Rilke e la Natura

di Flavia Sorato

Rilke è poeta e scrittore di profonda ricettività, una raffinatissima capacità di analisi lo contraddistingue come una delle massime figure liriche, rappresentative del Novecento. Sempre volto alla ricerca ed alla riflessione, nella dolorosa consapevolezza data dall’incomprensibilità degli elementi della vita, che però coabita e si accompagna all’intensa spinta interiore volta alla comprensione del tutto: un’intelligenza, la sua, che riporta ad unione il particolare e l’universale, ciò che è racchiuso nell’animo ed il mondo fuori.

Come Paul Valery lascia scritto in un suo Ricordo, tra gli uomini non comuni più affascinanti che ebbe la fortuna di conoscere vi è proprio Rilke. Portatore di una magica presenza, capace di infondere un potente fascino in ogni parola da lui scelta, lo scrittore traduce in immagini ciò che altri non sono neppure in grado di vedere. Valery rievoca come «i suoi occhi bellissimi vedevano ciò che io non vedevo: presagi, tracce o sottotracce, coincidenze significative, presentimenti che gli suggerivano di agire o di astenersi in diverse evenienze rispetto alle quali io mi stupivo che si potesse manifestare quella sensibilità».

Le Elegie Duinesi manifestano appieno le sue concezioni: in esse inquietudini e paure si mischiano, come nel caso della prima composizione, con appelli ad elementi forse salvifici, tra cui, ad esempio, un albero su un pendio.

Ecco la comparsa di entità naturali, di un’attenzione a certe presenze nel mondo.

Nati da profondi stati d’animo, da ragionamenti interiori, questi componimenti esprimono al massimo grado le domande che il poeta praghese pone a sé e così a tutti.

Accanto ad opere tanto fondamentali, però, un insieme di altri scritti presenta la visione ed il pensiero di Rilke. Così sono rinvenibili importanti meditazioni in lettere, memorie, impressioni di viaggio: molte di queste considerazioni restituiscono un suo modo di vedere e vivere sì lo spazio interiore, ma anche quello esteriore, il paesaggio.

Nella raccolta Del paesaggio ed altri scritti (Adelphi), sono stati riuniti più testi: la narrazione è data da esperienze, sogni, luoghi, idee sull’arte, ma protagonista è di certo l’elemento naturale ed il racconto dello spazio.

«Poteva essere trascorso poco più di un anno da quando nel giardino del castello, che lungo un pendio abbastanza ripido scendeva fino al mare, gli era accaduto un fatto meraviglioso. Camminava avanti e indietro, come era sua abitudine, con un libro, quando si trovò a poggiare le spalle contro la forcella di un arbusto; in tale posizione si sentì coì gradevolmente sostenuto e felicemente riposato che rimase immobile, senza leggere, immerso nella natura, in una contemplazione quasi inconsapevole.»

Lungo le sue riflessioni, Rilke fa riferimento a città come Bruges, con quelle sue spiagge che investono i villeggianti di sentori legati al trascorrere lieve del tempo, per poi passare a ricordare la languida bellezza di Venezia.

Centrale in questa composita narrazione, però, è lo scritto in cui viene trattato il tema della pittura di paesaggio e della storia della sua rappresentazione. Difficile è tradurlo, comprenderlo, l’ambiente, elemento a noi esterno ma in cui allo stesso tempo si è immersi. E così: «colui che avesse a scrivere la storia del paesaggio si troverebbe, anzitutto abbandonato a un elemento estraneo, privo di affinità con altri, impenetrabile. Noi siamo soliti contare sulle figure e il paesaggio non ha nessuna figura; siamo abituati a inferire dai movimenti sugli atti di volontà, e il paesaggio, quando si muove “non vuole”. Le acque fluiscono e in esse oscillano e tremano le immagini delle cose. E nel vento che stormisce tra gli alberi antichi, crescono i giovani boschi, crescono verso un futuro che noi non vivremo. Il paesaggio è là, privo di mani e non ha viso; oppure è tutto viso e l’immensa grandezza dei suoi tratti spaventa e schiaccia l’uomo».

Così è nella comprensione del paesaggio e della natura che quest’ultima può davvero essere non solo un mezzo attraverso cui esprimere altro ma, in una ricerca di rinnovamento, diventa e la si osserva per ciò che è:

«si cominciò a capire la natura quando non la si capì più».

Rilke dedica in questo capitolo riflessioni all’arte di Théodore Rosseau e poi di Millet: i suoi contadini, che abitano le campagne, sono figure che occupano lo spazio pittorico come segni e valori paesistici, cosicché alla solitudine dell’uomo corrisponda la pianura, ed i suoi gesti al cielo. Nel mezzo di questa analisi affiora, anche, poi, l’affinità con un altro pittore, Segantini, di cui è poeticamente descritto il dipingere: rappresentare la montagna è per l’artista come un’opera d’ascesa «i monti sono per lui soltanto gradini verso nuove pianure, sopra le quali si alza un cielo vasto quanto il cielo di Millet, ma più luminoso, più profondo, più colorito».

Di cieli ne riceviamo un’immagine potente anche nelle Elegie Duinesi, in cui questi, descritti come ‘intimi’, regalano una nuova esperienza di profondità al lettore.

Nel settimo componimento, la descrizione della primavera e dell’estate, del loro passaggio, è data dal percepire e vedere il farsi di un giorno, con un moto che da contemplazione diventa rapimento.

«Non solo i mattini dell’intera estate-, non solo
Come essi tramutano nel giorno e splendono fin dall’inizio. 
Non soltanto i giorni, che delicati s’aggirano intorno ai fiori, 
ed in alto, intorno agli alberi già formati, forti e possenti. 
Non soltanto il raccoglimento di queste dischiuse forze,  
non soltanto le vie, non soltanto i prati alla sera,
non soltanto, dopo i tardi temporali, la respirante chiarezza, 
non soltanto le notti! Ma le elevate notti dell’estate, 
ma le stelle, le stelle della notte. 
Oh essere morti un tempo e saperle infinite,
tutte le stelle: allora come, come, come dimenticarle!».

C’è luce, in questi versi. Chiarori e stelle.

Se Van Gogh guardando il cielo notturno non poteva che sognare, in Rilke troviamo un raccoglimento acceso da punte scintillanti di raffinata coscienza della natura, del mondo.

«Ma le stelle, le stelle della notte…»

C’è una sconfinata energia in questa riflessione.

Difronte a tutto ciò, in Rilke, vi è però anche la percezione della grande fragilità umana, che può perdere e vedere perire tanta bellezza.

«Poiché noi sentendo svaniamo; ah noi esaliamo fino ad estinguerci; un legno che di ardore in ardore dà sempre più tenue profumo».

Ma allora come si può essere? Dice Rilke, tutto quello che è qui ha bisogno di noi, è il mondo stesso che si appella all’uomo:

«Siamo qui forse per dire casa, ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutto, finestra, − al più: colonna, torre… ma per dire, comprendilo, per dire così come persino le cose intimamente mai credettero d’essere».

Nei suoi scritti Del Paesaggio ritroviamo una riflessione sul rapporto dell’uomo con le cose del mondo, nel punto in cui il poeta ricorda la saggia consapevolezza espressa da Constable, che aveva ben compreso quanto la natura fosse la chiave per avviarsi alla scoperta del mondo, così vasto nella sua mutevolezza e diversità: «non vi sono due giorni che siano eguali, neppure due ore, dalla creazione del mondo in avanti non ci sono state date neppure due foglie che fossero una eguale all’altra». Il mondo è vasto e quando si accende una scoperta tale, l’uomo non può che cogliere tutto davanti a sé.

[Dopo le precedenti recensioni di mostre d’arte, la monografia Worpswede di Rilke divenne il primo grande lavoro che mostrava il talento speciale del poeta per la combinazione dell’arte e della considerazione della personalità. Tale monografia, pubblicata per la prima volta nel 1903, è ancora oggi un classico sull’arte e sugli artisti di quel movimento culturale.]

Rimanendo in tema artistico, si ricordi che Rilke ha scritto del gruppo di Worpswede, in Germania, che aspirava a riprendere il lavoro della scuola di Barbizon, fatto di tecnica en plein air e di vita condotta nella natura, alla ricerca di spazi non contaminati dalla società. Come la storia e l’anima di un luogo siano narrabili attraverso gli elementi naturali che lo compongono ed attorniano, è un qualcosa su cui lo scrittore ci illumina in poche righe, raccontando potentemente aspetto e spirito del paese suddetto: «Worpswede è strano, strade e corsi d’acqua si perdono nelle profondità dell’orizzonte. Là comincia un cielo di una mutevolezza e grandezza indescrivibili. Si rispecchia su ogni foglia: tutte le cose sembrano occuparsi di esso, che è dappertutto. E dappertutto è il mare. Non più quello che secoli fa qui salì e si ritirò, quando la groppa sabbiosa su cui è posta Worpswede non era che una duna in mezzo alle altre. Le cose non lo sanno dimenticare. Il grande fragore che colma gli antichi pini del colle sembra sia il suo, e il vento, il vasto, possente vento reca il suo aroma. Il mare è la storia di questo paese, che non ha quasi altro passato».

Hiersei ist herrlich

(Essere qui è magnifico), scrive il poeta nelle Elegie Duinesi.

Le cose, la natura, saranno anche caduche, ma fin tanto che l’uomo è qui ad esse è legato, loro sanno della nostra gioia e miseria.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

R. M. RILKE, Del paesaggio e altri scritti, Adelphi, Milano 2020.

R. M. RILKE, Elegie Duinesi, Einaudi, Torino 1978.

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