La fotografia di viaggio

Per me, fotografia è un altro modo per dire viaggio.

Christopher Anderson

La fotografia di viaggio rappresenta un genere fotografico incentrato sulla documentazione di un territorio, di una cultura, di un paese e dei costumi dei popoli che a esso si riferiscono. 

La Photographic Society of America la definisce formalmente come una immagine che: esprime il sentimento di un tempo e di un luogo, ritrae una terra, la sua gente o una cultura nel suo stato naturale, e che non ha limitazioni geografiche.

In realtà la storia di questo genere fotografico risale agli albori stessi della nascita della fotografia legandosi indissolubilmente con l’evolversi della ricerca scientifica e con i cambiamenti dei costumi nel tempo. Tecnica e moda incidono così sull’aspetto principale della fotografia di viaggio, creando intorno ad essa una allure del tutto particolare.

L’inizio

Nel 1826 Joseph Nicephore Niepce ci regala la prima fotografia ancora conservata, mentre nel 1839 viene sviluppata la Dagherrotipia, ovvero il procedimento per lo sviluppo dell’immagine su una lastra di rame su cui veniva applicato argento elettroliticamente, per poi esporla ai vapori di iodio per circa 10-15 minuti, infine ai vapori di mercurio per svilupparla. Pur essendo un procedimento lungo, complesso, e poco salutare, permise a Daguerre, il suo inventore, di pensare di uscire dagli studi fotografici per avventurarsi prima nelle strade della sua città. (A questi primi esperimenti risalgono le origini della fotografia di viaggio, quando tali uomini si inoltrarono sulla Senna e a Pont Neuf per fotografare. La più antica fotografia di viaggio sopravvissuta è del 1826, ritrae la scena di una strada a Saint Loup de Varenne, in Francia, ad opera di Joseph Nicephore Niepce). Possiamo perciò utilizzare proprio il 1839 come data di inizio della fotografia di viaggio, ovvero di quel suo desiderio di conoscenza e avventura, di sfondamento di limiti, geografici e non, conosciuti.

Daguerre, Boulevard du Temple di Parigi.

Il problema pratico, posto in evidenza dallo stesso Daguerre, era però riuscire fattivamente a portarsi in viaggio una attrezzatura tanto pesante e difficile da gestire. Per non parlare poi della camera oscura e del materiale necessario allo sviluppo delle immagini (se pensiamo alla stampa dell’immagine tramite collodio umido era possibile solo se fatta immediatamente). I primi fotografi che uscivano dai loro studi dovevano allestire dei piccoli laboratori chimici, eppure tutto ciò non arrestò questi uomini straordinari, conoscitori di procedimenti alchemici e scientifici, artisti con conoscenze di tecniche pittoriche e prospettiche, ma al contempo viaggiatori e avventurieri.

La prima fotografia aerea fu scattata a Boston. A bordo di una mongolfiera, a circa 600mt di altezza, nel 1860 il fotografo James Wallace Black riuscì ad immortalare Boston “come la vedono l’Aquila e l’Oca Selvaggia”. Fu così che venne realizzata la prima fotografia aerea della storia.

Grand Tour

Al fermento scientifico del tempo si lega però un altro fenomeno culturale che segnerà lo sviluppo della fotografia. Come non pensare ad esempio ai primi dagherrotipi di fotografi stranieri che, già verso la metà del XIX secolo, immortalarono Roma antica e i ruderi di molte città italiane. La ragione è da rintracciare nei famosi Grand Tour, ovvero i viaggi nell’Europa continentale intrapresi da ricchi aristocratici europei a patire dal XVII sec. per il perfezionamento della loro cultura. Di solito si trattava di giovani alto-borghesi inglesi, francesi e tedeschi che, attraverso queste esperienze cominciavano a creare la loro rete di conoscenze per il commercio, imparavano nuove lingue e usanze e soprattutto scoprivano con mano, non più solo sui testi, le meraviglie dell’antichità.

I diari di viaggio del tempo non contenevano solo cartine ma anche disegni e acquerelli. Tali bozzetti, testimonianza del viaggio, vengono pian piano sostituiti da foto, illustrazioni fotografiche di luoghi e monumenti. Tale fenomeno non fece altro che amplificare la fascinazione per luoghi poco battuti, spingendo il desiderio dei viaggiatori verso luoghi sempre più esotici. Dalla fine dell’Ottocento infatti, le destinazioni predilette erano luoghi più lontani e costosi come l’Egitto, il Medio Oriente, l’antica Costantinopoli. Comparvero le prime foto delle piramidi egizie, del Nilo, della grande Muraglia.

Il compito di testimonianza e documentazione di ricerche scientifiche e luoghi sconosciuti, che fino a quel momento era spettato alla pittura, ora passa alla fotografia attraverso le tecniche di calotipia e della dagherrotipia, in grado di offrire una realtà oggettiva, non modificabile o suscettibile di variazione da parte dell’artista. La diatriba sulla superiorità o meno della pittura alla fotografia verrà ripresa, da un punto di vista filosofico, da Roland Barthes che rivendica nella fotografia, rispetto alla pittura, un infra-sapere, la possibilità cioè di accedere a qualcosa. «… niente differenzia, eideticamente, una fotografia, per quanto realistica sia, da un dipinto. Il ‘pitturalismo’ è solo una esagerazione di ciò che la Foto pensa di se stessa. Tuttavia non è attraverso la Pittura che la Fotografia perviene all’arte, bensì attraverso il Teatro.» (R. Barthes, La camera chiara, Einaudi, Milano 2003 p. 32)

 
Veduta della Gran Madre di Dio, Enrico Jest, primo dagherrotipo italiano
certificato; Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna.
Costantinopoli 1876

Adolphe Goupil, editore e mercante d’arte, che all’inizio trattava incisioni e litografie d’arte antica nonché riproduzioni dei grandi maestri pittori del Salon, comprese subito il potenziale economico del commercio di foto e dal 1853 cominciò a vendere immagini di luoghi lontani. In Italia, a Firenze, i fratelli Alinari aprirono il loro laboratorio fotografico dove raccolsero e documentarono monumenti e città, divenendo, ad oggi, il più grande e antico archivio fotografico dal 1852.

Se tali viaggi erano prerogativa di una ristretta élite di viaggiatori, proprio per loro nacquero i primi servizi di viaggio. Nelle più antiche guide Michelin, risalenti addirittura al 1898, erano segnalati quegli hotel in grado di soddisfare le esigenze di questi avventurieri, come ad esempio la presenza di camere oscure messe a disposizione dall’hotel. In Italia il Grand Hotel et de Milan, (edificio del 1863, in via Manzoni a Milano) offriva, oltre il sevizio postele e telegrafico, proprio la possibilità di farsi allestire una camera oscura. Famosa rimase la stanza 418 in cui Medardo Rosso, lo scultore appassionato di fotografia al punto di definire il suo lavoro scrittura di luce, usò tale stanza e proprio cadendogli dalle mani una lastra per lo sviluppo si ammalò.

In parallelo al cambio di mentalità dell’epoca, cambia però il senso stesso della fotografia. La sua funzione documentaristica di luoghi e tradizioni esotiche viene minata dall’interno, cominciando a crearsi la moda del ricordo di viaggio.  

1869

A questo punto la foto di viaggio si intreccia con un’altra storia fantastica, ovvero quella delle cartoline. Nel 1869 infatti le poste austriache danno il via al servizio di posta celere, alleggerito anche nella forma e le prime cartoline corredate di disegni vengono pian piano soppiantate da foto. Ai piedi della Tour Effeil c’era un piccolo ufficio postale in cui si potevano mandare foto con la riproduzione fotografica della famosa Tour Effeil direttamente sul posto.

Basti pensare che qualche anno dopo, nel 1910, le poste francesi spedirono 123 milioni di cartoline in tutto il mondo.

1888

Avevamo già premesso che tutta la storia della fotografia di viaggio poggia sull’evoluzione dei costumi e della ricerca scientifica. Il momento di svolta di tutta la fotografia ci fa nel 1888, quando George Eastman, fondatore della Kodak, inventò la fotocamera con la pellicola. Egli intuì il potenziale di un apparecchio più agevole e a basso costo.

La Kodak modello1 a box: una fotocamera priva di regolazione e dotata di pulsante a scatto, del mirino per l’inquadratura e di un sistema di avanzamento della pellicola. Anche le dimensioni erano ultra compatte per il tempo.

Da questo momento in poi le foto di viaggio smisero di essere prerogativa esclusiva degli avventurieri e divennero il sogno di ogni tipo di turista.

Ma il 1888 è un anno importante per un altro motivo. Segna infatti la nascita della National Geographic. Seppur lo scopo fosse quello di diffondere conoscenze geografiche, si presentava infatti come una rivista di carattere scientifico, le illustrazioni che all’inizio erano realizzate con disegni a colori vengono, a loro volta, sostituite dalla fotografia. Nasce da questo momento un sodalizio artistico così potente da potersi quasi definire un genere a parte.

Nel 1910 vengono pubblicate ben 24 pagine di fotografie che ritraevano il Giappone e la Corea.

…aver visto molto e non avere niente, è avere gli occhi ricchi e le mani povere. 

William Shakespeare

La domanda che ci facciamo è se la foto di viaggio sia ancora capace di trattenere in se stessa quella allure iniziale, quel gusto per l’esotico che pare, anche in correlazione con la nascita del digitale e delle riproduzione immediata di scatti, essersi esautorata. Lo snaturarsi iniziale della fotografia di viaggio ha però creato un mondo alternativo, una capacità di condivisione prima inimmaginabile. L’accessibilità al sapere e alla conoscenza lascia nelle mani dell’individuo la possibilità altissima di conoscere mondi o quella, più banale, di fotografarli solamente.

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