R: LE STORIE D’AUTORE

La libreria indipendente Le Storie prosegue la sua rubrica letteraria in collaborazione con fiorivivi.com dedicando questo speciale al NATURE WRITING

(a cura di Gilda Diotallevi)

NATURA E SCRITTURA

Per scrittura della natura (Nature writing) si intende quella parte della narrativa, della poesia, della saggistica ispirata o dedicata alla natura. Molti esempi di scritture sui luoghi e gli ambienti appartengono a un genere misto tra racconto e saggio. La centralità del contesto, piuttosto che del soggetto, la cui vicenda è strumentale allo spazio e consiste nell’attraversamento o nell’esperienza di un ambiente, implica un rovesciamento. Il focus non è più, necessariamente, sulla vicenda individuale, ma sulla storia naturale, sugli ambienti e i suoi abitanti (non necessariamente umani), anche prima che il narratore-osservatore entri a farne parte.

Al suo interno confluiscono però realtà e dimensioni talmente differenti che si renderà utile, alla stregua del teorico Thomas J. Lyon che elabora una tassonomia dei diversi tipi di scrittura della natura negli Stati Uniti, proporne una differenziazione interna per macroaree.

[T.J. Lyon, This Incomparable Land: A Book of American Nature Writing, Houghton Mifflin, Boston 1989. Questo libro è una guida introduttiva al genere, nella vastità della scrittura americana.]

  1. Letteratura scientifica (e botanica) sul mondo naturale e sulla storia naturale
  2. Scrittura di esplorazione, viaggio, avventura, e vite solitarie in luoghi naturali
  3. Riflessione filosofico/meditativa/sociale/giuridica sulla natura e sull’effetto che provoca nell’uomo

Nonostante la connessione tra natura e scrittura abbia affascinato e coinvolto una lunga schiera di intellettuali, filosofi e scienziati del passato, non solo essa non accenna a spegnersi ma, addirittura, alimenta i suoi estimatori, evidenziandone l’attuale fortuna. Anche per tale motivo spesso ci si domanda se possa essere una questione di moda, se porre al centro del discorso pubblico e culturale la natura non sia un altro tentativo di trasformarla in qualcosa di facilmente fruibile, economicamente vendibile, in altre parole se non sia l’ennesimo tentativo di mercificare ogni cosa, compresa la natura e le esperienze ad essa legate.

Ma la relazione dell’uomo con la natura è, in realtà, un tema talmente ricco di implicazioni e di riverberi in campi apparentemente lontani che pare destinato ad essere indagato e amato ancora a lungo.

Il fatto che ci si riferisca a nature writing non è un caso. Dobbiamo infatti al mondo angloamericano la capacità di formalizzare e rendere genere letterario, qualcosa che, seppur in nuce, era già presente da molto. La scrittura della natura infatti verrà istituita come genere letterario a se stante alla fine del XVIII secolo, quando il movimento romantico reinterpreta il rapporto uomo natura sia in ambito letterario che filosofico. Al contrario del romanticismo però, qui si assiste ad una fusione tra arte e scienza. La narrazione si basa infatti su analisi e osservazioni scientifiche della natura.

1 Letteratura scientifica (e botanica) sul mondo naturale e sulla storia naturale

La letteratura incentrata sulla storia naturale si deve alla nobile trazione inglese, che dalla seconda metà del XVIII e XIX sec. si lega principalmente alla botanica e alle informazioni scientifiche sul mondo naturale.

Se dovessimo trovare un capostipite a questo filone, non potremmo non citare Gilber White, parroco naturalista, considerato da molti il ​​primo ecologo inglese che nel 1789 pubblica The Natural History and Antiquites of Selborne. Considerata un’opera modernista, col merito di aver plasmato l’atteggiamento moderno nei confronti della natura, viene citata ancora oggi.

Solo per annoverare alcuni esempi in tal senso, ricordiamo Susan Fenimore Cooper (1813-1894) il cui Rural Hours del 1850 rappresenta il più significativo esempio di letteratura ambientale americana scritto da una donna. Susan sostenne infatti che la conoscenza dei luoghi naturali incoraggi la popolazione al rispetto della terra, proponendo un’etica consapevole e rispettosa della natura e degli animali. Charles Darwin con il suo Sull’origine delle specie del 1859 e William Bertram. Quest’ultimo, primo naturalista che penetrò le fitte foreste tropicali della Florida, esploratore e naturalista, dopo una vita avventurosa tra colonie sudamericane, indiani d’America ed esplorazioni varie, sulla base di appunti e disegni di flora e fauna sconosciuta, scrisse le sue esperienze nel libro noto oggi come Bartram’s Travels, pubblicato nel 1791.

In tutti questi casi la particolarità, del tutto innovativa, consiste nel fatto che la scrittura sulla natura, pur basandosi su ricerche e nozioni scientifiche, viene esposta dagli autori in prima persona, con riflessioni filosofiche sulla natura e osservazioni personali che la allontanano dalla separazione tra saggistica e letteratura. 

È pur vero però, che in un continuo rimando, anche la letteratura si trovi a incontrare la natura. A volte solo come espediente, altre come vero e proprio mezzo di conoscenza di se stessi e del proprio mondo. Basti pensare ad esempio all’ Isola di Arturo di Elsa Morante, a Canne al Vento della Deledda, o alla Mansfield con il suo Aloe in cui il vento della Nuova Zelanda fa da sfondo alla scoperta di un fiore. Ma quando alla natura si associa la botanica e il paesaggio, si fa spesso rifermento a qualcosa che tutto ciò riesce a racchiudere: il giardino. Esso, in alcuni fulgidi esempi, diviene luogo di ricerca scientifico/botanica, rifugio contemplativo e allo stesso tempo ispirazione letteraria vera e propria.

La botanica e la conoscenza antica delle erbe sono state alla base di una recente riscoperta, ovvero dell’Emily Dickinson Herbarium (Elliot Edizioni 2017). Attraverso l’accuratezza del lavoro della scrittrice (sono presenti 424 fiori perfettamente conservati) e le indicazioni presenti, ammiriamo qualcosa in grado di parlarci della vita stessa della Dickinson.

Scopriamo che la Dickinson era una amante della natura, a cui dedica versi […] la natura è armonia. Natura è tutto quello che sappiamo senza avere la capacità di dirlo, tanto impotente è la nostra sapienza a confronto della sua semplicità, ma ancor più di botanica e di giardinaggio. Oltre a regalare piccoli bouquet floreali, era solita lasciare dei fiori pressati nelle lettere che scriveva ai suoi amici. Come il giglio dorato, che la poetessa una volta regalò a Thomas Wentworth Higginson, con il quale intrattenne una regolare corrispondenza. Teneva poi un piccolo giardino d’inverno Al giardino ancora non l’ho detto, scriveva in uno dei suoi celebri componimenti, mostrando come esso ispirò profondamente il suo animo e le sue opere e curava inoltre quello più grande intorno alla sua dimora ad Amherst, Massachussetts. Lo sai che io sono stata allevata in un giardino, scriveva Emily in una lettera a una cugina. Emily è una donna della seconda metà dell’Ottocento e in questo periodo nascono i primi cataloghi per corrispondenza che vendono anche semi. In Italia, quello dei Fratelli Ingegnoli di Milano risale al 1890.

In Emily Dickinson e i suoi giardini (Ippocampo) Marta McDowell segue «lo scorrere di un anno della scrittrice all’interno del suo giardino, mentre scopriamo particolari poco conosciuti della sua vita e capiamo meglio la sua anima. Alternando fotografie e illustrazioni botaniche a poesie e brani tratti dalle lettere di Emily Dickinson, mostrando, sotto una prospettiva del tutto inedita, una delle figure letterarie americane più celebri ed enigmatiche». Ci racconta del suo apprendistato botanico, quando da ragazzina girava per i boschi con il suo cane Carlo a caccia di fiori.

Attraverso la descrizione del rapporto tra gli scrittori, i poeti e gli artisti in generale con i giardini, la scrittura si fa strumento di introspezione e metafora viva della vita. E se il rapporto con essi non è prettamente femminile, pensiamo a Jean-Jacques Rousseau, ad Andrè Gide, vero cultore di botanica, o a Marcel Proust, grandi donne hanno mostrato come il giardino, luogo di memoria, di sogno, di solitudine, sia stato fondamentale per la loro letteratura.

Il giardino di Virginia Wolff, ovvero la storia del giardino di Monk’s House

di Cecil Wolff

Per rendere pienamente giustizia al piccolo paradiso terrestre che ricordo bisognerebbe scrivere un’epopea orticola, ma le mie capacità poetiche e le mie competenze in materia di giardinaggio non ne sono all’altezza. Leonard e Virginia non avevano figli; i loro figli erano i libri e quel giardino. I miei ricordi legati al giardino hanno inevitabilmente qualcosa di impressionistico. Dal terreno incolto comprato dietro la casa comprata una ventina d’anni prima i Woolf avevano creato un mosaico spettacolare di fiori coloratissimi: cinerarie variopinte, enormi gigli bianchi e arancioni fiammanti, dalie, garofani e un’esplosione e una esplosione di Kniphofia che si mescolavano agli ortaggi, ai cespugli di uva spina, ai peri, ai meli, ai fichi. Nel prato erano sparse alcune vasche con pesci rossi. Oltre al giardino e al frutteto c’erano le arnie e le serre in cui Leonard teneva un’ampia collezione di cactus e piante grasse. 

A differenza dei sontuosi giardini formali di Sissinghurst allestiti da Vita Sackville-West, la carissima amica di virginia, quello dei Woolf era un giardino naturale, squisitamente informale e più spontaneo. Era inoltre un’impresa fondata sulla collaborazione. Benché la forza trainante fosse Leonard, al quale si riconosce giustamente il merito maggiore, è evidente sia dai libri che dai diari di Virginia che giardini e spazi aperti avevano un posto di rilievo nella sua vita. Cecil Woolf, 2013. Brano tratto da ‘Introduzione’ a Il giardino di Virginia Woolf. La Storia del giardino di Monk’s House, Ippocampo.

Il libro si presenta come una sorta di albo illustrato, simile a un album di famiglia, in cui i dettagli tecnico-botanici e i consigli di giardinaggio si mescolano a una storia famigliare, di amore fraterno e coniugale. Quello di Virginia per il parco di Monk’s House pare amore a prima vista. Scrive infatti agli amici non posso descrivertelo, perché devi venire a sederti qui con me sul prato, o a fare una passeggiata nel meleto o a raccogliere: ci sono ciliegie, prugne, pere, fichi, più tutti gli ortaggi. Sarà il vanto dei nostri cuori, sappilo. (p. 20)

Ma non è solo un luogo in cui esercitare la sua competenza botanica, è il suo spazio di felicità, tutto il giorno a togliere erbacce per terminare le aiuole con uno strano entusiasmo che mi ha indotto a dire questa è la felicità, (p. 28), un ritrovo contemplativo da cui prendere ispirazione per i suoi lavori letterari.

La sua scrittura è influenzata dall’osservazione della natura e tutte le vite che abbiamo vissuto e quelle che dobbiamo ancora ancora vivere sono piene di alberi e di foglie che cadono.

Ogni onda del mare ha una luce differente, proprio come la bellezza di chi amiamo

Nel testo Le Onde ad esempio, ma potremmo citare molte altre opere, viene indagata la relazione tra il tempo della natura che ha un andamento ciclico e quello umano, più vicino a una andatura informe. L’intera esistenza di un uomo può corrispondere ad una sola giornata della Terra. E gli elementi naturali si fanno metafora di una intera esistenza.

Ma Virginia non è però la sola scrittrice che può essere considerata una giardiniera. Vita Sackville West, baronessa inglese e donna colta e spregiudicata, teneva una rubrica dedicata al giardinaggio sull’ Observer. Il suo giardino bianco presso il castello di Sissinghurst è ancora oggi il più ammirato in Inghilterra. Proprio nelle lettere di Virginia indirizzate a lei la ragguagliava spesso sul suo giardino, parlandole di progressi botanici e di cambiamenti delle fioriture.

Anche George Sand, che visse gran parte della sua vita nella casa di campagna della nonna a Nohant, nel Berry, si definiva una giardiniera e amava passare il tempo sottratto alla scrittura a catalogare piante e fiori, a comporre erbari. Ne Il mugnaio di Angibault la sua cultura naturistica le servirà per creare le atmosfere del libro, la perfetta descrizione del parco abbandonato descritto nell’opera. In lei infatti il rapporto simbiotico con la natura, e in particolare con il suo giardino, si fuse con la stessa professione di scrittrice.

2 Scrittura di esplorazione, viaggio, avventura, camminate e vite solitarie in luoghi naturali

Se è vero che dobbiamo alla tradizione letteraria angloamericana la creazione del genere nature writing, altrettanto vero è che esistono fulgidi esempi di esploratori e avventurieri che, attraverso le loro annotazioni hanno saputo descrivere un periodo storico di passaggio e una nuova relazione con l’ambiente naturale.

Alexander von Humboldt (1769- 1859) è stato il primo viaggiatore dell’epoca moderna.

Fin dalla mia prima giovinezza ho provato un ardente desiderio di viaggiare in terre lontane e inesplorate. È un sogno questo che caratterizza quell’età in cui la vita ci appare come un orizzonte sconfinato, quando nulla ha per noi maggiore attrattiva dei forti turbamenti dell’anima e dell’immagine dei pericoli concreti.

L’edizione italiana di Viaggio alle regioni equinoziali del Nuovo Continente (Quodlibet/Humboldt) di Von Humboldt, ci fa conoscere un testo innovativo e profondamente moderno. Mentre infatti fino ad allora i viaggi avevano il preciso scopo di scoprire o esplorare qualche terra lontana, qui troviamo qualcosa di diverso. Scritto negli anni tra il 1799 e il 1804 insieme all’amico botanico Aimé Bonpland queste annotazioni si presentano come un diario di viaggio avventuroso, sentimentale, esplorativo sì, ma anche scientifico e letterario. Ha così trasformato l’osservazione scientifica in una narrazione poetica e i suoi scritti hanno ispirato naturalisti e poeti come Goethe Wordsworth, Darwin ma anche politici come Jefferson.

Anche la descrizione che fa di stesso nella sua biografia sorprende, trattandosi di un naturalista, di uno scienziato che però amava l’irrequietezza, scavava vulcani, pagaiava l’Orinoco e correva attraversa la siberia infestata dall’antrace. La sua capacità di connettersi alla natura e di comprenderne l’interconnettività fanno dei suoi testi e delle sue idee la base della moderna percezione della natura. Anche oggi siamo debitori delle sue idee per la moderna percezione della natura.

Bisogna però ammettere che il massimo sviluppo di tale declinazione della nature writing si deve al mondo anglo-americano. Sono infatti inglesi (pensiamo al XVIII sec), ma poi soprattutto americani i grandi esploratori che del XIX sec. Pensiamo a Henry David Thoreau, indicato come il padre della scrittura naturalistica americana, ma anche Ralph Waldo Emerson, John Muir, Aldo Leopold, Rachel Carson. L’influsso del trascendentalismo (di cui ci occuperemo in seguito) pone l’accento sull’individualismo e sulla posizione privilegiata del rapporto con la natura, in contrapposizione allo Stato. Alcuni elementi del panteismo vengono ripresi, sottolineando la volontà di tornare a un rapporto semplice e diretto con la natura, contro ogni formalismo e artificio.

L’effetto che tale movimento del trascendentalismo provoca nella letteratura è il recupero della dimensione naturale dell’esistenza e la possibilità di rintracciare nella Natura stessa la possibilità di un nuovo risveglio. La scoperta del mondo esterno si fa simbolo di una riscoperta di se stessi. Esplora la natura e conosci te stesso rappresentano due aspetti della stessa medaglia, afferma Emerson.

Waldo Emerson, padrespirituale del trascendentalismo, filosofo scrittore e poeta, nei suoi scritti, di cui Nature è manifesto, egli coniuga geologia, botanica e scienza a dimensioni cosmiche ed enigmi cosmici non facilmente percepibili, all’astronomia e all’elettromagnetismo. La conoscenza sensibile è possibile se sorretta dalla visione intellettuale, che nel libro della natura trova il modello esemplare di ogni esperienza estetica possibile. Grazie alla contemplazione estetica della natura, alla fiducia in se stessi, alla percezione del momento presente, al di là del passato, della società e della cultura, è possibile accedere a un più alto livello di consapevolezza e riscoprire la scintilla divina che da sempre anima l’uomo, è possibile cioè il risveglio e il distacco da ciò che formalmente ci informa.

Da tale risveglio e rinnovamento riparte Henry David Thoreau, ma riportando il tutto alla dimensione del quotidiano, al semplice e non alla redenzione eterna.

Walden or Life in the Woods, pubblicata nel 1854, capolavoro indiscusso di Thoresu, venne scritta nell’arco dei due anni che l’autore decise di passare in una capanna da lui costruita tra i boschi di Concord, in un terreno di Emerson. Dall’idealismo passiamo alla vita concreta, all’essenza stessa della realtà che sfugge a definizioni. La parabola delle stagioni vissute a stretto contatto con Walden Pond, il lago di Walden, gli animali, gli alberi, ogni forma naturale divengono il simbolo di un percorso interiore che l’uomo deve compiere per risorgere a nuova Vita, per scoprire il selvaggio e rinascere a Primavera

Ancora una volta, il trascendentalismo coniuga l’ideale con la vita concreta in cui la Natura rappresenta la via privilegiata per l’esperienza della bellezza primigenia. Gli effetti maggiori della sua contemplazione della natura si palesano nella percezione del tempo, che sembra rallentare o addirittura fermarsi. Egli vive dunque nel “fiore del momento presente”, in comunione con la natura.

Elogio poetico alla semplicità

di Bruno Segre

«…diversamente che nel Settecento, il fascino del primitivo non è nell’Ottocento americano soltanto un atteggiamento letterario: è un motivo largamente presente nella coscienza degli uomini comuni. Nelle Foreste del nuovo mondo l’uomo della frontiera, che calza stivale e veste panni di daino, con un coltello di caccia sempre alla cintura, apprende a vivere delle proprie risorse e del proprio coraggio animale, come gli indiani suoi vicini. […] uomini disposti a vivere secondo Natura, cioè ad accettare la terra e l’insieme della vita organica che alla terra si collega, e desiderosi di farsi amico il paesaggio naturale prima che le istituzioni intervengano a impossessarsene e a deformarlo.»

«Walden non si presta a facili definizioni. Si tratta di un testo a metà tra il saggio e il resoconto, che lo scrittore comincia a comporre durante il suo solitario soggiorno. […] L’esperienza di Walden nasce dalla ferma decisione dell’autore d’essere padrone del proprio tempo. Riducendo al minimo le spese, per essere libero di dedicarsi ai suoi libri, allo studio della natura. […] suo credo esistenziale Semplifica. È la proposta di una liberazione della mente, destinata ad avvenire mediante il ritorno a un’esperienza genuina, il cui risultato può avere una portata rivoluzionaria. Può infatti trasformare il nostro modo di affrontare la vita. Con una ragione più libera e più lucida, può aiutarci a riconoscere l’irrazionalità dei nostri impegni quotidiani, dei nostri interessi, dei nostri falsi bisogni, delle leggi che governano la società.

Ancora oggi questa connessione tra dimensione letteraria e scientifico saggistica è forte. Ma mentre all’inizio erano gli scienziati ad avere una cultura letteraria rilevante, oggi è il contrario. Molti scrittori infatti sono storici o giornalisti abituati a far emergere una componente non esclusivamente argomentativa.

3 Riflessione filosofico/meditativa/sociale/giuridica sulla natura e sull’effetto che provoca nell’uomo.

Il Trascendentalismo è una corrente di pensiero e, al contempo, un vero e proprio movimento collettivo nato nella regione del New England intorno ai primi decenni dell’Ottocento.

Ralph Waldo Emerson, nel suo saggio The Trascendentalist, spiega la connessione ideale alla filosofia kantiana, da cui prende il nome, trovando quindi il sincretismo fra trascendentale e immanente riferito alla effettiva realtà delle cose. La spinta iniziale è rintracciabile nel rifiuto del dogmatismo filosofico o religioso, prettamente europeo e nella reazione ideologica nei confronti del razionalismo. La situazione storica è complessa, ma capace di elaborare quell’immaginario controverso che finirà per far parte della cultura americana: il rapporto con la natura, la frontiera, il selvaggio, l’individualismo, la spiritualità, il confronto con i nativi americani, il progresso della civiltà e della tecnologia.

Emerson, filosofo e scrittore statunitense, pone al centro l’individuo che si avvicina alla natura, in una dimensione anti-sociale. «La filosofia di Emerson non si presta a una classificazione formale, poiché egli non aveva un codice, un sistema, un credo […] Ci sono critici che stano ancora tentando di etichettarlo come monista, dualista, panteista, trascendentalista, platonico, neoplatonico, ottimista cronico; ma egli stesso avrebbe rifiutato di essere etichettato o incasellato». P. W. Brown, Emerson’s Philosophy of Aesthetics, in ‘The Journal of Aesthetics and Art Criticism’, vol. 15, n. 3, 1957.

Nel suo saggio più influente Nature,essa, la Natura appunto, si presenta come l’elemento da rispettare e da proteggere con cui l’uomo, artefice delle sue azioni e come essere dipendente da sensazioni ed emozioni in corrispondenza con i ritmi della natura, instaura un rapporto di comprensione e condivisione. Le posizioni filosofiche di Emerson vengono recepite da Thoreau che, come precedentemente sostenuto, dedica la maggior parte dei suoi lavori al rapporto uomo natura, alla convivenza possibile tra forme naturali e solitudine umana. E se Walden: ovvero la vita nei boschi è il suo libro manifesto, un altro testo però può essere considerato archetipo dell’ambientalismo moderno: Camminare. Pur non essendo, almeno secondo la critica più autorevole, un ecologista, Thoureau intuì prima di altri il rischi della tecnologia e della distruzione ambientale.

Vorrei spendere una parola in favore della natura, dell’assoluta libertà e della selvatichezza che vengono opposte a una libertà e a una cultura meramente civili. Considero infatti l’uomo più come abitante, come parte integrante della natura che come membro della società.

Pensato come una sorta di pamphlet, Camminare racconta la meditazione in movimento, la fusione spirituale tra ambiente naturale e animo umano in un cammino diretto all’autoconsapevolezza. La bellezza esterna, selvaggia, è fondamentale per la propria crescita e, andrebbe perciò tutelata. Thoreau ci spiega come diventare camminatori non è semplice, perché si deve essere disposti a partire per un viaggio interiore, dove anche una brevissima distanza diventa un cammino decisivo per chi lo intraprende con consapevolezza.

Nel corso della mia vita ho incontrato non più di una o due persone che comprendessero l’arte del Camminare, ossia di fare passeggiate, che avessero il genio, per così dire, del vagabondare, termine splendidamente tratto da “genti oziose che nel Medioevo percorrevano il paese chiedendo l’elemosina con il pretesto di recarsi à la Sainte Terre”, sin quando i bambini cominciarono a gridare: “Ecco là un Sainte Terre!”, un Vagabondo, un Terra Santa. …Perché ogni vagabondaggio è una sorta di crociata, predicata dal San Pietro l’Eremita che è in noi, per indurci a uscire e riconquistare la Terra Santa dalle mani degli infedeli.

I temi trattati da questi autori giungono, in un modo o nell’altro, anche a noi. Essi assumono connotati differenti, attualizzati, ma riportano nel loro fulcro una matrice comune. Pensiamo all’ecologia sociale, all’etica ambientale, alla filosofia della scienza o all’ecocriticismo, solo per fare alcuni esempi. L’importanza e la pervasività delle questioni ambientali, soprattutto oggi, contribuiscono a fare dell’ecologia il contesto di una grande narrazione collettiva, il cui ruolo centrale è giocato proprio dalla letteratura.

L’Ecocriticism è lo studio della relazione tra la letteratura e l’ambiente fisico. Proprio come la critica femminista esamina il linguaggio e la letteratura da una prospettiva di genere, e la critica marxista porta la consapevolezza dei sistemi di produzione e della classe economica nel suo modo di leggere i testi, così l’Ecocriticism ha un approccio agli studi letterari incentrato sulla Terra. […] Gli ecocritici e i teorici fanno domande come le seguenti: Com’è la natura rappresentata in questo sonetto? Quale ruolo ricopre lo scenario naturale nella trama di questo racconto? I valori espressi in questo dramma sono in accordo con il sapere ecologico? (C. Glotfelty- H. Fromm, The Ecocriticism Reader: Landmarks in ‘Literary Ecology, Athens’ The University of Georgia Press, 1996.)

Arte: Rilke e il paesaggio.

di Flavia Sorato

Rilke è poeta e scrittore di profonda ricettività, una raffinatissima capacità di analisi lo contraddistingue come una delle massime figure liriche, rappresentative del Novecento, sempre volto alla ricerca ed alla riflessione, nella dolorosa consapevolezza data dall’incomprensibilità degli elementi della vita, che però coabita e si accompagna all’intensa spinta interiore volta alla comprensione del tutto: un’intelligenza, la sua, che riporta ad unione il particolare e l’universale, ciò che è racchiuso nell’animo ed il mondo fuori.

Nella raccolta Del paesaggio ed altri scritti (Adelphi), sono stati riuniti più testi: la narrazione è data da esperienze, sogni, luoghi, idee sull’arte, ma protagonista è di certo l’elemento naturale ed il racconto dello spazio. Così sono rinvenibili importanti meditazioni in lettere, memorie, impressioni di viaggio: molte di queste considerazioni restituiscono un suo modo di vedere e vivere sì lo spazio interiore, ma anche quello esteriore, il paesaggio.

«Poteva essere trascorso poco più di un anno da quando nel giardino del castello, che lungo un pendio abbastanza ripido scendeva fino al mare, gli era accaduto un fatto meraviglioso. Camminava avanti e indietro, come era sua abitudine, con un libro, quando si trovò a poggiare le spalle contro la forcella di un arbusto; in tale posizione si sentì coì gradevolmente sostenuto e felicemente riposato che rimase immobile, senza leggere, immerso nella natura, in una contemplazione quasi inconsapevole.»

Centrale in questa composita narrazione, però, è lo scritto in cui viene trattato il tema della pittura di paesaggio e della storia della sua rappresentazione. Difficile è tradurlo, comprenderlo, l’ambiente, elemento a noi esterno ma in cui allo stesso tempo si è immersi. Rilke dedica riflessioni all’arte di Théodore Rosseau e poi di Millet: i suoi contadini, che abitano le campagne, sono figure che occupano lo spazio pittorico come segni e valori paesistici, cosicché alla solitudine dell’uomo corrisponda la pianura, ed i suoi gesti al cielo. Ai sui romantici tedeschi, per poi ricordare la saggia consapevolezza espressa da Constable, che aveva ben compreso quanto la natura fosse la chiave per avviarsi alla scoperta del mondo, così vasto nella sua mutevolezza e diversità […] E indaga poi il gruppo di Worpswede, in Germania, che aspirava a riprendere il lavoro della scuola di Barbizon, fatto di tecnica en plein air e di vita condotta nella natura, alla ricerca di spazi non contaminati dalla società. Come la storia e l’anima di un luogo siano narrabili attraverso gli elementi naturali che lo compongono ed attorniano, è un qualcosa su cui lo scrittore ci illumina in poche righe, raccontando potentemente aspetto e spirito del paese suddetto: «Worpswede è strano, strade e corsi d’acqua si perdono nelle profondità dell’orizzonte. Là comincia un cielo di una mutevolezza e grandezza indescrivibili. Si rispecchia su ogni foglia: tutte le cose sembrano occuparsi di esso, che è dappertutto. E dappertutto è il mare. Non più quello che secoli fa qui salì e si ritirò, quando la groppa sabbiosa su cui è posta Worpswede non era che una duna in mezzo alle altre. Le cose non lo sanno dimenticare. Il grande fragore che colma gli antichi pini del colle sembra sia il suo, e il vento, il vasto, possente vento reca il suo aroma. Il mare è la storia di questo paese, che non ha quasi altro passato».

Poesia: Pasolini e la forma della natura

di Stefania Parigi

La letteratura e il cinema di Pasolini sono attraversati dall’esaltazione mitica delle forme naturali, degli elementi primari della vita: aria, terra, acqua. La natura appare come una sorta di mistero religioso e carnale. Nei versi friulani il corpo del poeta e dei suoi personaggi è immerso in un paesaggio fatto principalmente di cielo e di terra, di acque fluviali e piovane, di odore dell’erba, di luce che piove dal cielo, di aria che avvolge, di sole che illumina e arde, di colori e di fiori. È una sorta di Eden primitivo in cui la vita e la morte sono strettamente legate e ripetono il ciclo delle stagioni, il ritmo delle albe e dei tramonti.  La natura è vista come una forma del mondo (La nuova gioventù, p. 182), che appartiene all’arcaico mondo contadino, caratterizzato da un eterno ritorno dell’identico, in cui i figli ripetono le sembianze dei padri e ciò che è morto rinasce costantemente, come il seme piantato nella terra. In questo universo, scrive Pasolini, il tempo non si muove (Ibidem), ovvero il tempo non è quello lineare della storia e del progresso, ma quello del ciclo naturale che si ripete all’infinito.

Il paesaggio friulano rappresenta una sorta di Paradiso che già reca in sé i segni della perdita: ciò che appartiene alla vita è contemporaneamente proiettato nella morte e scivola verso il nulla, verso il mistero delle origini e della fine. Proprio questo continuo senso del nulla stimola quello che Franco Fortini (F. Fortini, Attraverso Pasolini, p. 155) ha definito il più floreale manierismo funerario di Pasolini: il Friuli è rappresentato come un giardino pieno di odori e di colori; il colore predominante è l’azzurro del cielo; il fiore prediletto la viola e il mese l’aprile, a cui è legata anche una delle sue poesie più belle, scritta molti anni dopo il periodo friulano e intitolata Il glicine (aprile 1960, compresa nella raccolta La religione del mio tempo). Pasolini affida a questo ‘rampicante’ il compito di rappresentare la forza e insieme la caducità della natura, la sensualità dell’esistenza, l’immersione del corpo nella natura e la frattura con il mondo della storia:

Tra il corpo e la storia c’è questa / musicalità che stona, / stupenda, in cui ciò ch’è finito / e ciò che comincia è uguale, e resta / tale nei secoli: dato dell’esistenza.

L’aprile è una figura del ritorno, della nascita connessa alla morte, che rimanda al culto dell’alba e della primavera. Straordinarie appaiono a mio giudizio le sintonie tra Il glicine e i primi famosissimi versi della Terra desolata (The Waste Land, 1922) di Thomas S. Eliot:

April is the cruellest month, breeding /Lilacs out of the dead land, mixing /Memory and desire, stirring /Dull roots with spring rain.

Il mito di aprile evoca una sensualità funerea della natura, in cui il pieno è legato al vuoto, la luce all’ombra. In La religione del mio tempo (1957-59) Pasolini scrive:

Non c’è più niente / oltre la natura – in cui del resto è effuso / solo il fascino della morte – niente / di questo mondo umano che io ami. (P.P. Pasolini, Tutte le poesie, tomo I, p. 985).

Conclusione

Per concludere vorremo riportare la poesia di Lord Byron L’incanto dei boschi senza sentiero, come una sorta di augurio e di manifesto per la nostra libertà.

Vi è un incanto nei boschi senza sentiero.
Vi è un’estasi sulla spiaggia solitaria.
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra
in riva alle acque del mare profondo

e vi è un’armonia nel frangersi delle onde.
Non amo meno gli uomini, ma più la natura
e in questi miei colloqui con lei io mi libero
da tutto quello che sono e da quello che ero prima,
per confondermi con l’universo,
e sento ciò che non so esprimere
e che pure non so del tutto nascondere.

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