Intervista ad Alfredo Catalfo: un attivista della cultura

di Gilda Diotallevi

Alfredo Catalfo possiede la casa editrice [https://www.edizioniefesto.it/], ma non solo. Editore, studioso, attivista della cultura, si definisce principalmente un libraio. Da anni infatti la sua casa editrice è supportata dall’omonima libreria, situata in un crocevia di facoltà, che illumina il cammino degli studenti universitari.

Alfredo Catalfo porta avanti una sua battaglia personale, decostruire la netta separazione tra scienziati e umanisti, pubblicare testi altamente specialistici, senza rinunciare ad accostarli a collane di classici latini e greci. Nel suo pensiero infatti la filosofia, la storia, la poesia ben si allineano con interessi matematici, scientifici e ingegneristici.

Partirei da alcune date che in un certo senso segnano i momenti salienti della tua storia lavorativa. Nel 2004 hai iniziato a far parte del mondo dei libri, dell’editoria. Ma è nel 2011 che decidi di percorrere la tua strada e di fare scelte complesse e rischiose. Apri infatti la libreria Efesto, mentre nel 2012 registri il marchio della casa editrice Edizioni Efesto. Non deve essere facile dedicarsi in prima persona a due attività.

AC «Tutto è iniziato nel 2004, dal momento in cui mi è stato offerto di lavorare in una libreria universitaria. Io in quel momento stavo provando a fare dei concorsi, ero già stato nell’esercito come ufficiale, ma sarei voluto restare a Roma. Quella era una occasione per me, un po’ inaspettata, ma sicuramente nelle mie corde. Chi mi offrì quel ruolo sapeva mi sarebbe piaciuto lavorare con i libri. Ero già un grande lettore, molto attento anche agli aspetti meno visibili del mondo del libro. È stato l’inizio di tutto.

Nel 2011 ho invece deciso di aprire per conto mio, il mio ex datore era in fase di chiusura con la sua attività e non avrei potuto continuare in quel luogo. Era al centro di Roma, con degli affitti altissimi. Quindi aprii io una libreria universitaria, accademica, in continuità con la mia esperienza pregressa. Però con l’idea, che già avevo nel 2004, di sperimentare e scoprire anche il lato dell’editore.

Mentre quindi nel 2011 ho aperto una libreria conoscendo già discretamente bene quel lavoro che avevo svolto per più di sette anni, nel 2012 ho dato l’avvio alla casa editrice come una scommessa con me stesso. Avevo moltissime idee, ma non sapevo se poi nel concretizzarsi le cose sarebbero andate per il verso giusto. Con la libreria mi sentivo paradossalmente più sicuro, con la casa editrice dovevo procedere un po’anche per tentativi. Avevo ben chiara che tipo di casa editrice lanciare, ma non ne conoscevo in concreto le problematiche. O meglio sapevo molte cose in teoria, dal punto di vista del libraio, ma senza averle vissute in prima persona. Oggi sono quasi a 500 titoli.»

In parte lo hai accennato anche tu. Quando prima hai confessato di essere interessato anche ad altri aspetti, oltre quelli del semplice leggere i libri, molti hanno una visione riduttiva di questo lavoro…

A.C «Sapessi quante volte me lo sentito dire, “che bello fai il libraio, quindi leggi!” Sono due cose diverse. È chiaro che ci vuole un certo amore per la lettura, per la letteratura, per il libro in sé, ma il mestiere richiama anche molto altro.»

Walter Henry Bromley-Davenport definiva l’editore una persona che conosce precisamente quello che vuole, ma non è abbastanza sicuro. A parte la sua ironia, questa affermazione mi permette di chiederti come riesci a conciliare due aspetti del tuo lavoro, che sono in realtà abbastanza difficili da rendere omogenei. Da un lato il gusto, ma dall’altro il lato gestionale. Perché la casa editrice è una azienda. Ha delle dinamiche che non tolgono poesia, credo, al primo aspetto, ma fanno semplicemente parte della dimensione più pragmatica. Però esistono e vivono di regole non sempre conciliabili.

AC «Per quanto riguarda il gusto, devo ammettere che mi ha aiutato molto anche l’essere libraio. Mi ha dato l’opportunità di riflettere su quale fossero le assenze nel mondo editoriale, gli spazi vuoti nelle richieste delle persone che venivano in libreria universitaria. Mi resi conto fin dall’inizio che su molti argomenti tecnico-universitari non c’era scritto nulla. Capire quindi quali sarebbero stati i libri che poi avrei davvero venduto è stato, paradossalmente, più semplice dell’affrontare l’aspetto più propriamente aziendale. Soprattutto i primi due, tre anni sono stati impegnativi da un punto di vista gestionale. Come dare un prezzo di copertina, quante copie stampare, con che formato. Chiedevo consiglio ad amici editori, studiavo, ma è stata anche una fase importante perché mi ha permesso di imparare, a volte procedendo proprio per tentativi. Mentre invece il gusto si era formato sulla base dell’esperienza, dei miei interessi personali ma anche su quello dei clienti. Il libraio spesso si appassiona dei temi che più vengono richiesti in libreria.

Mi ero reso conto che c’era una grossa carenza di temi tecnico-scientifici a livello accademico. In pochissimi riescono a pubblicare un libro di matematica, di ingegneria, di fisica. Un po’perché i grandi editori si sono dedicati ad altro, un po’perché non sono proprio molti quelli che si appassionano agli argomenti tecnici. Conosco solo qualche altro editore in Italia, oltre me, che accetterebbe di pubblicare un libro sugli impianti elettrici. Nella maggior parte dei casi non è facile per chi si dedica a questi aspetti del sapere tecnico accedere alla pubblicazione, anche a dispetto della richiesta che invece esiste. Per cui mi faceva piacere aprire una strada, insistere su questi temi che mi sono sempre piaciuti, anche per curiosità personale. Da lì poi mi sono allargato agli altri argomenti che corrispondono proprio al mio di gusto, la storia dell’arte, la storia, la filosofia, l’archeologia. Questi sono sostanzialmente i temi della casa editrice, che contiene titoli per lo più di saggistica. E io, devo ammetterlo, che da lettore leggo proprio questi libri.»

Edizioni Efesto

Il nome deriva da Efesto(gr. Ηϕαιστος, lat. Hephaestus), Divinità greca del fuoco terrestre. Figlio di Zeus ed Era, fratello di Ares. Considerato il fabbro degli Dei, sempre raffigurato con l’incudine e il martello, la mitologia attribuisce a lui, che viveva nella fucina di un vulcano, le armature degli dei e degli eroi greci, tra cui le armi e lo scudo di Achille. Per i romani divenne poi la divinità Vulcano.

C’è quindi una corrispondenza tra la linea editoriale e il tuo gusto personale.

AC «Assolutamente sì. Anzi proprio questa corrispondenza mi ha permesso di affrontare con più facilità la professione editoriale. Ho fatto, in tal senso, l’editore di libri su argomenti che interessavano me anche in quanto lettore.»

Ti definiresti un editore indipendente? Cerco di spiegare cosa intendo, non indipendente dai capitali, ma nel senso che i criteri di scelta che assumi, sui lavori da pubblicare, rispondono a ragioni personali e non solamente di mercato.

AC «Certamente, sempre nel rispetto delle varie aree, dove ad esempio sono presenti i comitati scientifici e quindi devo pormi il problema di ciò che vado a inserire in una collana, soprattutto se accademica. Per il resto mi sento libero di decidere cosa pubblicare. Se mi piace l’argomento pubblico, altrimenti no. Ti confesso che a volte conta anche l’autore, se trovo affinità con lui o meno.»   

Ti sei mai trovato in una situazione in cui non ti sei sentito di pubblicare qualcosa per una ragione etica o di opportunità?

AC «Sì, ho detto parecchi no, anzi tantissimi. Non solo nel caso in cui mi hanno proposto qualcosa che non mi piaceva, ma anche quando, pur proponendomi cose belle, sapevo di non volermene occupare.  Mi viene in mente ad esempio la questione dei libri per bambini. Mi sono state proposte cose davvero belle a cui ho dovuto dire di no. Non volevo dedicarmi a quel settore, non volevo essere un editore per bambini, per ragazzi. Mi sono poi capitati episodi ancora più specifici, in cui a entrare in gioco erano ragioni personali. Una volta un docente di filosofia, con cui avevo già lavorato in passato, mi presenta questa raccolta di suoi articoli molti belli, ma che conteneva nell’ultima parte una giustificazione, anche un po’esagerata, sul mondo no vax. Sono stato sincero e gli ho detto che non avrei pubblicato il libro se non avesse ridotto quella parte e lui lo ha fatto. Non era neanche in linea con il resto degli scritti, era fuori contesto e davvero esagerato il tono usato. Assumendomi le mie responsabilità, sono riuscito a mantenermi libero e politico. Anche perché un senso di responsabilità deve esserci da entrambe le parti, da parte dell’editore e da quella dello scrittore, ci si deve in qualche modo venire incontro.

Con un altro autore di economia politica mi è capitato di cambiare una parola. Lui la usava sempre, ma aveva una accezione troppo forte e così l’ho cambiata con un sinonimo che aveva però una sfumatura semantica differente. Sono stato interventista. L’autore me lo ha fatto notare, ma non si è opposto al cambiamento.»

Come ti relazioni con gli autori? Che tipo di rapporto hai con loro?

AC «In assoluto direi che è più bello quello con i lettori in libreria! Scherzo, dal fatto che nessuno fin ora se ne sia andato, direi che è buono. Nel senso che nessuno ha deciso di cambiare casa editrice per via di una discussione con me. Chiaramente per ogni scrittore, a rischio di essere banale, un libro è un figlio. C’è un rapporto di affetto tra l’autore e il suo libro a volte un po’ esagerato. E il ruolo dell’editore è sempre quello di calmierare questo affetto esagerato.»  

Il mestiere dell’editore, dipendendo dal tempo e dall’impossibilità di essere identici a se stessi, è difficilmente definibile una volta per tutte. Tu pensi che sia solo una professione o pensi mantenga una dimensione politica, un impegno sociale.

AC «Penso davvero che essere editore, fare l’editore sia fare politica. Nel mio caso l’idea di aver voluto lanciare e sponsorizzare tantissimo l’editoria tecnica, la cultura tecnica, è stata una scelta politica. Soprattutto in un paese come l’Italia in cui pochi si iscrivono a ingegneria per via di idee pregresse sbagliate, come che sia troppo difficile od ostica. Io non ho fatto studi tecnici, sono laureato in Sociologia, però ridare slancio al settore tecnico scientifico è stato il mio primo obiettivo di natura politica. Questa, così come tutte le altre scelte editoriali che mi trovo a prendere, compresa l’ultima che ho fatto un anno e mezzo fa. Ovvero il far nascere una collana con delle piccole monografie su dei singoli politici della Prima Repubblica. Ho scelto di pubblicare questi libretti per avvicinare ad un vasto pubblico la conoscenza di alcuni politici del passato, che erano grandi professionisti. Questa è stata una mia idea e penso di fare politica anche così.»

C’è qualche testo o qualche autore che ha segnato in qualche modo la storia di questo tuo percorso editoriale?

AC «Ce ne sono tre o quattro che hanno fatto la svolta della casa editrice nel 2015, dopo due anni dall’apertura. Due sono di saggistica.

Antonio Ciaramella, che ha scritto due bellissimi libri di Storia del make up, uno nel 2015 e uno proprio quest’anno. (A. Ciaramella, Make up. 100 anni allo specchio 2015; Make up. Il codice teatrale 2021)

L’altro è Giorgio Franchetti che ha fatto con me all’inizio un libro sui gladiatori, poi a tavola con gli antichi romani, a tavola con gli etruschi da poco. (G. Franchetti, Panem et Circenses 2015; A tavola con gli antichi romani 2017; A tavola con gli Etruschi 2022)

Questi due autori, per me oggi amici e autori importanti, arrivarono in casa editrice entrambi lo stesso anno e, in qualche modo, la sconvolsero in modo positivo sia per la diffusione dei loro libri, talmente tanto da permettere di farmi conoscere come editore, sia per aver confermato in qualche modo la mia idea di essere principalmente un editore di saggistica. Senza ovviamente nulla togliere a tutti gli altri autori, docenti di ingegneria dall’inizio a cui si sono aggiunti archeologi, storici dell’arte e filosofi, che dal 2013 mi seguono e che poi a lungo termine con i loro libri continuano a plasmare l’identità della casa editrice. Io li definisco dei long seller. Ho pubblicato un libro sulle infrastrutture aeroportuali che è unico in Italia e che continua ad avere successo da molti anni, a cui si aggiungono quelli di ingegneria chimica. Quindi anche questo per me ha un gran valore. (P. Di Mascio, L. Domenichini, A. Ranzo, Infrastrutture Aeroportuali 2016)»

Ti sei trovato in una condizione in cui le due figure professionali che ricopri, quella da editore e quella da libraio, fossero confliggenti? Mi riferisco a situazioni in cui, invece di essere un vantaggio tutto ciò fosse un problema?

AC «Sì, più di una volta. In termini di gestione mi è successo spesso, proprio perché sono mestieri molto diversi da un punto di vista gestionale. Addirittura più diversi di quanto si possa credere. Solo chi si trova a svolgerli contemporaneamente può capire. I grossi editori infatti hanno due amministratori delegati, uno con un ruolo e uno che ne ricopre un altro. Noi piccoli ci dobbiamo arrangiare. A livello gestionale confliggono ogni giorno, la collisione è quotidiana. Mi è capitato anche a livello di scelta editoriale. A volte ho pubblicato da editore delle cose, sapendo da libraio che non le avrei vendute o che ne avrei vendute poche. Che mi sarei, in un certo senso, inflitto un danno economico. Però almeno posso dire di averlo fatto con una certa consapevolezza.»

Ti è capitato in libreria di preferire mettere in esposizione altre case editrici al posto della tua, proprio per via di qualche logica confliggente?

AC «Sì, su qualche libro sì. Ma, ovviamente non voglio fare nomi. Però posso dirti che sulla narrativa mi è capitato. Comunque tengo talmente distinte le due attività che in libreria, per scelta, non espongo i volumi della casa editrice in modo prioritario, stanno sugli scaffali in mezzo agli altri, per argomento.»

Per ciò che concerne il futuro. Mi ero prefissata di chiederti se nel tempo la tua idea iniziale di pubblicare alcune cose sarebbe cambiata, ma a rispondermi, in un certo senso, ci ha pensato lo stesso catalogo di Edizioni Efeso. Perché effettivamente dai primi testi di natura scientifica, quindi dall’iniziale obiettivo di pubblicare ricerche tecnico-scientifiche, pian piano il catalogo si è nel tempo arricchito di temi ulteriori, di indagini filosofiche, storiche, passando dalla saggistica alla narrativa.

Però c’è qualche altra cosa che ti piacerebbe pubblicare o un ramo della cultura, del sapere che non hai ancora trattato, ma a cui ti piacerebbe aprirti?

AC «Innanzitutto mi piacerebbe lavorare meglio come editore di narrativa, anche se non sono molto fiducioso che riuscirò in questo intento.»

Perché?

AC «Perché richiederebbe un impegno tale da distogliere quella concentrazione e quella attenzione che oggi riverso sulla saggistica. Per cui anche se la narrativa, la poesia ad esempio, mi affascinano da lettore e vorrei crescere in tal senso anche come editore, mi rendo conto che sarebbe difficile dedicargli lo stesso impegno che dedico a ciò che oggi pubblico. Addirittura mi è capitato più volte di commissionare alcuni libri di saggistica, ma difficilmente troverei il tempo per chiedere a uno scrittore di presentarmi un certo romanzo. Sarei in difficoltà anche sull’argomento da prediligere. In tutto ciò a fare la differenza è solo il mio essere editore di una collana di romanzi storici. Un po’ perché io stesso sono un grande lettore di quel genere, ma anche perché sono libri che possono posizionarsi a metà strada tra romanzo e saggio. Allora in questo caso mi accorgo di essere un po’ più preparato e di riuscire a far combaciare l’impegno da editore di saggistica, con quello da romanzi, seppur storici.

Forse mi piacerebbe aprirmi di più alla narrativa contemporanea, però davvero, almeno per ora, non potrei proprio.»

Li segui tutti personalmente gli autori che pubblichi o sei costretto, in alcuni casi a demandare ad altri?

AC «In alcuni campi accademici, ad esempio quello di ingegneria, mi affido ai docenti, agli specialisti di cui ho piena fiducia. Per quanto potrebbe essere soggetto a critiche, quando mi propone un libro un accademico di pregio, devo anche fidarmi. Non posso io contestare alcune parti della sua teoria. Lo stesso vale per alcuni libri di archeologia ad esempio. Ciò non toglie che poi i libri li leggo, anche quelli di ingegneria, pur preferendo in tali casi quelli a carattere più divulgativo che specialistico. Mi guardo gli indici, mi studio alcuni argomenti che mi incuriosiscono maggiormente.

Per il resto mi leggo tutto. Anche quando ho di fronte il testo di un autore che già ha pubblicato con me un altro saggio, che è una certezza nel suo campo, ho piacere comunque a leggerlo, fosse anche solo per interesse personale. Soprattutto quando sono già a forma di libro, non solo come quando devo leggerlo stampato come fossero delle fotocopie. Quindi visiono tutto, anche gli argomenti tecnici, magari a volte leggendoli dopo, ma comunque prestandogli sempre molta attenzione. In questo sono fortunato perché il catalogo di Edizioni Efesto rispecchia esattamente i miei interessi culturali. In questo sono felice e soprattutto mi sento libero.»  

Sarà per i miei trascorsi accademici, ma ho notato che sul sito della tua casa editrice compare l’open access. Qualcosa che chiunque abbia fatto ricerca non può che lodare. Anche perché sinceramente non so quanti editori possano vantare questa possibilità.

AC «Esatto, non sono molti gli editori che hanno deciso di puntare su questo. Anzi, in realtà la maggioranza degli editori non conosce proprio l’open access. In parte perché appunto come facevi notare tu è qualcosa che richiede e che utilizza più il mondo accademico e soprattutto da pochissimi anni. Una decina di anni fa non avrei avuto nessuna richiesta. L’open access è un libro che, oltre ad essere acquistabile in formato stampato, consente di essere scaricato gratuitamente in formato pdf. E molti mi chiedono se effettivamente mi convenga. Ti rispondo subito di sì. Perché quando cento persone si sono scaricate un bellissimo pdf gratuito di una ricerca che magari solo dal titolo non avrebbero mai comprato, non ti dico tutti, ma la metà comprerà anche il cartaceo. Perlomeno in quei pochi esperimenti di open access che ho fatto, si è rivelato una legge matematica.»

Anche in questo caso credo sia una scelta precisa, politica, quella di consentire un accesso libero al sapere.  In tal modo ci si può avvicinare a qualcosa che non avremmo avuto la possibilità di leggere, un materiale prima magari non rintracciabile. Invita a fare altre ricerche sullo stesso autore, oltre a invogliarti ad avere una copia cartacea di ciò che hai visionato.

AC «È proprio questo il punto, avere la doppia possibilità di acquistare il libro, oltre a scaricarlo in formato pdf, risulta sempre un aiuto alla vendita del libro, mai un blocco. Certo, tale procedura ha senso su alcune ricerche, meno su un saggio divulgativo e tanto meno su un romanzo, anzi qui lo non avrebbe proprio. Ma in tante ricerche scientifiche delle varie aree disciplinari ha molto senso. Le ricerche tecniche ad esempio di un poeta esistito nell’Ottocento, che poi è sparito, non sembrano interessanti. Ma se poi scaricando il pdf e leggendo qualche pagina scoprono il poeta, la metà di quelli che ne ha preso visione si va a comprare il libro.»  

Mi piace che tu abbia voluto rischiare su questo, che non ti sia fermato al preconcetto che tutto ciò che è gratuito ostacoli la vendita.

AC «Molti fanno confusione con i romanzi, che nel caso in cui vengano piratati e girino copie on-line il cartaceo non lo comprerà più nessuno. La differenza quindi la fanno l’argomento e il genere.

Anche perché alcuni testi sono davvero difficili da studiare sul pc, senza una copia cartacea.

AC «Pensa che proprio ora ho inserito l’open access di un testo di 780 pagine. Forse se qualcuno è interessato a leggerselo tutto, due volumi da 350 pagine a 30 euro preferisce senza dubbio acquistare il cartaceo.»  

Vorrai continuare a scommettere sull’ open access anche nel futuro?

AC «Assolutamente sì, proprio un’ora prima di questa intervista abbiamo parlato con una docente di greco di questa possibilità.»  

Per tornare alla tua professione di libraio. Esistono dei luoghi che non subiscono il processo di decostruzione del tempo e che dovrebbero essere preservati come luoghi sacri. Personalmente a tal riguardo il mio pensiero va subito alle librerie. Per te, al di là del mercato che si evolve e della tecnologia che sta cambiando le abitudini e le dinamiche, ha senso continuare a parlare della libreria come luogo fisico? Vedi futuro in questo?

AC «Sì, innanzitutto perché l’on-line non si trova sul territorio. Partirei da questa base. On-line banalmente i libri li compra già chi è interessato a leggere. Ma nessuno dall’on-line viene a promuovere un libro sul territorio; a farlo sono sempre i librai che hanno una attività fisica, o altre attività miste in cui l’attività della libreria è importante. In tal senso ha futuro.Ma certamente è cambiato tutto moltissimo. Anche rispetto al 2004 che l’on-line iniziava solo ad affacciarsi, il ruolo del libraio è cambiato molto. Prima il libraio stava in negozio e la gente entrava in libreria perché aveva necessità di farlo. Oggi il libraio si deve muovere di più per portare la cultura e il libro fuori dalla propria libreria o all’opposto far avvicinare le persone con una motivazione. Ci si deve impegnare molto, il libraio deve lavorare di più per essere presente.»  

(Ph: Libreria Efesto, via C. Segre 11, Roma) (G. Balla, Gli stati d’animo dei libri 1940)

Esiste poi qualcosa di ineliminabile, ovvero il rapporto tra chi cerca qualcosa e chi è in grado di aiutare in tal senso.

AC «Ai miei scrittori, agli autori della casa editrice che mi dicono che sono sempre in libreria rispondo che, se mi togliessero la categoria degli studenti universitari che entrano in libreria, appassirei. Avere a che fare da libraio con moltissimi ventenni studiosi, pieni di entusiasmo, mi aiuta a mantenere quella stessa vitalità necessaria per fare questo lavoro, e vale anche per il mio essere editore.

E a dispetto di ciò che si può pensare delle materie scientifiche, mi trovo tantissimi ventenni che vengono da me a dirmi “mi fai vedere i libri di analisi matematica che hai perché devo fare un confronto”. Oppure “dalla tua esperienza di libraio quale fra questi due testi mi suggerisci?”. Questo succede ogni giorno, contrariamente a quanto si dice che i giovani non leggono e non si applicano nello studio.»  

Come sfatare questa convinzione che se una persona studia materie scientifiche, giuridiche, allora non è aperta anche ad altro?

AC «Devo dire che è più comune trovare lo studioso di materie tecnico-scientifiche che si interessa a un saggio letterario che viceversa, per ovvi motivi. Io, ad esempio, sono uno che si appassiona a capire cosa siano le fondazioni e le travi, ma magari non tutti hanno questa curiosità.

Una volta ricordo di aver contestato l’impianto che mi avevano montato a casa perché mancava un partitore sull’impianto delle antenne. Gli operai erano sbigottiti, ma io avevo un bellissimo manuale degli impianti elettrici. Mi sono fatto una cultura.

Al di là dell’ironia, nel mondo scientifico, a dispetto di quello che si pensa, c’è molto interesse per la cultura. La settimana scorsa un ragazzo, dottorando di ingegneria meccanica, per cui ci si immagina il tipo più avulso dalla letteratura, entra in libreria dicendomi “Sa, io seguo molto Barbero. Con che libro suo mi consigli di iniziare?”. E poi ha aggiunto “Ho fatto lo scientifico, non il classico, ma vorrei tanto leggere una bella edizione della divina commedia commentata, quale mi consigli?” Questa cosa succede molto più spesso di quanto ci si immagini.»

Credo che a te accada spesso, anche perché tu sai far bene il tuo lavoro, dai fiducia alla persona che entra.

AC «Ma i miei colleghi librai sanno fare tutti bene il loro lavoro, perché altrimenti non riuscirebbero a resistere con un negozio al pubblico e con i relativi costi che tutto ciò comporta. Su molti editori invece avrei da ridere. Il libraio che ha una attività e quindi dei costi fissi, deve essere anche un bravo libraio con il cliente. Ci sono invece editori che rimangono seduti sulla loro poltrona, a volte nemmeno entrano in libreria, pur vantando poi pretese assurde. Quindi mi sento di essere molto più critico su alcuni editori. I librai che conosco sono bravi. Quelli non bravi forse sono quelli che provano ad aprire una libreria e dopo un anno si trovano costretti a chiudere. Ma se un libraio sta lì da anni, è in grado di farlo anche meglio di me questo lavoro.»  

Anche tante case editrici aprono con facilità, ma chiudono poi in tempi brevissimi.

AC «C’è un giro più alto nel diventare e cessare di essere editore che non libraio. Fosse solo per il cospicuo investimento economico. E poi chi resiste, nonostante tutte le difficoltà attuali è un vero professionista. Ma questo credo sia un problema non circoscritto alle librerie, il modo impulsivo e compulsivo di comprare on-line è un po’una malattia psicologica. Con il fatto che la libreria è anche punto corriere e ricezione pacchi, vedo persone capaci di acquistare qualunque cosa on-line. E questo danneggia non solo i librai ma qualunque negozio fisico. Se si potessero tagliare i capelli on-line alcuni farebbero anche quello.

Ma come con i corsi e ricorsi storici la gente alla fine si stanca e pur di socializzare vuole stare in un negozio e quindi in libreria ci rientra. Ho notato queste forme di ritorni. Così come la persona che ha acquistato per un mese vestiti on-line e dopo cento volte che le ha rimandate indietro ha preferito il negozio vero. Alla fine quindi dobbiamo essere fiduciosi.

(Jonathan Wolstenholme, 1950)

Vorrei concludere dicendo di non essermi mai pentito dei libri che ho pubblicato. Coltivo anche rapporti di amicizia con gli autori, a prescindere poi da quante volte io li senta durante l’anno. Sia con quello che sento quasi tutti i giorni, che con quello con cui mi scambio solo gli auguri per le feste, sono riuscito a istaurare un bel rapporto e di questo sono contento. Un pensiero affettuoso da editore lo voglio rivolgere ai tanti autori giovani, ventenni e trentenni, che hanno scelto la mia casa editrice, la fiducia più importante non è la mia verso le loro opere ma la loro nei confronti della mia attività. Un grazie speciale va anche a Francesco Manzo (graframan.com), il grafico e colui che ha impaginato la maggior parte dei volumi, senza di lui molti libri non avrebbero letteralmente preso forma.»

Fiori Vivi ringrazia Alfredo Catalfo e la sua Casa editrice: Edizioni Efesto.

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