Biagio Schembari e il viaggio nel mito

di Gilda Diotallevi

L’incontro

A Ibla, l’antico centro storico e oggi il quartiere più antico di Ragusa, questa mattina di agosto sta per piovere, e tutto si è tinto di uno strano grigio. Sarà per questo che l’entrata nel Teatro Donnafugata di Ragusa, in cui si tiene dopo tre anni di assenza la mostra del maestro Biagio Schembari, è ancora più sorprendente.

In netto contrasto con l’atmosfera esterna, un’esplosione di luce inonda l’atrio. Sembra di essere entrati in una fornace, dove alcuni quadri presenti emanano calore e ipnotizzano.

Ad accoglierci ci sono il maestro Schembari e la sua splendida moglie Margherita, che da anni lo segue e lo sostiene.

Sembra un sogno poter parlare direttamente con il Maestro, perché un vero artista lo si riconosce subito per un motivo. Evoca autenticità. E Schembari non fa che dimostrarlo, attraverso il suo lavoro, la sua poetica, la sua idea di pittura e di arte.

Ci racconta della Accademia delle Belle Arti a Firenze che ha frequentato durante i moti del Sessantotto e della vivacità culturale di Roma negli anni Settanta, quando a parlare non era la teoria ma l’arte stessa.

Come un vero anfitrione ci conduce nelle sale interne del Teatro in cui sono sistemati i suoi quadri. Una serie di dipinti con il suo stile inconfondibile. Simili eppure tutti completamente differenti.

La mostra

La mostra è allestita in un luogo insolito ma che ben si adatta alle opere di Schembari, tutte di forte impatto scenico. Nel Teatro Donnafugata, costruito nella prima metà dell’Ottocento e che prende il nome da uno dei più significativi palazzi di Ragusa, alcune sale ben illuminate accolgono la mostra e permettono di ammirare le opere che, quest’anno, hanno tutte dimensioni notevoli.

È il Maestro stesso ad accompagnarci in questo viaggio, svelando pian piano le opere che compongono la sua personale di pittura.

Passiamo così, attraverso dei tendaggi simili a sipari, da una sala all’altra, ammirando figure femminili e maschili giganti, la cui origine affonda nel mito, e che a tratti si confondono con le stesse architetture dipinte. Non è un caso che il Maestro abbia studiato come scenografo, perché lo spazio della tela diventa per lui una quinta di un teatro, in cui la luce e il buio, la staticità e il movimento prospettico parlano una lingua misteriosa ma al contempo universale.

Le sale si illuminano al nostro passaggio, permettendoci di osservare una tela dopo l’altra, come fossimo trasportati fuori dal tempo. Eppure qualcosa di incredibile succede proprio nel momento in cui le luci si spengono. Se ci si sofferma a osservare il quadro in penombra accade una magia. Dal centro del dipinto sembra accendersi una luce, qualcosa capace di autoilluminare la storia che ogni dipinto cela.

«Alla fine ad impressionare davvero non sono le forme, ma i colori»,

ci confessa il Maestro Schembari, la cui tecnica pittorica innovativa, affinata negli anni, conferisce la qualità centrale del lavoro. Sarà per quella lucentezza dovuta alla cera che l’artista passa sulla tela, dopo aver dipinto il legno con l’acrilico, o sarà la capacità di ricreare giochi di ombre e luce, ma qualcosa si accende e brilla dal centro esatto del dipinto. 

Aldo Cottonaro scrive a riguardo che «… in questa pittura spesso la luce giunge di traverso come una luce di tramonto, […]. Sulle immagini domina il silenzio, ma la pittura con un originale trattamento tecnico del colore crea volumi che contraddicono la propria staticità».

Grazie a questa emanazione di gialli, rosa, bianchi, che crea un colore unico e personalissimo, una mistura che sembra provenire dal manierismo, una porosità materica che dona profondità, le immagini riescono a suggestionare e a raccontare una storia.

«Ogni quadro deve contenere gli elementi essenziali di un momento storico, del tema centrale del quadro»,

ci dice Schembari. Partendo da alcuni segni infatti, come ad esempio scudi, tori, carri, si disvela un mondo fatto di giganti, di uomini e donne simbolo, di angeli e di animali. Come in una rappresentazione teatrale, vengono raffigurati miti ed eroi, in un connubio unico di classicismo e surrealismo.

Nell’immaginazione poetica di Schembari, che si traduce nella produzione di composizioni plastiche, tutto viaggia su un doppio binario, congiungendo e sovrapponendo il mito, la cui origine è ben piantata nelle radici della civiltà, al mondo contemporaneo; come dire che la dimensione arcaica, ancestrale e originaria sia in qualche modo correlata a quella del tessuto attuale.

Siano tutti figli di una storia che con un sottile filo ci tiene ancorati all’origine, al passato, ma che al contempo ci spinge in avanti, verso uno sfondamento, una rivoluzione che solo l’arte è in grado di decodificare e suggerire. Quando infatti chiediamo al Maestro cosa significhi per lui l’arte, non ha dubbi.

«L’arte, nel mio caso la pittura, deve rompere con gli schemi»,

ci risponde.

«Voglio che l’arte parli, che crei una rottura».

Ed è ciò che accade, perché basta osservare i suoi lavori perché qualcosa dentro di noi avvenga.

Le parole del Maestro

Vogliamo sapere di più da Schembari, il cui modo di parlare e raccontarsi disvela una poetica personale e ragionata.

La mia pittura ritorna ancora più impetuosa, incisiva, è ancora più forte la sperimentazione, la ricerca di nuove soluzioni.

Il mito, l’arte classica, impregnano le tele ed è un continuo riaffiorare di vecchie statue, giganti che un tempo erano idoli, adesso semplici reperti archeologici dei miei continui scavi, che compongo come vedute panoramiche di paesaggi e luoghi arcaici, dove un tempo l’uomo trovava riparo.

Antichi eroi, guerrieri e dei immortali, matriarche, simboli di guerre, cavalli immensi, tutto passa attraverso l’immaginazione, la sintesi della volontà, del bisogno instancabile di aprire uno squarcio (nell’arte) e creare una via nuova.

Il risultato è la forza scabra che emana la pittura e rende il mito protagonista del nostro tempo.

La matrice metafisica e surreale si fonde con la concezione etnica che è nel mio bagaglio culturale di autore. Si ha l’impressione di rivivere il momento eroico in cui il Kuros si muove dopo secoli di rigidità; il pennello, i colori gli danno vita, le cave di pietra di Cosimo diventano fonte inesauribile della materia di cui sono costituiti questi giganti.

Di figura in prosa

Scopriamo inoltre che il Maestro ha scritto dei libri, in linea con la sua idea di arte e di vita. Strade di pietra (Lampi di stampa, 2010) e Il giardino delle mele marce (Il Filo, Roma 2008), in cui prosa, versi e documenti di vita reale si alternano in una narrazione che parla di dolore e amore. Il testo è anche un atto di denuncia, ma al contempo una dichiarazione d’amore, per la Sicilia, sua terra madre, capace di riportare l’autore sempre a sé.

Dietro a te lasci un fiore e una carezza,

seguendo il tempo che ti accompagna. (p. 98)

Per concludere questo breve ritratto di artista, riportiamo un estratto di un brano che il Maestro stesso ha scritto, un augurio che fa a se stesso e, in fondo, anche a noi.

Che augurio mi posso fare, adesso che riesco a malapena a ridere del tempo che passa e del sole che tramonta sui ricordi del mio passato incensurato? Mi auguro che le mie urla, i miei colori, le mie forme, non disturbino la povera gente; mi farò coraggio per affrontare i pareri negativi, le ansie mattutine, le mie lettere che tornano indietro.

Ho perso anche le chiavi dell’ultimo cassetto, dell’ultimo mio sogno, sotto una montagna di tante altre cose.

Mi auguro di poter stare zitto e dipingere il mondo a modo mio, di poter leggere in silenzio e sbandare con le frasi, da sembrare ubriaco di solitudine, un albero senza ombra. (7/03/2015)

Fiori Vivi ringrazia

Il Maestro Biagio Schembari e sua moglie Margherita

http://www.biagioschembari.it/

Gilda Yoko Diotallevi

Andrea Loiaconi, Gianluca Mulè, Caterina Zizzi

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