ESPLORAZIONI

di Flavia Sorato

#Introduzione

Scesi di nascosto, rotolai per la scala vietata. Caddi. Quando aprii gli occhi, vidi l’Aleph. “L’Aleph”, ripetei. Sì, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli.
Jorge Luis Borges

Le storie che mi hanno cresciuta, quelle che davvero mi hanno formata in senso più profondo, sono quasi tutti racconti di viaggio.

Avvertendo da sempre quella tensione melvilliana per le cose lontane, ho prediletto itinerari immaginifici, riconoscendo una possibile via di ricerca in quella dimensione che separa, legandoli, il qui e l’altrove. Così i mari proibiti e le coste barbare di Melville sono stati per me i romanzi d’avventura, i miti e le fiabe, gli atlanti celesti, il telescopio, vero grande tesoro delle notti, e di certo anche gli studi storico-artistici e letterari che mi hanno strutturata, perché Matisse coglie una sostanza nel definire l’artista un esploratore – Emerson descrive così lo scrittore –.

Tutto questo è stato anche una guida.


«Ho ritrovato l’isola Raiatea
remando a tutto spiano!
Verso Ta’uraua hau papa,
la più brillante di tutte!
Ed ecco Matari’i,
le Pleiadi dai piccoli occhi,
il punto di riferimento di noi Maohi
che mi riporta a casa».

Come le stelle per chi naviga.

La rubrica “Esplorazioni” si fonda su queste necessità del ri-cercare, approdare e ripartire.

I Viaggi possibili sono tanti e le circostanze indicano, così, il bisogno di definire e segnare delle tappe. Spazi-tempi in cui sostare, per poi incamminarsi ancora. Anche lungo e oltre linee di confine, oltrepassando soglie e ponti, tracciando direzioni. È possibile così spostarsi di frontiera in frontiera, operando sconfinamenti, altresì disciplinari, come quelli tra Filosofia e Scienza, o tra queste e l’Arte.

Le riflessioni si accosteranno a dimensioni concettuali, nel tentativo di creare una mappatura attraverso parole-chiave come Viaggio, Avventura, Scoperta, Sorte, Distanza, Durata, Istante, Kairòs, Meraviglia, quello stupore, fondamento stesso della filosofia: «È proprio del filosofo questo che tu provi, di esser pieno di meraviglia; né altro cominciamento ha il filosofare che questo» (Platone, Teeteto); «Infatti gli uomini hanno iniziato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia» (Aristotele, Metafisica).

Si procederà, inoltre, anche tra dualismi fondamentali quali finito/infinito, limitato/illimitato, estensione/divisione, vicino/lontano, noto/ignoto. Nella sua Filosofia del viaggio Onfray narra delle due figure, il contadino e il pastore, simboli di un diverso modo di stare al mondo: il vivere sedentario e vagabondo. 

A questi passaggi si aggiungeranno poi quelli segnati dalle immagini, come varchi d’accesso a un sapere che, metaforicamente viaggio, non concepisce solo un oggetto da raggiungere, una meta, ma è fatto delle vie intraprese per conseguirlo. «La via immaginale alla conoscenza non sfocia in un sapere che avremmo potuto conquistare per altre vie, aniconiche, ma costituisce una verità che viene all’essere solo e per la prima volta in quel percorso, in quanto immagine». (Teorie dell’immagine. Il dibattito contemporaneo)

Nell’ambito di un settore di ricerca detto visual culture, lo studioso americano James Elkins, in una riflessione tratta da una vasta ricognizione sul mondo delle immagini (The Domain of Images), decide di prendere in esame un certo campo di oggetti, che potremmo definire “non artistici”. Siamo abituati a parlare d’arte, a pensarla, sulla base di certe visioni (occidentali) estetiche, simboliche, tecniche – Gombrich ricorderebbe che non esiste un’Arte con la A maiuscola, una parola che assume significati molto diversi in base a tempo e luogo –. Esistono invero mondi di eterogenee rappresentazioni: tavole e fotografie astronomiche, carte geografiche, schemi grafici e diagrammi, immagini scientifiche di diversa natura. Non si tratta solo di materiale informativo o di supporto a discipline di vario tipo, ma di oggetti estetici che generano senso e conoscenza. Hanno una dimensione complessa, fatta di segni e simboli, densa di componenti difficilmente decifrabili, ma anche per questo misteriose. Una mappa, reale o fantasiosa che sia, esercita fascino in tal senso. Così asserisce Stevenson per descriverne la misura d’incanto: «Mi dicono che ci siano persone a cui non interessano le mappe, ma trovo difficile crederlo».

Il corpo fa quindi provvista d’immagini che compongono un’iconografia personale, e si muove al richiamo di luoghi che attraggono la nostra indole e rimandano a tutto ciò che ci ha influenzati e colpiti sensorialmente dalla nascita. (Onfray)

Così Kipling nei suoi viaggi fa esperienza di vite e luoghi, accumulando ricchezze d’immagini ed odori. Il mare che desta i sensi, la vista dei blu oceanici, i canti dei marinai, i profumi inattesi che d’improvviso ricordano e riportano a casa, quel sentore di ginestra o quel «buon odore nell’aria – un odore di fumo ed ortiche schiacciate – che fa venire un groppo in gola all’uomo che raramente torna al suo paese…».

In molti dei suoi racconti rievoca particolari e sfumature di regioni del mondo sognate e vissute: l’atmosfera leggera sulla prateria americana; i venti pieni di sale che portano flutti ed acque lontane ad un inglese sul London Bridge; o l’aria d’Oriente, intrisa di profumi edenici ed odori aggressivi, gelsomino, terra, polvere, cibi cotti, bestiame… tutto si mischia e diventa memoria.

Memoria che riporta a un tempo.

Il Tempo – la percezione di questa dimensione, il trascorrere degli eventi, e cosa questo significhi per la fisica moderna –, sarà un’ulteriore e fondamentale regione da esplorare.  

Dei piani della temporalità scrive Jankélévitch in L’avventura, la noia, la serietà.

Delle tre dimensioni che prende in esame, quella dell’Avventura è trattata come un’esperienza dal carattere improvviso, indeterminato in quanto enigmatico ambito dei possibili, e anche ambigua, poiché la sua trama, non potendo sapere l’uomo cosa accadrà, si compone d’incerto: «Ma quale sarà questo futuro? Qualis? Di che genere? Sarà giorno di festa o giorno di lutto?». L’avventura si pone così sul piano di una temporalità futura, ma non lontana, bensì prossima.  

L’affiorare dell’avvenire.

Esplorare è, così, un essere nel mondo, dell’uomo che indaga l’universo, anche varcando spazialmente il perimetro dell’ecumene per arrivare dove prima era stato affermato un termine.

Oggi questo sconfinare si compie a distanze un tempo inimmaginabili. Astronauti e satelliti lontani ci mostrano il nostro pianeta e il cosmo, riportando, qui e ora, presenze remote.

Ma che ci si muova da abissi a vette, tra cose nascoste e terrifiche, isole, città scomparse e invisibili, dentro labirinti, nel silenzio di deserti, tra più livelli di vita, Esplorazioni vorrà essere molte vie lungo cui camminare.

Come scrive John Muir: «Uscii per una passeggiata e decisi di rimanere fuori fino al tramonto, perché mi resi conto che uscire, in definitiva, era come entrare».

Bibliografia di riferimento

H. BELTING, Antropologia delle immagini, Carocci, Roma 2013.
H. BERGSON, a cura di F. Polidori, L’evoluzione creatrice, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.
H. BERGSON, a cura di Adriano Pessina, Materia e memoria, Laterza, Bari 2009.
J.L. BORGES, L’Aleph, Adelphi, Milano 1998.
G. DELEUZE, Immagine-Movimento. Cinema 1, Einaudi, Torino 2016.
G. DELEUZE Immagine-Tempo. Cinema 2, Einaudi, Torino 2017.
J. ELKINS, The Domain of Images, Cornell University Press, Ithaca NY 2011.
P. FISHMANN, Racconti dei saggi che leggono le stelle, L’Ippocampo, Milano 2011.
V. JANKÉLÉVITCH, L’avventura, la noia, la serietà, Einaudi, Torino 2018.
H.L. JONES (a cura di), Le terre immaginate. Un atlante dei viaggi letterari, Salani, Milano 2019.
R. KIPLING, GRAZIELLA MARTINA (a cura di), I profumi dei viaggi, Ibis, Pavia 2000.
M. ONFRAY, Filosofa del viaggio, Ponte alle Grazie, Milano 2016.
A. PINOTTI, A. SOMAINI (a cura di), Teorie dell’immagine. Il dibattito contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009.
E. VITTORINI, Americana, Bompiani, Milano 2008.

Il sacrilegio della navigazione

di Gilda Diotallevi

La filosofia, nata in Asia Minore nel VI secolo a.C. sulle rive del Mar Egeo, parla, in un modo o nell’altro, il linguaggio del mare. Il suo destino, scritto sotto il segno dell’acqua, influenzerà infatti la sua stessa natura, riflettendosi nella teorizzazione, nella prassi così come nella sua semantica rilevante.

La ricerca del senso aleggia nelle metafore del viaggio, tantissime in tal senso, accomunate tutte dal desiderio di spingersi oltre il conosciuto, al di là del conoscibile. La terra ferma diviene il luogo da abbandonare, la riva da cui partire nel tentativo di solcare mari e pensieri nuovi.

Eppure ogni esplorazione, per quanto bramata dall’uomo, rimane sempre turbata da una certa inquietudine difficilmente decifrabile. Testimonianza ne è la nostra tradizione poetico-culturale la cui semantica non si immunizza dal retaggio di una colpa che, a dispetto del più intuitivo peccato originale, attiene storicamente al sacrilegio commesso nell’aver profanato luoghi sacri.

Il mare trattiene infatti tutta l’ambivalenza della scoperta e della perdita, esso, secondo Omero, è sempre terribile, duro, grande abisso, livido, instancabile e il suo pericolo più grande è rappresentato dal rischio del suo attraversamento, corrispondente, in molti casi, al rischio di una profanazione. «Ah! […] i mortali[…] si procurano dolori oltre il segno» (Omero, Odissea, Proemio). L’uomo vuole mettersi in mare e la sua navigazione in direzione dell’ignoto lo condurrà verso un disvelamento ma gli procurerà, allo stesso tempo, un senso di sradicamento.  Ed ecco che l’eroe per eccellenza del mediterraneo, Ulisse, paragona le onde del mare alla guerra, entrambe capaci di portare dolore, entrambe mobili e malferme.

In realtà solo la rilettura moderna di questo mito ha reso Ulisse metafora della sete di conoscenza, pronto a sfidare con consapevolezza ciò che gli dei proibiscono. Egli infatti, secondo una precisa lettura esegetica dei testi, «supera di senno i mortali» e si distingue dagli altri suoi compagni che (come nel caso dell’apertura dell’otre dei venti o della distruzione delle mandrie del sole) rischiano continuamente di superare il segno che gli dei impongono. Eppure l’idea della sfida del fato, del superamento del limite non è nuova alla nostra tradizione culturale.

Pensiamo ad esempio al mito degli Argonauti, la cui spedizione rappresenta senza dubbio l’infrangere tabù, a Serse, simbolo della violazione della legge e dei limiti imposti (nel suo caso dall’autorità persiana), così come ad Alessandro Magno, figura emblematica della tensione conquistatrice, disposto a giungere fino ai confini del mondo conosciuto.

Mare: simbolo di hybris

I riferimenti omerici, ma più in generale la cultura mediterranea con le Argonautiche e l’Eneide, sono pieni di esempi in cui lo spingersi oltre il consentito, il varcare limiti non concessi, il macchiarsi di hybris, rappresentino azioni difficilmente perdonabili. La furia degli dei era implacabile verso l’uomo che, macchiandosi di una tal colpa, pregiudicava non solo la sua vita ma quella della sua intera stirpe. E gli dei si vendicavano proprio attraverso il mare, facendo soffiare dirompenti tempeste, dando vita a violenti capovolgimenti di flutti. In fondo anche l’isola di Atlantide «[…] essendosi verificati terribili terremoti e diluvi, nel corso di un giorno e di una notte, […]sommersa dal mare, scomparve» (Platone, Timeo, 25c-d).

Anche nell’iconografia cristiana il mare torna a essere centrale; presente con diverse sfumature di senso esso è il luogo dell’epifania del male, lo strumento di cui si serve la collera divina per punire i peccati dell’umanità. La palingenesi è già nel diluvio universale, narrato nel poema di Gilgamesh, nella Bibbia, così come nel mito greco di  Deucalione e Pirra.

Il circoscrivere il mare di una qualche sacralità poteva celare un esercizio di potere, i divieti sul commercio marittimo che una classe dominante imponeva all’altra si servivano proprio dell’antica credenza di commettere sacrilegio nel toccare le acque del mare, ma spesso nascondeva anche il bisogno di autoprotezione da parte dell’uomo. «Il sacrilegio della navigazione punisce se stesso già col timore delle potenze superiori alle quali l’uomo si consegna e che traduce nelle immagini dei suoi dei, ai quali queste potenze vengono sostituite. Ma che con esse non può stringere un patto, l’uomo lo sperimenta nella vanità dei suoi sforzi di esorcizzarle». (H. Blumenberg, Naufragio con spettatore, p.54).

Lasciare la terra ferma in vista di una navigazione coincideva con l’abbandono del presidio e della guida a favore di un indeterminato. Ma ancor più rappresentava il pericolo dell’alterazione dell’antico rapporto tra terra e mare, «paragonabile all’offesa arrecata alla inviolabilità della terra, alla legge della terra inviolata che ad esempio sembrava proibire il taglio di istmi e la creazione di porti artificiali, cioè drastiche modificazioni del rapporto tra terra e mare». (H. Blumenberg, Naufragio con spettatore). Ciò che il divino aveva tenuto separato viene, attraverso la spavalderia della navigazione, congiunto e l’uomo, dimentico del monito degli dei, commette impiae rates. L’assolutizzazione di un elemento a discapito dell’altro infatti avrebbe eliminato quella necessaria contrapposizione dialettica, compromettendo l’ordo naturans delle cose e rendendo così il mare spaventoso. 

Ma in fondo, come ci ricorda Conrad, il mare non è mai stato amico dell’uomo quanto senz’altro complice della sua irrequietezza.

L’illusione metafisica

L’antico sacrilegio della navigazione, seppur abbandonato nella sua piena accezione di superstizione, permane nel tempo, confluendo nell’accento di sconsideratezza, se non di empietà, di cui si macchieranno gli uomini moderni. Il tentativo di oltrepassare il limite, così come la ricerca spasmodica di un elemento a discapito dell’ordine naturale, rischia di trascinare il pensiero verso derive nichilistiche.

Pensiamo oggi alla ricerca scientifica portata avanti senza il freno del proprio contraltare, del proprio opposto o a come la tecnica, privata di una qualche resistenza del dubbio, si muova senza nessun presidio etico.

Sarà Franco Cassano, nel suo bellissimo Il Pensiero meridiano, a far coincidere la crisi del pensiero con l’assolutizzazione del mare/tecnica, privato di ogni forma di possibile contrapposizione dialettica. «È qui la radice della crisi del pensiero, del suo arrendersi al predominio della tecnica: d’ora in poi vale solo il pensiero che vive sempre in alto mare e che ha rimosso le idee stesse del limite, del ritorno, della terra come superstizioni, timidezze o regressioni. L’aver sostituito al vecchio infinito quello della tecnica significa solo aver cambiato il lato della dismisura».(F. Cassano, Il Pensiero meridiano, p. 32).

Misure e dismisure oggi fanno i conti con il pericolo continuo dello smarrimento del pensiero, lì dove le cose, sottratte al loro posto, non ritrovano una collocazione ma viaggiano in una lacerante mancata relazione con i propri opposti. Ed ecco che Giustizia e Legge, verità e conoscibilità, progresso ed etica non possono più dialogare. La ragione è smarrita, letteralmente, e si ritrova a navigare nella sua sconfinata libertà senza più nessun porto sicuro. Il mare aperto della conoscenza torna a macchiarsi di una certa forma di sacrilegio, così come il diritto all’allontanamento porta dietro non solo la libertà ma anche lo sradicamento.

La terra ferma dei principi, il luogo della sicurezza, l’oikos, verranno abbandonati in direzione di una navigazione che non troverà più approdo. Il pensiero è mosso da un vento che non trova mai scogli e le forme conosciute si dissolveranno, i limiti si decostruiranno e alla ragione pura si sostituirà una tentata ragionevolezza.

Non è possibile per l’uomo stringere a lungo un patto di non belligeranza tra se stesso e la Natura, a cui peraltro appartiene, perché, come ci ricorda Lucrezio, «mentre va sulla prua, al supplice voto un turbine sorge violento/e lo prende e contro le rocce lo sbatte, al guado/ignoto dell’implacabile morte». Consci di tutto ciò, a noi non rimane che sperare che l’augurio di Martin Heidegger si avveri e che al pensiero calcolante della tecnica, a quel pensiero che si trova, sempre e di continuo, in alto mare torni a contrapporsi la forza radicata di un pensiero diverso, di un pensiero meditante.

Bibliografia di riferimento

H. BLUMENBERG, Naufragio con spettatore. Paradigma di una metafora dell’esistenza, Mulino, Bologna 1985.
F. CASSANO, Il Pensiero meridiano,Laterza, Roma-Bari 1996.
OMERO, Odissea.
PLATONE, Timeo.