Se il passato non passa

di Maria Grazia Carnevale

Ciò che riempie la nostra coscienza storica è sempre una molteplicità di voci, nelle quali risuona il passato. Solo nella molteplicità di tali voci

il passato c’è…

H.G. Gadamer, Verità e metodo

La guerra della memoria

Lo scorso 10 febbraio si è celebrato il Giorno del Ricordo, istituito nel 2004 in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale (Legge n.92/2004 consultabile su http://www.gazzettaufficiale.it): il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito ‘un impegno di civiltà’ conservare e rinnovare la memoria di tale tragedia, riconoscendo, al contempo, che i sopravvissuti e gli esuli, insieme alle loro famiglie, hanno tardato a veder riconosciuta la verità delle loro sofferenze. Una ferita che si è aggiunta alle altre (Dichiarazione del Presidente Mattarella in occasione del Giorno del Ricordo 2022, http://www.quirinale.it). Memorie negate per anni e, quindi, da ricordare con ancora più forza.

Quasi nello stesso momento veniva pubblicata una Circolare del Ministero dell’Istruzione in cui i massacri sul confine orientale venivano equiparati alla Shoah. Vi si legge, infatti: «Il Giorno del Ricordo e la conoscenza di quanto accaduto possono aiutare a comprendere che, in quel caso, la ‘categoria’ umana che si voleva piegare e culturalmente nullificare era quella italiana. Poco tempo prima era accaduto, su scala europea, alla ‘categoria’ degli ebrei» (Nota del Miur alle Scuole: 10 febbraio 2022 Giorno del Ricordo – Opportunità di apprendimento consultabile su http://www.miur.gov.it). Praticamente immediata la smentita del Ministro Bianchi, dopo le numerose proteste: è un «errore paragonare tragedie, genera altro dolore».  Ed ancora «ogni dramma ha la sua unicità, va ricordato nella sua specificità e non va confrontato con altri, con il rischio di generare altro dolore» (Dichiarazione del Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: 10 febbraio 2022 consultabile su http://www.miur.gov.it). Memorie negate per anni, di nuovo a rischio di rimozione.

Di cosa ci parlano il discorso di Mattarella e il comunicato di Bianchi? Di un fenomeno sempre più evidente, la trasformazione della memoria pubblica in ‘un campo di battaglia’ per usare la formula di Luisa Passerini, studiosa che ha sottolineato più volte come il XX secolo sia stato un intreccio contraddittorio di memoria e oblio (p.29, Memoria e utopia. Il primato dell’intersoggettività). Del resto, ci aveva avvisato già Paolo Jedlowski: «la memoria pubblica è la memoria della sfera pubblica, ossia l’immagine del passato pubblicamente discussa» (Introduzione). Per sfera pubblica deve intendersi naturalmente l’ambito della vita delle moderne società democratiche – sorto grosso modo nel corso del Settecento e in relazione all’ascesa della classe borghese – al cui interno i convincimenti dei cittadini a proposito di questioni di rilevanza collettiva si confrontano e si influenzano reciprocamente, modificandosi man mano contribuendo al formarsi dell’opinione pubblica attraverso argomentazioni di carattere prevalentemente razionale, suscettibili di critica, in modo tale che tutti i cittadini, in linea di principio possono partecipare al discorso (cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica). La possibilità di partecipare, però, alla formazione dell’opinione pubblica, non ci mette automaticamente al riparo dalle dinamiche di potere e dai loro pericoli, soprattutto in relazione alla scelta dei criteri di rilevanza e plausibilità degli eventi del passato.

Se la ‘memoria collettiva’ altro non è che l’insieme delle rappresentazioni sociali riguardanti il passato che ogni gruppo produce, istituzionalizza, custodisce e trasmette attraverso l’interazione dei suoi membri fra loro (p. 34, Lineamenti di una sociologia della memoria), è la struttura di potere che caratterizza un gruppo o una società a creare e stabilizzare la memoria (ivi). Ogni processo di selezione del passato implica, infatti, un’attribuzione di valore.

Del resto, già Halbwachs aveva distinto, in una prospettiva marxiana,
‘memorie dei gruppi dominanti’ e ‘memorie dei gruppi subordinati’ (La memoria collettiva), mettendoci in guardia sui tentativi di chi detiene il potere di legittimare la propria posizione o di definire identità attraverso le immagini del passato. 

S. Dalì, La persistenza della memoria 1931.

Come salvare la nostra memoria collettiva?

É sempre più evidente che «il passato non è in grado di difendersi da solo come fanno il presente e il futuro (p. 48, L’imprescrittibile) perché è stato, ma non è più». Da un lato, è temporalmente concluso (quod factum infectum non fieri amavano ripetere i Latini), dall’altro è ormai assente (e tuttavia ancora presente). Paul Ricoeur ci rammenta che «l’idea di perdita è, da questo punto di vista, criterio decisivo della passeità»: infatti, «l’oggetto del passato in quanto trascorso è un oggetto (d’amore, d’odio) perduto» (p.11, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato).  

Non è solo la Storia, in quanto disciplina a statuto scientifico, a venirci in aiuto, è altrettanto importante recuperare una dimensione etica della memoria collettiva. In fondo, riappropriarsi del passato è un’operazione salvifica, soprattutto se accettiamo la tesi di Walter Benjamin secondo cui «solo all’umanità redenta tocca interamente il suo passato» (p. 23, Sul concetto di storia). Non si tratta solo di réparer l’histoire, limitandosi a scuse pubbliche o a tardive richieste di perdono, o ancora di tribunalizzare la storia, per citare la nota espressione coniata da Odo Marquard, nell’intento di autoassolversi, bensì di riappropriarsi di essa al punto di assumersene la responsabilità. Il solo vero antidoto al ripetersi degli errori del passato.

E ciò dipende da «quanto sia grande la forza plastica di un uomo, di un popolo o di una civiltà, voglio dire quella forza di crescere a modo proprio su se stessi, di trasformare e incorporare cose passate ed estranee, di sanare ferite, di sostituire parti perdute, di riplasmare in sé forme spezzate» (pp. 8-9, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Seconda considerazione inattuale). Anzi trova spazio e conferma nella commemorazione, in quel fare memoria insieme, allo stesso tempo pratica comunicativa e narrativa opposta all’oblio e alla rimozione.

La storia non si snoda

come una catena

di anelli ininterrotta.

In ogni caso

molti anelli non tengono.

La storia non contiene

il prima e il dopo,

nulla che in lei borbotti

a lento fuoco.

La storia non è prodotta

da chi la pensa e neppure

da chi l’ignora. La storia

non si fa strada, si ostina,

detesta il poco a poco, non procede

né recede, si sposta di binario

e la sua direzione

non è nell’orario.

La storia non giustifica

e non deplora,

la storia non è intrinseca

perché è fuori.

La storia non somministra carezze o colpi di frusta.

La storia non è magistra

di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve

a farla più vera e più giusta.

La storia non è poi

la devastante ruspa che si dice.

Lascia sottopassaggi, cripte, buche

e nascondigli. C’è chi sopravvive.

La storia è anche benevola: distrugge

quanto più può: se esagerasse, certo

sarebbe meglio, ma la storia è a corto

di notizie, non compie tutte le sue vendette.

La storia gratta il fondo

come una rete a strascico

con qualche strappo e più di un pesce sfugge.

Qualche volta s’incontra l’ectoplasma

d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.

Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.

Gli altri, nel sacco, si credono

più liberi di lui.

E. Montale, La Storia, 1971

R. Magritte, Memoria 1948.

Bibliografia di riferimento:

A. CAVALLI, Lineamenti di una sociologia della memoria, in P. JEDLOWSKI e M. RAMPAZI (a cura di), Il senso del passato. Per una sociologia della memoria, Franco Angeli, Milano 1991.

M. HALBWACHS, La memoria collettiva, Unicopli, Milano 1987.

J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari 2006.

P. JEDLOWSKI Introduzione, in M. RAMPAZI, A. L. TOTA (a cura di), La memoria pubblica. Trauma culturale, nuovi confini e identità nazionali, Utet, Torino 2013.

O. MARQUARD, A. MELLONI, La storia che giudica, la storia che assolve, Laterza, Roma-Bari 2008.

F.W. NIETZSCHE, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Seconda considerazione inattuale, Adelphi, Milano 1994.

L. PASSERINI, Memoria e utopia. Il primato dell’intersoggettività, Bollati Boringhieri, Milano 2003.

P. RICOEUR, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, il Mulino, Bologna 2004.


 

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.