a cura di Gilda Y. Diotallevi
Presso il Palazzo della Civiltà Italiana di Roma, fino al I Ottobre 2023, la mostra Arnaldo Pomodoro: il Grande teatro della civiltà, a cura di Lorenzo Respi e Andrea Viliani. La Fondazione Arnaldo Pomodoro, in collaborazione con Fendi, presenta una selezione di opere dell’artista che procedono dalla fine degli anni cinquanta a oggi, insieme a materiali documentari.
Scultura e scrittura
C’è una narrativa intrinseca nel semplice gesto di scrivere, come il quello di scolpire o modellare.
Barbara Chase-Riboud
Esiste una connessione tra scultura e scrittura che in Arnaldo Pomodoro diviene evidente, esternalizzata.
E se essa è sottesa a livello astratto, di ispirazione all’atto, nel caso di Pomodoro si concretizza in alcune opere. «Ho sempre subito un grande fascino per tutti i segni, soprattutto quelli arcaici. Anche la scrittura mi ha attratto, dai segni primordiali nelle grotte, alle tavolette degli Ittiti e dei Sumeri, tanto che ho dedicato una mia opera, Ingresso nel labirinto, a Gilgamesh, che è il primo (2000 a.c. circa) grande testo poetico e allegorico sull’esperienza umana. Le impronte che scavo, irregolari o fitte, nella materia artistica, i cunei, le trafitture, i fili, gli strappi, mi vengono inizialmente da certe civiltà arcaiche.» (Cfr. Nel cuore della materia. Una conversazione con Arnaldo Pomodoro, a cura di Sandro Pamiggiani, Reggio Emilia, 24 giugno 2006)
Ma è un’altra opera, Continuum, che si fa manifesto di questa arcaica e primordiale trasfigurazione del segno nella scultura.



Lo stesso Pomodoro attribuisce a quest’opera del 2010 un valore che potremmo definire antologico. In essa infatti «compaiono le grafie semplificate degli inizi: volevo tornare a occupare interamente una superficie grandiosa con i miei primi segni. Riprendendo e approfondendo le origini del mio lavoro, le prime esperienze di incisione su piccole tavole, ho creato una sorta di tracciato infinito con i codici e l’inventario di tutta la mia ‘scrittura’.»
Dalla fascinazione dello sculture per i segni infatti, scaturisce la capacità di renderli affini a se stesso e in tal modo, la possibilità di riplasmarli in uno spazio e attraverso una materialità differente. Rendendo affini a sé tutti i segni dell’uomo, «soprattutto quelli arcaici, così semplici e insieme così intensi, che tramandano memorie e racconti: dai graffiti primordiali nelle grotte ai primi tracciati di scrittura alfabetica che si ritrovano nelle tavolette degli Ittiti, dei sumeri, nei papiri degli Egizi», Pomodoro trova il proprio linguaggio, o come scriverà C.G. Argan, una illeggibile lingua perduta, che egli identifica nella continuità appunto con le sue prime opere e con quelle ancora a venire.
Ma la continuità appartiene soprattutto alla scrittura, «E la scrittura, di per sé, è continua: una riga dopo l’altra, sia che si tratti di scritture alfabetiche, che di scritture ideografiche.»
Nella serie dei Continuum compaiono le mie grafie semplificate degli inizi, nate da quelle suggestioni: ho voluto occupare interamente una superficie grandiosa con i miei primi segni. Riprendendo e approfondendo le origini del mio lavoro – le prime esperienze di incisione su piccole tavolette –, ho creato una sorta di tracciato infinito con i codici e l’inventario di tutta la mia “scrittura”, con valore di ritrovamento e anche di espansione.
Scrittura segnica di natura plastica, che rimanda a un passato comune, ma di cui si è perduta la precisa provenienza. Come una lingua che non ci appare più, dimenticata, dimentica, sconosciuta ma con cui percepiamo inconsciamente una antica connessione. Qualcosa di misterioso e ancestrale che passa attraverso il segno e lo spazio, ci lega a un tempo poco definito.
«Dei segni plastici di Pomodoro è stato anche detto che sono come un alfabeto cuneiforme. Sono piuttosto un codice di cui è perduta la cifra o che si riferisce ad una lingua sconosciuta di cui peraltro, nei documenti epigrafici che ci vengono dati, possiamo dalla frequenza e dalla distribuzione dei segni ricostruire il ritmo. La pura visività, perfino la tangibilità dei messaggi sembrano suggellare il loro mutismo. L’immagine plastica, infine, nasce al termine della distinzione di spazio e di tempo, dove alla loro scansione o suddivisione succede la loro assoluta continuità.
Continuità appunto, è il nome del movimento a cui Arnaldo Pomodoro, il fratello Giò e alcuni altri artisti diedero vita nel 1961.» (G. C. Argan, Arnaldo Pomodoro: il tempo e la memoria, in ‘Maestri contemporanei Arnaldo Pomodoro’, Edizioni Vanessa, Milano, 1978, pp. 3-4)



Arnaldo Pomodoro in molte occasioni ritorna sul legame tra scrittura e scultura.
In una mostra a San Francisco del 1985 intitolata Intimations of Egypt, in cui realizza Cippi e Papiri, riprende il lavoro Fogli del 1966, dove un foglio appunto viene dilatato e ingrandito. «L’idea portante è il foglio […]: la memoria antropologica convive col naturale, e il tecnologico affianca l’elemento arcaico.» «Mentre realizzavo il Cippo I mi sono accorto con sorpresa che una lunga spaccatura tracciata su una delle facce della scultura somigliava al Nilo visto in una carta geografica.»
Ma anche quando descrive il suo modus operandi, «Quando lavoro a un libro d’arte mi confronto continuamente con il testo in modo che si crei unità tra scrittura e segno.»
«Le rocce e le parole contengono un linguaggio che segue una sintassi di fratture e spaccature. Guardando una qualsiasi parola di media lunghezza, la si vedrà aprirsi in una serie di faglie, in un terreno di particelle ognuna contenente il proprio vuoto.» (Cfr. R. Smithson, A Sedimentation of the Mind: Earth Projects)



Tracce I- VII (1998)
Il tempo e lo spazio della memoria
Scrittura o scultura, è sempre memoria.
Barbara Chase-Riboud
In altre parole il tempo interviene nella relazione tra segni, scardinando la linearità di passato e presente, alternando calligrafie, arcaiche scritture e fratture delle materie in vista della riassunzione del tutto in un ritmo ben preciso.
«Pertanto ritmo e armonia (un ritmo musicale su un insolito spartito) convivono magicamente nell’alternanza critica delle incisioni e dei rilievi di un inesauribile racconto. Afferma Pomodoro di essere rimasto affascinato dai geroglifici, di aver scoperto uno straordinario rapporto tra il segno e una forma magmatica, in divenire, di aver sentito la necessità anche fisica di incidere qualcosa nella materia. Allora tra l’autore e l’opera che sta nascendo inizia la lotta, la battaglia non solo nei confronti della materia ma soprattutto tra l’idea e la sua adeguata realizzazione.» (Cfr. Luciano Caprile, Arnaldo Pomodoro: viaggio nel labirinto dell’esistenza)
E la realizzazione è temporale ma anzitutto spaziale. Lo stesso Pomodoro afferma infatti che «La scultura, quando trasforma il luogo in cui è posta, ha veramente una valenza testimoniale del proprio tempo, riesce ad improntare di sé un contesto, per arricchirlo di ulteriori stratificazioni di memoria»
«Guardando indietro, ora, ci rendiamo conto che il tema dominante della scultura di Pomodoro è il tempo, umanamente e umanisticamente inteso come memoria. […] Per origine e per tradizione la scultura è arte dei sepolcri; per la sua perennità è la custode della memoria, l’immagine plastica della storia e come tale si pone alla soglia tra lo spazio della vita e il tempo senza limite» (G. C. Argan, Arnaldo Pomodoro: il tempo e la memoria, in ‘Maestri contemporanei Arnaldo Pomodoro’, Edizioni Vanessa, Milano, 1978, pp. 3-4)


Grande tavola della memoria (1959-1965)
Nelle sue opere non c’è un racconto, ma la metafisica stessa della memoria che, a sula volta, torna a tradursi in segno. Come la scrittura ha bisogno della sua superficie, così la scultura di Pomodoro assorbe il ritmo del tempo e lo esprime in termini di spazio.


Rotativa di Babilonia (1991); Movimento in piena aria e nel profondo (1996-1997)


Forme del mito (1983): La macchina (Egisto), Il Potere (Agamennone).
Ritratto conclusivo
Per concludere riportiamo un ritratto dell’autore di Luciano Caprile, capace di riassumere perfettamente le connessioni di cui abbiamo parlato e che le opere di Arnaldo Pomodoro hanno messo in luce.
Tutto in Pomodoro pare ineccepibile e precario, tutto sembra sul punto di rivelarsi o di sgretolarsi nell’oblio definitivo. Il limite è determinato anche da chi si accosta alle sue opere con animo sgombro da ogni preconcetto o da ogni orgoglio cognitivo e da chi si ammanta invece della presunzione del sapere: il primo atteggiamento può favorire un viaggio verso una maggior conoscenza soprattutto di sé; il secondo può determinare la vanificazione dell’approccio, come bussare a una porta che non concede ovvie chiavi d’accesso. La maggior conoscenza può scaturire da quella “scrittura” scavata nel bronzo, suscitata dall’inconscio di Arnaldo e dall’inconscio di ciascuno di noi nella continua attesa e nel riflesso timore di inquietanti risposte esistenziali. (Luciano Caprile, Arnaldo Pomodoro: viaggio nel labirinto dell’esistenza)

Fiori vivi ringrazia:
Fondazione Arnaldo Pomodoro https://www.fondazionearnaldopomodoro.it/
FENDI, https://www.fendi.com/ae-en/ che ha prodotto e organizzato la mostra presso il Palazzo della Civiltà Italiana, Roma
Andrea Loiaconi, per le immagini della mostra Arnaldo Pomodoro. Il Grande teatro delle civiltà
Fondazione Palazzo Magnani https://www.palazzomagnani.it/