un anno sbagliato,

anche di questo non ci diede pace.

Dio mio, era forse una colpa?

E il destino di chi ci è toccato?

Meglio non essere al mondo,

il Cremlino del cielo ci spetterebbe,

di diventare come uccelli, come fiori,

eppure saremo noi- io e te.

Bibliografia di riferimento:

A. AKMATOVA, Amedeo Modigliani e altri scritti, SE, Milano 2004.

A. AKMATOVA, Le rose di Modigliani, Il Saggiatore, Milano 1982.

A. AKMATOVA, Poema senza eroe e altre poesie, Einaudi, Torino 1966.

I. BERLIN, Impressioni personali, Adelphi, Milano 1989.

G.DALOS, Innamorarsi a Leningrado, Donzelli, Roma 2007.

B. NOSSIK, Anna e Amedeo, Odoya, 2015.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.